domenica 12 agosto 2012

Dalla Germania su El Pais: La rinuncia all'unificazione europea sarebbe un addio alla storia mondiale

E' un articolo pubblicato il 4 agosto da Frankfurter Allgemeine Zeitung e ripreso oggi da El Pais; "due dei più influenti pensatori tedeschi e un prestigioso economista mettono in discussione le attuali strategie per salvare l'euro" scrive il quotidiano spagnolo. Sono Juergen Habermas, Peter Bofinger e Julian Nida Ruemelin, che "propongono di andare oltre e che gli Stati cedano sovranità per una vera unione politica e animano la Germania a prendere l'iniziativa".
L'articolo è piuttosto lungo, diviso in tre capitoli, di cui traduco gli ultimi due, che offrono l'alternativa all'attuale strategia per salvare euro e Unione Europea (nel primo i tre autori tracciano un quadro dell'attuale situazione economica e delle attuali misure utilizzate per cercare di superarla).
Il testo integrale, in spagnolo, è qui.

(...)
L'alternativa
Ci sono solo due strategie coerenti per dare soluzione alla crisi attuale: il ritorno alle monete nazionali in tutta la UE, che esporrebbe ogni Paese alle oscillazioni imprevedibili di mercati delle divise altamente speculative, o il consolidamento istituzionale di una politica fiscale, economica e sociale comune nella zona euro, con l'obiettivo ulteriore di recuperare la perduta capacità d'azione della politica davanti agli imperativi dei mercati in un piano transnazionale. Da una prospettiva che trascende la crisi attuale dipende anche la promessa di un'"Europa Sociale". Perché solo un nucleo europeo politicamente unito ha la possibilità di rivoltare il processo, già avanzato, di trasformazione di una democrazia sociale e statale di cittadini in una facciata di democrazia sottomessa ai mercati. Anche fosse solo per l'incastonatura in questa prospettiva più ampia, bisogna preferire la seconda opzione.
Se si vuole evitare il ritorno al nazionalismo monetario, così come una crisi permanente dell'euro, bisogna compiere adesso il passo che si è omesso all'introduzione della moneta comune: mettere i pilastri che puntano alla via di un'unione politica, in primo luogo nel nucleo europeo dei 17 Paesi membri dell'Unione Monetaria Europea.
Quello che noi sosteniamo è che non si mascheri niente: chi vuole rimanere nella moneta comune deve sostenere anche una responsabilità comune, deve contribuire a superare il deficit istituzionale nell'Eurozona. Il fascino della proposta rifiutata dal Governo tedesco, e cioè che un comitato di esperti esamini il modo di stabilire un fondo di liquidazione dei debiti, risiedeva precisamente nel fatto che, instaurando in modo aperto una responsabilità comune, si metteva fine all'illusione che ogni Stato manteneva la propria sovranità. In tutti i casi, sarebbe più coerente la messa in comune del limite dell'indebitamento già stabilito nel contesto dei criteri di Maastricht, cioè fino al 60% del PIL e non la percentuale che supera questo tetto.
Finché i Governi non dicono chiaramente cosa è, di fatto, quello che stanno facendo, continueranno a svuotare ancora di più le debiti basi democratiche dell'Unione Europea. Il grido di battaglia della lotta per l'indipendenza degli USA (no taxation without representation, nessuna tassa senza rappresentazione) trova oggi un'inaspettata lettura: non appena creeremo nell'Eurozona lo spazio per politiche con effetti redistributivi che superino le frontiere nazionali, ci dovrà essere anche un legislatore europeo che rappresenti i cittadini (direttamente, al di sopra del Parlamento Europeo e indirettamente sul Consiglio) e che possa decidere su queste politiche. Altrimenti conculchiamo il principio che il legislatore deve decidere sulla distribuzione dei bilanci statali sia identico al legislatore democraticamente eletto che raccoglie le imposte che nutrono questi bilanci.
In ogni caso, la memoria storia dell'unificazione dell'Impero tedesco, imposta dinasticamente a molte zone del Paese, dovrebbe servirci come avvertimento. I mercati non possono essere adesso placati con costrutti complicati e poco trasparenti, mentre i Governi accettano in silenzio che si getti sui loro popoli un potere esecutivo emancipato. Arrivati a questo punto, gli stessi popoli devono prendere la parola. La Repubblica Federale Tedesca, come rappresentante del maggior "Paese donante" del Consiglio, deve prendere l'iniziativa, perché si decida di convocare un'Assemblea Costituente. Solo per questa via si potrebbe superare l'inevitabile sfasamento temporale tra le misure economiche da prendere con carattere immediato, imprescindibili, ma revocabili, e la legittimazione che, nel caso, bisognerebbe riconquistare. Se i referendum avessero risultato positivo, le Nazioni d'Europa potrebbero recuperare, su un piano europeo, la sovranità che "i mercati" da tempo hanno loro rubato.
