martedì 3 aprile 2012

Tagli a istruzione, ricerca e cultura: così la Spagna vuole ridurre il deficit e pagare il debito

Istruzione -21,9%, Cultura –15,1%, Sanità –6,8%, Ricerca e Sviluppo –25,6%.
Così la Finanziaria presentata dal Governo spagnolo taglia la spesa pubblica e, senza probabilmente, il futuro del Paese. Entro la fine dell'anno la Spagna deve portare il suo deficit dall'8,1% al 5,3%, deve cioè ridurre la spesa di oltre 27 miliardi di euro; lo ha promesso a Bruxelles e agli emissari di Angela Merkel, che ieri hanno analizzato la Finanziaria, ancora prima del Parlamento spagnolo, dando il loro ok e dichiarandosi "impressionati". Del resto, chi non lo sarebbe davanti a queste cifre?
Per il 2012 l'istruzione pubblica avrà un bilancio di 2,22 miliardi di euro; la caduta del 21,9% dei fondi significa la discesa del 36,5% delle spese per l'educazione delle elementari, del 28,8% per le scuole superiori e le scuole ufficiali della lingua, del 62,5% per l'insegnamento universitario. Che futuro si possa preparare per le nuove generazioni e quali pari opportunità possano avere i figli degli operai, che non possono ricorrere alle scuole private, e i figli degli avvocati, che le frequenteranno, è davanti agli occhi di chiunque sappia leggere la matematica.
I finanziamenti pubblici alla Cultura crollano a 937,4 milioni e la parte peggiore tocca al cinema, che perde il 35% dei finanziamenti per le nuove produzioni.
Meno spese anche per le politiche in favore dell'impiego, -21,3%, e per la disoccupazione, -5,5%.
Per la Sanità le partite che subiscono i tagli peggiori riguardano le politiche per la salute e l'ordinamento professionale, -75%, e della salute pubblica e qualità, -45%.
Tagli anche per le politiche edilizie (l'accesso all'abitazione e l'impulso all'edificazione subiscono una discesa del 31,7%), per Giustizia (-5,9%), Difesa (-8,8%), Commercio, Turismo e PIM (-22,5% e considerando che il Turismo è la voce che garantisce i maggiori ingressi ed è l'unico settore che ha creato impiego negli ultimi mesi…).
Va meglio alle politiche per la sicurezza, per cui il taglio previsto è dello 0,6%, e ad Agricoltura, Pesca e Alimentazione, con un taglio dello 0,8%. Anche la Casa Reale subisce un taglio del suo bilancio, per lei il 2% in meno dei fondi statali (José Luis Rodriguez Zapatero, lo scorso anno, lo ridusse del 5%) e qualcuno lamenta che l'appannaggio al re sia stato tagliato di così poco, mentre i Ministeri hanno visto un taglio del 16% delle loro spese.
Insomma l'accetta di Mariano Rajoy si abbatte un po' ovunque, sullo Stato spagnolo, nel tentativo di arrivare al 5,3% del deficit entro la fine dell'anno (salva, bisogna riconoscerlo, le pensioni, per le quali la spesa aumenta di circa il 3%). E avendo chiaro che il debito dev'essere davvero tenuto sotto controllo: nel 2012 il Paese pagherà 28,8 miliardi di euro di interessi per il debito, il 5,3% in più rispetto al 2011, con un debito passato dal 68,5% al 79,9% del PIL.
E indispettisce gli spagnoli che il Premier abbia spiegato la sua prima Finanziaria ieri al suo partito, il PP, e a rappresentanti di Angela Merkel, ma non, oggi, alla Camera dei Deputati, dove si è presentato il Ministro delle Finanze Cristobal Montoro, senza il sostegno del Presidente del Governo. C'è come una sorta di sottile disprezzo verso il Parlamento, come se non contasse per Rajoy, nonostante sia stato eletto dagli spagnoli; sono le arroganze della maggioranza assoluta, probabilmente.
E così è stato Montoro a spiegare ai media che questa Finanziaria è "condizione indispensabile per superare la situazione in cui si trova la Spagna". L'obiettivo non è né la creazione d'impiego né la crescita economica: "Il nostro primo obiettivo è il deficit, il secondo è il deficit e il terzo, il deficit pubblico" ha detto il Ministro. E con questa serie di obiettivi così variata c'è poco da fare: bisogna battere il deficit con misure che "meno pregiudicano la crescita economica, perché le partite ridotte sono le più neutre sulla crescita economica".
Con questa Finanziaria si stanno mettendo le basi per "tornare al meglio della storia economica spagnola". Che corrisponde, implicitamente, agli otto anni di Governo conservatore di José Maria Aznar, quando la Spagna cresceva con ritmi quasi asiatici ed era ammirata per la capacità con cui creava impiego. Peccato che sia stata l'epoca dei contratos-basura, i contratti spazzatura che hanno precarizzato le giovani generazioni dell'epoca, della bolla immobiliare, che ha creato sì migliaia di posti di lavoro, ma di livello medio-basso, nell'edilizia, spazzati infatti via non appena la bolla è scoppiata (è per questo che la Spagna è la maggior produttrice di disoccupazione della UE). Insomma, se quello è stato il periodo migliore della storia economica spagnola, il PP non deve aver imparato la lezione che la crisi economica dovrebbe aver dato a chiunque aspiri a governare il Paese: la ricetta per rafforzare l'economia passa inevitabilmente per la sua diversificazione, con la creazione di un tessuto imprenditoriale che possa creare impiego nei settori in cui la Spagna eccelle, dall'agricoltura alla ricerca.
E siccome le notizie cattive non arrivano mai da sole, abbiamo i dati della disoccupazione: a marzo i disoccupati sono aumentati dello 0,82% rispetto a febbraio e del 9,63% rispetto a marzo 2011. Di 10 disoccupati creati nell'Unione Europea, 5 sono spagnoli. E, come scrive con un certo sarcasmo il blog Principio de Incertidumbre di publico.es, la Spagna non è la Grecia. E non nel senso che immagineremmo. "Il tasso di disoccupazione ellenico (21%) continua a essere minore di quello spagnolo (23,6%), secondo l'ultimo bollettino dell'Unione Europea. La Spagna non è la Grecia. Chiunque abbia una cartina lo sa. E' che la Spagna ha un modello chiaro e definito. Un nuovo business: l'esportazione di disoccupati. A peso e con Denominazione d'Origine. Perché cinque di ogni dieci nuovo disoccupati che a febbraio calcolavano in euro le speranze di arrivare a fine mese, non sono greci. No. Sono spagnoli.
Non è la Grecia, cavolo! Né il Portogallo, né l'Irlanda, che sono PIGS sotto tutela, ma che hanno rispettivamente il 15 e il 14,7% di disoccupazione. Persino gli Stati falliti, intervenuti o spremuti dai riscatti, persino loro, giocano meglio della Spagna nel campionato della disoccupazione. Così, dopo aver consultato i suoi consulenti, il primo ministro greco sta pensando di utilizzare il proclama per liberarsi dei giornalisti e per calmare i mercati e Bruxelles: "Sentite, la Grecia non è la Spagna!"