domenica 12 febbraio 2012

Ian Gibson: Federico Garcia Lorca è il simbolo dell'incapacità della destra di riconoscere i crimini del franchismo

Ian Gibson è il massimo esperto mondiale di Federico Garcia Lorca, l'uomo che più di tutti sta lottando per ritrovare i resti del poeta andaluso ucciso dai fascisti durante la Guerra Civile. Irlandese, innamorato della Spagna e della sua cultura, pubblica in questi giorni Federico García Lorca, che riunisce tutta la sua opera lorquiana. Per questo El Pais gli dedica una lunga intervista in cui lo scrittore racconta della sua infanzia infelice, dell'Irlanda lontana e di questa passione che gli ha condizionato la vita per Federico e per la Spagna. Leggere l'intervista è vedere la Spagna con gli occhi di un progressista anglosassone innamorato della sua cultura. E il tempo ha insegnato che spesso sono gli stranieri innamorati, quelli che offrono il miglior ritratto di un Paese.
Qui, in italiano, i passi dell'intervista che mi sono sembrati più interessanti. L'articolo completo, e in spagnolo, è su elpais.com

- Qual è stato per lei, l'enigma Lorca?
Sono stato a Granada nel 1965, per una tesi sulle origini rurali dell'opera di Lorca. Ho passato tre mesi alla Vega, per conversare con i campesinos. Mi parlavano dell'assassinio di Lorca e di tutto quello che era successo a Granada. La gente aveva molta paura all'inizio, ma, grazie ad alcuni contatti, sono potuto entrare in quel gruppo di repubblicani rappresagliati, alcuni dei quali avevano conosciuto personalmente Lorca.
- Se adesso dovesse scrivere una voce breve per un'eventuale enciclopedia, che riassumesse la sua conclusione su questo assassinio, quali sarebbero i dati fondamentali?
Direi che è un crimine non ancora risolto del tutto, di cui conosciamo la struttura, ma a cui mancano molti dati, iniziando dai resti del corpo. Lamenterei, perché mi spiace profondamente, che lo Stato spagnolo non abbia cercato i resti. Lorca è un punto di riferimento mondiale, quasi cosmico. Non si può parlare della Spagna senza che venga fuori lui. E' un genio totale ucciso dal fascismo. All'estero nessuno capisce  perché non si siano cercati e trovati i suoi resti. E' un brutto momento, perché adesso al potere c'è il PP, per cui la memoria storica farà un passo indietro e moriranno molti anziani, a cui rimangono pochi anni, senza poter recuperare i resti dei loro cari. 130mila corpi ancora nelle cunette. Questo è impresentabile, impensabile e terribilmente crudele. Direi che la Spagna contemporanea non si capisce senza Lorca, un uomo essenziale da leggere e conoscere.
- Perché ha tanto interesse a trovare il corpo? Non è sufficiente rivendicare la sua memoria o leggere la sua opera?
No. Per me non è sufficiente. Credo sia un male per la sua famiglia, per lui, per tutti noi spagnoli che non sappiamo perché ci siano così tante pressioni. Dov'è il corpo? Si suppone da qualche parte, chi dice nella cripta della Cattedrale di Granada, chi nell'orto di San Vicente, la finca di famiglia, chi a Nerja. Questo è un male, perché crea dubbi, e adesso stanno dicendo che non è necessario sapere, che basta leggere la sua opera, perché bisogna pensare al presente e al futuro, non al passato. E' il messaggio del PP di Granada: bisogna pensare al presente e al futuro. Federico vive. Non vogliono che si trovino i resti perché, se si trovassero, l'attenzione del mondo si fisserebbe sulla Guerra Civile non risolta. Credo sia importantissimo sapere dov'è. Voglio sapere come lo hanno ucciso e se lo hanno torturato (credo di sì), perché si sappia una volta per tutte.
- Perché crede che parte di questo Paese sia così reticente al compiere i dettati della memoria storica?
