sabato 7 luglio 2012

Re Juan Carlos, ancora il più amato di Spagna

Tempo fa mi sono trovata a discutere, con conoscenti spagnoli e filo-spagnoli, ma come me stranieri, circa le possibilità di successo di un referendum Monarchia-Repubblica in Spagna. Si parlava della modifica alla Costituzione che dia la parità di genere ai diritti dinastici dei primogeniti del sovrano e del suo erede: oggi, se Felipe e Letizia avessero un figlio, Leonor perderebbe i propri diritti in favore del fratellino; e, dicono sia proprio questa regola costituzionale una della cause per cui i Principi delle Asturie, favorevoli al diritto delle donne di regnare anche in presenza di un fratello minore maschio, non abbiano altri figli, per non rischiare i diritti della primogenita.
La Costituzione spagnola prevede un meccanismo complesso per i suoi cambiamenti: questi devono essere infatti approvati da una maggioranza di due terzi del Parlamento, che deve essere poi sciolto, per dare spazio a un nuovo Parlamento, che dia a sua volta l'ok, di nuovo con una maggioranza dei due terzi.
Nessun Governo ha mai osato mettere mano a questa regola dinastica non solo per la complessità di tutto il procedimento (poi qual è il leader del Governo che scioglie le Camere, a rischio di non essere rieletto, solo perché una donna primogenita possa diventare regina anche se ha un fratello?), ma anche perché si teme sempre che le pressioni popolari e mediatiche impongano contemporaneamente quel referendum Monarchia-Repubblica, che non c'è mai stato dopo la morte di Francisco Franco. Il dittatore ha infatti lasciato tutto il potere a re Juan Carlos, che lo ha consegnato al popolo, instaurando la democrazia, con il silenzioso accordo che la Monarchia fosse inserita direttamente nella Costituzione. Così, quando il 6 dicembre 1978, gli spagnoli hanno approvato la loro Costituzione, hanno detto di sì anche alla Monarchia, senza poter scegliere prima, in modo più libero, la forma dello Stato.
La cosa sorprendente di quella discussione è stata che nessuno di noi, spagnoli e filo-spagnoli, è stato disponibile a scommettere sul successo della Repubblica in un eventuale referendum sulla forma dello Stato. Io non conosco uno spagnolo che si proclami monarchico: se volete una lista dei difetti della Monarchia, non chiedete in un Paese europeo repubblicano, chiedete a uno spagnolo. Saprà discutere sulle disuguaglianze e il classismo impliciti nella presenza di un re, intratterrà su quanto costa il mantenimento di una Famiglia Reale, si accanirà sul fatto che il re vive in residenze statali, per cui tutte le spese di manutenzione finiscono sul conto dello Stato. Probabilmente non c'è nessuno che sia più repubblicano di uno spagnolo e ci sono poche cose più emozionanti, in una piazza di Madrid o di Siviglia, di una bandiera repubblicana che si illumina dei colori del tramonto e dello slogan cantato da centinaia di persone: España, mañana será republicana. Non so quante volte ho visto la bandiera rosso-giallo-viola e quante volte ho sentito quel canto e non ho ancora smesso di emozionarmi al pensiero di questa Spagna che vagheggia la Repubblica e la attende con fiducia e con speranza, come se potesse iniziare davvero una nuova pagina di storia, almeno più giusta e meno classista.
Però se si parla di referendum, non pochi iniziano a tergiversare e ti fanno presente che sì, la Repubblica è la forma dello Stato in cui si riconoscono, ma sarà poi quella più adatta alla Spagna? Le esperienze passate sono state negative: durante le sue due Repubbliche la Spagna ha vissuto periodi di grandi instabilità sociale ed economica. La Seconda Repubblica, la più rimpianta per i progressi sociali che aveva permesso di compiere, è finita addirittura nella tragica Guerra Civile e nella lunghissima dittatura fascista di Franco. Verrebbe da dire, mai più Repubblica, please. E molti spagnoli, per quanto repubblicani, lo ammettono tranquillamente. La monarchia (o la democrazia?) ha dato alla Spagna il più lungo periodo di stabilità e prosperità economica e sociale che la storia del Paese ricordi.
Anche adesso che la Famiglia Reale è scossa da scandali gravissimi, come quelli che coinvolgono l'Infanta Cristina e suo marito Iñaki Urdangarin, che re Juan Carlos viene messo in croce per le sue amanti ambiziose e per le inopportune sessioni di caccia africana, che Letizia Ortiz non è l'impeccabile ed elegante futura regina che ci si aspettava, è difficile pensare che la Monarchia possa essere rovesciata. Sempre perché il ricordo della fine della Seconda Repubblica è ancora troppo presente e doloroso. Ma non solo.
