mercoledì 21 novembre 2012

Giornalismo ed equidistanza ai tempi dei bombardamenti di Israele su Gaza

C'è questo articolo di eldiario.es, letto qualche giorno fa, che continua a frullarmi in testa, in queste lunghe notti mediorientali. Parla del conflitto israelo-palestinese, e della ricercata equidistanza dei media occidentali. Fondamentalmente, parla di giornalismo e informazione.
Ha frasi che rimangono in testa e fanno pensare, perché, come recita il titolo, "l'equidistanza genera mostri". "Non si può trattare allo stesso modo chi bombarda e chi è bombardato, l'assassino e la vittima, il violentatore e la donna violentata, l'oppressore e l'oppresso, l'occupante e l'occupato e  dare la stessa credibilità a una cifra e al suo contrario. Essere giornalisti significa prendere posizione, stare al lato delle vittime, dei diritti umani, della giustizia. Tutto il resto non è giornalismo, ma riproduzione della propaganda".
E non lo so se sono stati vent'anni di giornalismo italiano ipocrita (con poche eccezioni), che volevano la benedetta equidistanza, tra Silvio Berlusconi, che si stava prendendo gioco delle istituzioni repubblicane e dell'economia italiana, e i suoi oppositori, e l'indignazione che come italiana mi produceva vedere i media più importanti che si rifiutavano di prendere posizione, di chiarire da che parte stavano, di spiegare quali valori difendevano. Ma io sono d'accordo: informare è prendere posizione, è offrire un punto di vista, dare strumenti per conoscere una realtà.
"L'equidistanza è uno dei grandi vizi del giornalismo attuale e il trattamento informativo dell'occupazione e della discriminazione che esercita Israele contro i palestinesi ne è un buon esempio. Obbedisce a varie ragioni:
1 L'influenza di Israele in determinate sfere del potere, al di là delle sue frontiere (…)
2 La preparazione di Israele per difendersi sul piano mediatico e far fronte alle critiche. La pressione che esercita perché si scommetta su una chiave informativa favorevole a Tel Aviv (…)
3 La tendenza crescente dei media a ripetere l'interpretazione stabilita dal potere politico ed economico
4 Il modo di lavorare delle redazioni, dove spesso i giornalisti si vedono obbligati a trattare l'informazione come pura mercanzia, con poco margine per indagare, contrastare, riflettere e schivare l'interpretazione maggioritaria.
3 I rischi a cui si espone un giornalista se rompe il discorso dominante e la preparazione (dati, fonti, esperienza, cioè, tempo) di cui ha bisogno per poter osare mettere in discussione l'uniformità dell'informazione".
Nel postgiornalismo, spiega l'articolo, si confondono obiettività, imparzialità e neutralità. Si è equidistanti per non prendere posizione, per non compromettersi. E', il postgiornalismo, "la democratizzazione portata al delirio, la relatività difesa come religione. Nessuno ha più ragione di altri, nessuna visione è più reale di altre, ci sono tante verità come persone".
Così, tornando al conflitto israelo-palestinese, si dimentica che l'origine del conflitto posa su "un'occupazione illegale, condannata da diverse risoluzioni dell'ONU e sulla pratica della discriminazione di uno Stato contro un popolo, denunciata una volta e un'altra da molteplici organizzazioni internazionali, che difendono i diritti umani. La realtà è che c'è un'occupazione illegale e, pertanto, uno Stato occupante, a nella pratica buona parte dei mezzi di comunicazione di massa preferiscono essere equidistanti e asettici, mettendo allo stesso livello il popolo palestinese e un Esercito che invade, occupa ed espelle, protetto e legittimato da uno Stato che concede aiuti alle persone disponibili a partecipare a questa occupazione".
L'equidistanza ha risultati drammatici per l'informazione davanti alla tragedia del popolo palestinese, ma anche comici davanti alle manifestazioni di protesta popolari, che permettono ai media di titolare 35mila partecipanti alla manifestazione del 14N di Madrid. Per i sindacati un milione di persone. Com'è possibile che un mezzo di comunicazione davanti a cifre così contraddittorie non sappia prendere posizione e raccontare la verità, cioè che per le strade di Madrid di sicuro non c'erano 35mila persone?
E quanto sia pericolosa l'equidistanza, il rifiuto di prendere posizione da parte della stampa lo si vede al leggere i titoli di un'ipotetica stampa equidistante ai tempi di Hitler: Il rabbino del ghetto di Varsavia denuncia che i nazisti stanno massacrando i Giudei. Goebbels lo nega
"Dov'è la realtà in questa frase? L'equidistanza, così "rispettosa", lascia nelle mani del ricettore il compito di trovarla. Facendosene scudo, in un'apparente imparzialità, un certo giornalismo di massa, mantiene una posizione continua, riproduce narrative marcate dal pensiero dominante, abbandona l'impegno che questo mestiere esige nei confronti del più debole".
Ho un'idea militante del giornalismo, credo fermamente nell'importanza delle idee e della loro trasmissione e non apprezzo chi, nella vita o nel giornalismo, non ha una posizione. Non so se sia giusta o meno l'idea di un giornalismo militante, è la mia idea, ma in questi giorni di bombardamenti sulla Striscia di Gaza, non riesco a togliermi dalla testa quella frase: Il rabbino del ghetto di Varsavia denuncia che i nazisti stanno massacrando i Giudei. Goebbels lo nega. E no, non è giornalismo.