sabato 10 novembre 2012

Dolore e rabbia a El Pais per i licenziamenti di 129 giornalisti via email

Che un grande quotidiano voglia ristrutturarsi per affrontare la burrasca della crisi economica e superar indenne (o quasi) le sfide delle nuove tecnologie, ci sta, è comprensibile e condivisibile. Che un grande quotidiano licenzi un quarto della sua redazione e buona parte dei veterani che hanno contribuito a renderlo grande, senza ritoccare lo stipendio da 14 milioni di euro all'anno del Presidente del Gruppo che lo controlla e di qualche milione in meno dei consiglieri che siedono nel CdA, ci sta un po' meno e fa direttamente schifo.
E non so fino a quando sarà accettabile un modello economico che premia i dirigenti per i loro errori e fa pagare le colpe agli incolpevoli dipendenti. Speriamo che San Obama, impegnato nel primo braccio di ferro con il Congresso, mantenga la promessa di non chiedere un solo sacrificio ulteriore alla classe media se anche i ricchi non inizieranno a pagare le tasse, così da dare l'esempio, l'inizio di una svolta, la dimostrazione di un'alternativa possibile.
Fatto sta che in queste ore a El País hanno ricevuto la lista dei nomi dei 129 giornalisti licenziati per pagare i debiti della dissennata gestione di Juan Luis Cebrián, il tizio che licenzia "perché non possiamo continuare a vivere così bene", ma si blinda per tre anni lo stipendio milionario di 14 milioni di euro all'anno (sono più di un milione al mese, cosa se ne farà questo sconsiderato, nella Spagna che affonda nelle pene e nei debiti?). E pensare che i debiti non sono del quotidiano, che negli ultimi anni ha continuato a macinare utili, seppure sempre minori a causa della crisi economica spagnola, sono causati soprattutto dagli investimenti sbagliati e/o sproporzionati del Gruppo Prisa in America.
Tra i licenziati ci sono firme prestigiose e molto amate: io ho riconosciuto immediatamente Javier Valenzuela, autore di un bel libro, anche critico, dei primi anni passati alla Moncloa, accanto a José Luis Rodriguez Zapatero, come responsabile della Comunicazione (si intitola Viajando con ZP); Ramón Lobo, il cui blog attento ai fatti internazionali, in questi anni ho consultato spesso e con passione. Poi ci sono Enric González, le cui cronache ho sempre letto perché le scriveva lui ed era una garanzia (ma si sapeva già che in gran Enric aveva chiesto di essere inserito nell'elenco dei licenziati, al non riconoscersi più nello storico quotidiano della sinistra spagnola) e Manuel Cuéllar, che si mette sul mercato non appena viene a saperlo.
La cosa ignobile è che il licenziamento è stato comunicato ai giornalisti per email.
"Ramón Lobo, Enric González, Miguel Ángel Villena e io stesso tra i veterani licenziati di El País. Io lavoravo lì da 30 anni" scrive Valenzuela. Ecco come il Grupo Prisa sta trattando la generazione che ha guidato il quotidiano negli anni del socialismo, del boom economico e delle conquiste sociali: li licenzia per email e dimenticando tutti i valori di cui è portabandiera. E la cosa ancora peggiore è che sostituirà questi saperi con i professionisti più giovani, che avranno contratti meno garantisti e più precari, così da renderli anche più manipolabili.
Su storify di eldiario.es i giornalisti licenziati e quelli salvati pubblicano la loro rabbia, il loro dolore e il loro scontento, sia quale sia la parte della barricata che è loro toccata. "Questo è tutto il contrario di quello che El País ha sempre difeso. Il giorno più triste, più penoso da quando sono entrato in questo quotidiano" (Claudi Pérez), "Oggi conterò per me, lentamente, fino a 24. Gli anni che ho lavorato a El Pais. E' valsa la pena" (Santiago Carcar), "In questo momento nella redazione di El Pais assisto a uno dei momenti più vergognosi della mia vita" (Jorge Marirrodriga), "Un abbraccio gigante per il grandissimo Antonio Fraguas.... Licenziato da El Pais... con un'email... Ti si vuole bene. E tanto" (Susana Martin), "El Pais di Euskadi è nato nel 1997. Ci sono stati anni molto duri, prima e dopo. Quasi tutto quel gruppo è stato appena licenziato. Tristezza e rabbia" (Naiara Galarraga).
La conclusione migliore per queste poche righe di solidarietà ai giornalisti che hanno fatto di El País uno dei quotidiani che più ho amato, è di Jorge Marirrodriga: "La redazione di El País ha appena osservato un minuto di silenzio e continua a lavorare. Gli uffici della direzione sono spenti e vuoti".