Nei giorni scorsi il Real Instituto Elcano ha diffuso il suo Barometro sulla valutazione che gli spagnoli danno alle principali personalità pubbliche. E l'unico che si è salvato è stato re Juan Carlos. Non che abbia ottenuto un punteggio da urlo, ha preso 5,4 punti sui 10 possibili (Rodrigo Rato, l'ex presidente di Bankia, appena imputato per frode, e l'ex Governatore della Banca di Spagna, Miguel Ángel Fernández Ordóñez, sono quelli che hanno ottenuto i peggiori risultati, con, rispettivamente, 2,4 e 2,6 punti su 10). Perché re Juan Carlos, nonostante gli errori nella gestione di Urdangarin, nonostante le feroci critiche per la battuta di caccia nel Botswana, nonostante le denunce di interessi troppo personali nelle sue amicizie con gli sceicchi arabi, continua a essere il punto di riferimento degli spagnoli?
Ognuno può dare la spiegazione che crede. La mia è che la Monarchia ha una magia che la Repubblica non ha, anche per un popolo fondamentalmente repubblicano come lo spagnolo. La Spagna è in crisi, guarda con profonda inquietudine al suo futuro, perché ha poche speranze di rivederlo roseo nel breve termine, ha accumulato una rabbia feroce contro i politici, che hanno gestito male la crisi economica e che non sanno rinunciare ai loro privilegi (il fatto che ieri il Governo italiano abbia abolito decine di Province è stato salutato con giubilo e invidia nel web spagnolo, che chiede con insistenza all'insipido Rajoy di seguire la strada di Monti e tagliare gli sprechi). Davvero, la Spagna di oggi, così rancorosa e rabbiosa non ha niente a che vedere con quella che si respirava anche solo cinque anni fa, piena di vitalità, di allegria, che arrivavi a Barajas, compravi El Pais e sentivi già che l'aria era diversa ed eri in un Paese aperto, fiducioso e da cui imparare continuamente.
E in un Paese così indignato, così arrabbiato, così smarrito e inquieto, il punto di riferimento non può che essere il re. Questa figura che non cambia ogni cinque-sei anni, ma è lì, a indicare al continuità della Nazione, a ricordare che i leaders di Governo e gli imprenditori passano, ma la Spagna resta. E Juan Carlos sa esercitare il suo ruolo con autorevolezza: non solo ha continuato a lavorare durante la convalescenza, per farsi perdonare l'errore africano, ma è partito per un tour in America Latina, non appena i medici gli hanno dato il permesso, per dimostrare che la Spagna, anche se acciaccata, anche se maltrattata dal tempo, non deve fermarsi. E in America Latina, dove i Capi di Stato lo trattano ancora come il re, il rappresentante della Madrepatria (in tanti, chiamano ancora così, la Spagna, in segno di affetto), Juan Carlos ha dimostrato ancora una volta come sa rappresentare bene gli interessi spagnoli, con i suoi discorsi rassicuranti e con i suoi contatti invidiabili, messi a disposizione della delegazione di imprenditori che lo accompagnava. E' ancora re Juan Carlos, quello che alza il telefono per parlare con qualche sceicco arabo e far sì che una commessa finisca a un'impresa spagnola piuttosto che asiatica; quello che chiama un Capo di Stato straniero per facilitare un contatto al suo leader di Governo. E' re Juan Carlos che rassicura la Spagna e le dice che può farcela, nonostante tutto.
Qualche giorno fa i giornali di destra riportavano con entusiasmo che gli imprenditori continuano a considerare "indispensabile" la figura di re Juan Carlos. L'entusiasmo della destra è sempre becero: era la riposta a chi in questi mesi ha criticato il re, la Famiglia Reale e la stessa Monarchia, visti gli scandali che la scuotono, era la risposta a chi chiede che Juan Carlos lasci il trono, si dedichi alle sue amanti e lasci spazio al più giovane (ma meno brillante e amato) Felipe. In realtà il concetto dell'"insipensabilità" di re Juan Carlos ha una doppia lettura: da una parte magnifica le funzioni di questo sovrano straordinario, che da 35 anni mantiene il suo carisma e riesce ad essere una guida per il suo popolo, nonostante gli acciacchi, le cadute di stile e gli errori, dall'altra, però, indica l'inadeguatezza di una classe imprenditoriale che non sa valersi per se stessa, senza sovvenzioni e senza contatti privilegiati.