La strategia di modificazione dei Trattati punta sulla fondazione di una zona monetaria politicamente unificata, che costituisca il nucleo europeo, aperta all'accesso ad altri Paesi della UE, in particolare la Polonia. Questo richiede chiare idee politico-costituzionali su come dev'essere una democrazia sovranazionale, che permetta un Governo comune senza adottare la forma dello Stato federale. Lo Stato federale è un modello erroneo ed eccede il grado di solidarietà ammissibile per popoli europei storicamente indipendenti. L'approfondimento oggi necessario delle istituzioni potrebbe essere retto dall'idea che un nucleo europeo democratico deve rappresentare la totalità dei cittadini degli Stati membri dell'Unione Monetaria Europea, ma ognuno di essi nella sua doppia qualità di cittadino direttamente partecipante dell'Unione riformata, da una parte e, dall'altra, come membro indirettamente partecipante di una delle nazioni europee partecipanti.
Non può escludersi che la Corte Costituzionale tedesca privi i partiti politici dell'iniziativa, ordinando che si celebri un plebiscito per la riforma della Costituzione. In questo caso, essi non potranno continuare ad eludere la presa di posizione rispetto all'alternativa finora mascherata. Arrivati a questo punto, non sembrerà più illusoria l'iniziativa appoggiata dal Partito Socialdemocratico, l'Unione Democratica Cristiana e i Verdi per l'instaurazione di un'assemblea costituente, sui cui risultati si potrebbe votare simultaneamente (ma non prima che passi il prossimo periodo elettorale) con il plebiscito costituzionale. Rispetto alla Repubblica Federale Tedesca, consideriamo darebbe speranza che un'alleanza di partiti, nel corso di questo inedito processo di formazione della volontà e l'opinione pubblica circa un'alternativa di politica europea, sia capace di convincere la maggioranza degli elettori dei vantaggi dell'unione politica.
La giustizia vulnerata
Questa crisi, che dura già da quattro anni ha scatenato uno slancio tematico che dirige l'attenzione dell'opinione pubblica nazionale, come mai prima, sulle questioni europee. In questo modo si è accesa la consapevolezza della necessità di regolare i mercati finanziari e superare gli squilibri dell'Eurozona. Per la prima volta nella storia del capitalismo, una crisi scatenata dal settore più avanzato, la banca, potrebbe essere fermata solo se i Governi mettono i propri cittadini nel ruolo di contribuenti che pagano i danni causati. Con questo si è superato un limite tra processi sistemici e processi propri del mondo della vita. E questo è qualcosa che, a ragione, indigna i cittadini. Il così esteso sentimento di giustizia vulnerata si spiega con il fatto che, nella percezione dei cittadini, processi anonimi dei mercati hanno acquisito una dimensione politica immediata. Questo sentimento si vincola all'ira, aperta o contenuta, che causa la propria impotenza. A esso dovrebbe opporsi una politica orientata verso l'auto-qualifica.
Una discussione sulle finalità del processo di unificazione offrirebbe l'opportunità di ampliare il centro del dibattito pubblico, finora ristretto a questioni economiche. La percezione dello spostamento geopolitico del potere da Occidente a Oriente e la sensazione di una trasformazione della relazione con gli USA situano in una luce diversa i vantaggi sinergici dell'unificazione europea. Nel mondo post-coloniale, il ruolo nell'Europa non solo è cambiato per quello che riguarda la discutibile reputazione delle antiche potenze imperiali, per non parlare dell'Olocausto. Anche le proiezioni statistiche danno all'Europa il destino di un continente con una popolazione calante, peso economico decrescente e importanza politica discendente. Le popolazioni europee devono imparare che, in questo momento, possono affermare il loro modello di società appoggiato in uno Stato sociale e la diversità degli Stati nazionali delle loro culture solo stando insieme. Devono riunire le loro forze, se vogliono continuare a essere influenti nell'agenda politica mondiale e nella soluzione dei problemi globali. La rinuncia all'unificazione europea sarebbe un addio alla storia mondiale.