lunedì 5 novembre 2012

Pérez Reverte: la paura della morte trasforma la commemorazione dei Defunti in Halloween

Non amo parlare delle tragedie perché non riesco mai a individuare il filo sottile tra la cronaca e il voyeurismo. E mi infastidisce profondamente il tentativo, fatto dai media, tv in testa, di emozionare con una disgrazia e passare poi oltre, fino alla nuova tragedia da analizzare, per suscitare altre lacrime. Ho sempre l'impressione che, in realtà, il susseguirsi di forti emozioni da telegiornale indichi la nostra incapacità di sentire davvero, di provare veramente empatia per quello che succede nel mondo. Dunque, ho preferito non parlare delle quattro ragazze morte a Madrid, nella notte di Halloween, durante una macrofiesta al Madrid Arena. E' una tragedia che in Spagna sta scatenando polemiche e discussioni e che sta spingendo i media a rovistare nelle vite delle quattro giovani, per spingere il pubblico a provare maggior pena. Non partecipo a questi giochi.
Ieri su Twitter ho letto le riflessioni di Arturo Pérez Reverte sull'argomento. Riguardano, più che altro, il nostro rapporto con la morte. Lo temiamo tanto da aver trasformato la "commemorazione dei defunti" nella "celebrazione di Halloween". Mi piacciono le cose che scrive, le condivido. Mi piace lo stile con cui scrive, ma questo è difficile che non succeda sempre.
Le riflessioni domenicali di Arturo Pérez Reverte suscitano sempre inspiegabili polemiche su Twitter e lui si diverte a ritwittare i tweets più polemici che gli inviano (in genere sono di chi non ha capito i suoi toni ironici, quando non sarcastici).
Ieri notte ho tradotto in italiano quello che ha scritto e lo lascio qui, per chi ha voglia di pensare al passaggio dai Defunti a Halloween.

Notte tetra, era la reclame. Halloween. Morti, streghe e compagnia. Lo stupido nome dell'evento è risultato appropriato.
E' un triste paradosso che frivolizziamo la morte in questo modo e quando si presenta e ci dice, buonanotte, sono qui, ci sorprendiamo
Credo ci sia un fattore che scappa generalmente alle analisi che ho letto in questi giorni. Un dettaglio inavvertito o quasi.
Tutti parlano di cause e di colpevoli e li cercano. E a ragione. Bisogna esigere responsabilità, ovviamente. Ci mancherebbe.
Più di 10mila giovani, uno spazio chiuso, alcol e accessori abituali dell'alcol esigono un controllo del rischio più efficace, ovviamente.
La negligenza, l'ambizione di fare soldi, l'incapacità di prevedere, la mancanza di sicurezza, l'inefficienza devono essere stabilite e castigare con estremo rigore.
Chi ha trasformato questo in un imbuto mortale deve pagare. E anche i complici attivi o passivi. Complici privati o istituzionali.
Se è impossibile garantire la sicurezza in macrofiestas con 10mila persone (e credo sia impossibile), che non si permettano e punto.
Non si possono mettere in pericolo migliaia di giovani in modo così irresponsabile. E, secondo gli indizi, ripetuto. Perché temo che si ripeterà.
Ma, d'altra parte…
Converrebbe che le migliaia di giovani, con buon senso, calcolassero da soli i propri rischi. Il pericolo. E prendessero precauzioni.
Ma lì c'è uno dei principali problemi. Tanto grave come gli altri. Oggi nessuno crede che si possa morire. E i giovani meno degli altri.
Viviamo tutti credendo che questo sia un film in cui i morti si alzano finita la scena.
Abbiamo convinto i giovani che la morte sia solo Halloween.
Abbiamo persino cambiato il giorno dei Defunti di sempre, il ricordo dei parenti e amici morti, con la frivola stregoneria dei film americani.
Abbiamo cambiato la memoria della morte per un carnevale assurdo. E così viviamo adesso. E così moriamo adesso. A metà del Carnevale.
Oggi quasi nessuno sa che morirà davvero. Né vuole saperlo, anche se basta guardarsi intorno. Né tra i giovani né tra gli adulti.
Nessuno più educa i ragazzi affinché abbiano presente che la morte esiste. Che la morte usa far pagare caro questo tipo di ignoranza.
C'è un altro fattore che gli analisti della tragedia sembrano omettere: responsabilità, ovviamente. Colpevoli e il resto. Ma dimenticano qualcosa.
Dimenticano il caso. Le regole crudeli del territorio ostile che è il mondo in cui viviamo.
Dimenticano di citare la disgrazia, la morte, come ingredienti normali. Come parte della vita.
Ci sono sempre state disgrazie. Ci saranno sempre tsunami. Iceberg per i Titanic. La previsione può attenuarlo, ma non impedirlo.
Il caso, la strana lotteria della vita segnala spesso questo o quello. Non c'è modo di evitare quando esce il tuo numero. Ed esce sempre.
Come dicono nel Messico, quando non ti tocca, non ti succede neanche se ti esponi. Quando ti tocca, succede anche se ti togli.
In Paesi non molto lontani, America, Africa, Asia, lo sanno. Lo ricordano come una cosa fresca i Balcani, per esempio. O le coste del tsunami.
 Il mondo è un posto pericoloso. Lo è sempre stato. Ma in questa stupida società comoda del benessere, lo abbiamo dimenticato da tempo.
I nostri nonni lo sapevano. Per questo loro "commemoravano" Defunti, mentre noi "celebriamo" Halloween.
Viviamo in posti chiamati la Vaguada, El Arroyo o El Almarjal e poi ci sorprendiamo che l'alluvione ci porti via case e vite.
Nuotiamo nel fango, prendiamo i cadaveri e ci chiediamo, come imbecilli: "Come è potuto succedere?"
Quando la risposta è molto semplice: "E' solo la vita, stupidi, con il suo cassiere in frac".
Mi chiedo se disgrazie come quella del Madrid Arena ci servono davvero per ricordarcene. E ho paura di no.
Suppongo che tra pochi giorni lo avremo dimenticato. Fino alla prossima notte tetra. Fino alla prossima alluvione. Fino al prossimo iceberg.