Perché il grande problema di questo Paese è che la destra che abbiamo è incapace di assumere la criminalità del regime franchista, responsabile non solo di quanto è successo durante la guerra, nella retroguardia, ma anche delle esecuzioni del dopoguerra, che continuarono e continuarono... Il gran problema di questo Paese, in cui mi includo perché ho la nazionalità spagnola, è la destra, questa destra immisericorde, che non perdona, che non applica la carità che dice essere la sua religione, l'amore al prossimo. Quando ho visto gli insulti nell'emiciclo, inammissibili in qualunque Paese d'Europa, questa è la destra che abbiamo. Insulta il presidente del Governo, lo chiama bugiardo dall'emiciclo... La sinistra riconosce i suoi errori, anche le stragi si affrontano e si riconoscono. La destra si rifiuta di chiamare criminale il regime di Franco. Come si può avanzare con gente di questo tipo, che non è disposta al dialogo? Come si realizza un Paese diviso in due blocchi e in cui la destra si rifiuta di dialogare e di riconoscere gli errori? Mi sembra che sia il gran problema. E Lorca simbolizza tutto questo.
- Cosa ha imparto da questa escursione negli universi degli amici di Lorca, Buñuel, Dalí...?
Lorca è un universo. Si trova in tutto, nella musica, nella poesia, nella drammaturgia, nella politica. Un ragazzo fortunato che, per essere omosessuale, aveva gravi problemi. Suona il piano, sa chi sono Verlaine o Flaubert e poi va negli USA. E la gente che ha intorno... C'è lavoro per i biografi per secoli. Dalí, Lorca, Buñuel, quel trio non viveva neanche isolato; erano circondati da persone incredibili nella Resistenza degli Studenti, conoscono chiunque. E non sono affatto apolitici, si occupano di tutto. Quando arriva la Repubblica è la fioritura della cultura, è il momento che tutti stanno aspettando. E si produce quello che si produce. Arriva la tragedia, quell'esperimento non ha potuto essere e arriva il disastro. Per me, essere entrato lì attraverso Lorca, iniziando da lui, ma poi passando ad altri, è un arricchimento quotidiano. E il dolore di quello che si è perduto e quello della situazione attuale, per tornare a questo. Tra tutti bisogna cercare, recuperare quello che si può recuperare, senza recriminazioni. E non si sta facendo perché il Paese non è unito. E' una tragedia.
- Lorca è stato ucciso, ma Buñuel e Dalí rimasero vivi e con un atteggiamento divergente riguardo la politica e il ricordo repubblicano. A cosa si deve questa divergenza?
Erano divergenti perché ognuno stava facendo la propria vita, ognuno aveva la sua vita precedente e le sue angosce. Sono diversi. Per esempio, Buñuel ha un grande problema con l'omosessualità. Quello che non dice nelle sue memorie è che suo fratello Alfonso era gay e, per di più, molto apertamente, giusto prima della guerra, e amico di Federico. Ti immagini? Non è che Buñuel fosse gay, ma temeva di esserlo un po'. E anche Dalí. Arriva la guerra e Dalí non può vivere lontano da Cap de Creus, è il suo epicentro psichico e deve tornare. Così si converte al cattolicesimo e dice che il surrealismo è stato un errore, uno sbaglio. E' come la pecora perduta che torna a casa a fare la pace con il regime e si installa di nuovo a Port Lligat e Figueres. Non può vivere senza questo paesaggio. Nel caso di Buñuel, lui non è potuto tornare, sarebbe stato impossibile. Però ha fatto Viridiana, come una bomba che consegna a Franco e che gli scoppia in faccia. Un'opera assolutamente geniale. Inoltre, forse lo saprò alla fine, non ho ancora finito il libro, ma c'è in lui una tremenda timidezza nel fondo che compensa con il corpo atletico, con il pugilato e il lancio del giavellotto, per dimostrare la sua virilità. Ma dentro ha un'insicurezza radicale. Questa sarebbe una scoperta, se vuoi, perché la gente lo vede come il classico macho aragonese, ma no, niente affatto, nei suoi film si vede che c'è un'angoscia costante riguardo al sesso.
- E Paracuellos, cosa le ha insegnato, cosa dovremmo sapere?
Bisogna conoscere la verità. Bisogna sapere come è stato, capire qual era la situazione allora. Non bisogna partire dall'odio, ma dal desiderio di capire cos'era Madrid in quel momento, quando il Governo si trasferì a Valencia, credendo che Madrid sarebbe caduta in qualunque momento e lasciando dietro di sé un comitato di difesa. Con migliaia di prigionieri di destra nel carcere Modelo, con i mori nella Casa del Campo che bombardavano con aerei. In quel momento c'è una purga. E bisogna sapere come è stata, chi l'ha organizzata, quanta gente è morta, come si è realizzata e chi furono i responsabili. E' quello che bisogna sapere. Ma dalla destra si deve capire quello che era quel momento per la Repubblica e per i repubblicani, che la capitale sarebbe caduta in mano del fascismo internazionale, che si sapeva quello che sarebbe successo e che tutto questo scatenò un odio feroce contro i responsabili e i suoi alleati. Bisogna capire che a Madrid si sapeva già cos'era successo a Badajoz. Si sapeva perfettamente cosa sarebbe successo nella capitale. Ogni notte ascoltavano e sentivano Mola che gli diceva cosa gli avrebbe fatto. Tutto questo creò un panico e un odio terribili e si realizzò una strage, probabilmente organizzata dai russi. Sicuro ci fu la loro influenza, perché erano gli unici che aiutavano la Repubblica. Bisogna cercare di capire che non era solo qualcosa realizzato da schifosi rossi, malvagi e criminali. C'era una situazione terribile per i madrileni. E gli altri, inoltre, avevano iniziato già le stragi, perché quello che era successo a Badajoz fu atroce
- Che responsabilità ebbe Carrillo?
Mi diede una lunga intervista in cui mi raccontò che dirigeva l'ordine pubblico, che a 22 anni gli ordinarono di controllare i russi, di cercare di organizzare il tutto e che davvero non pensava ai prigionieri del carcere Modelo. Quello che voleva era arrivare a impedire che Franco entrasse a Madrid e controllare gli assassinii illegali. Naturalmente la responsabilità non la ebbe Carrillo, non avrebbero trasformato un ragazzo di 22 anni che stava organizzando l'ordine pubblico nell'esecutore di tutto quello. Chi comandava e controllava lì erano i russi, i comunisti. Che lui lo sapesse, ovvio. Tutti sapevano che si realizzavano esecuzioni, lui aveva nominato Segundo Serrano Poncela delegato delle carceri. Ma avere responsabilità, a me non sembra.
- L'invidia è nella genesi di questi assassinii, a causa della guerra?
Non credo. La causa di quello che successe allora non fu questo. Odio, sì. L'invidia si chiama odio, ma c'è anche odio oscuro. La verità è che 10 giorni dopo la Repubblica aveva già contro la destra e la Chiesa, dal primo momento cospiravano. Ci sono il generale Sanjurio del 1932 e i suoi costanti contatti con Mussolini e poi con Hitler. Credo che dal primo momento tutta la destra era contro la Repubblica. Le elezioni del 1933 le vince la CEDA, la coalizione di Gil Robles, perché la sinistra, come sempre, arriva divisa, non si rende conto del pericolo e non è capace di unirsi. C'è una lezione da tutto questo, riguardo quello che sta succedendo adesso. Quando la destra vince, nel 1933, inizia a disfare tutta la legislazione del biennio precedente. Non credo che l'invidia stia nella genesi. C'è un odio secolare. Questo Paese non ha mai avuto un momento di pace, è sempre stato confusionario in tutto il XIX secolo. Le Cortes di Cadice, che adesso si celebreranno, elaborarono una delle Costituzioni più moderne d'Europa, forse la più avanzata. Torna Fernando VII, dopo tre anni liberali, poi impiccano Riego nella plaza de la Cebada e arriva Fernando VII di nuovo. Altri tre anni di repressione, dopo un po' di libertà e di nuovo la repressione. Arriva la I Repubblica, dura 11 mesi, tornano i Borbone, 30 anni di turno pacifico... Insomma. Quando ha avuto pace questo Paese? Per la destra questo Paese le appartiene. E gli altri sono usurpatori. Lo hanno detto chiaramente più di una volta.