venerdì 14 dicembre 2012

20 anni per superare la crisi economica spagnola

Ci vorranno 20 anni perché la Spagna torni ai livelli di benessere precedenti alla crisi economica. Lo sostiene un rapporto di Intermón Oxfam, intitolato Crisis, desigualdad y pobreza (Crisi, disuguaglianza e povertà) e realizzato con la collaborazione di Médicos del Mundo, UNICEF, Caritas e varie organizzazioni legate alla Compagnie del Gesù.
E' un rapporto duro e spietato, che mette sul banco d'accusa la politica di tagli e austerità applicata dal Governo, anche su imposizione dell'Unione Europea, e che sottolinea come la società spagnola sia sempre più polarizzata, con i ricchi sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri e la classe media sempre più impoverita. "La Spagna arriverà a 18 milioni di poveri nel 2022 e il 40% degli spagnoli sarà povero" ha detto il direttore di Intermón José María Vera.
Per arrivare a queste drammatiche conclusioni, il rapporto usa come metro di paragone l'America Latina e il Sud-Est Asiatico, che vissero crisi simili a quella che sta affrontando la Spagna, avendo però la possibilità, che la Spagna non ha, di usare la svalutazione delle monete nazionali per recuperare competitività internazionale. Queste due regioni hanno impiegato una ventina d'anni per recuperare i livelli di benessere, o comunque per superare la povertà in cui erano cadute. E, siccome la Spagna, nonostante il loro esempio nefasto, applica le stesse politiche di austerità, difficile immaginare che la sua evoluzione possa essere diversa. "Le ricette che si stano applicando in Spagna serviranno solo ad aumentare disoccupazione, povertà e disuguaglianza" ha detto ancora Vera "Sono le stesse politiche di tagli che gli organismi internazionali hanno imposto a Latinoamérica e Sud-Est, solo che adesso si chiamano austerità".
Ma in Spagna si stanno facendo tagli che hanno una giustificazione non solo economica, ma anche ideologica Approfittando della crisi economica si sta smantellando lo Stato Sociale. Non c'è giorno, ormai, che a Madrid non ci sia una manifestazione di protesta per le controriforme volute dal Governo conservatore di Mariano Rajoy. La scorsa settimana le strade madrilene sono state appannaggio del personale sanitario della Comunidad de Madrid, che sta lottando, anche con scioperi a oltranza, contro la privatizzazione delle strutture, affinché la Sanità sia sempre un diritto di tutti i cittadini e non solo di chi è sufficientemente ricco da permettersi di poterla pagare. I malati cronici dovranno pagare il trasporto in ambulanza e i pazienti di Madrid e della Catalogna dovranno pagare un euro per ricetta. Si scontrano, nello stesso Paese, modelli di Sanità diversi, con l'Andalusia che è all'avanguardia, anche nella ricerca, con i suoi ospedali pubblici, con la Catalogna costretta a tagli selvaggi dal suo enorme deficit e con Madrid che sta seguendo la strada catalana, chiudendo ospedali, tagliando posti letto, licenziando medici e togliendo servizi ai cittadini. Lo smantellamento della Sanità pubblica poco ha a che vedere con i conti spagnoli e molto con l'ideologia popolare, che privilegia il privato sul pubblico: la Spagna spende per la Sanità, meno della media dell'Unione Europea.
Quando non manifestano i lavoratori della Sanità, ci pensano quelli delle Scuole e delle Università, che protestano contro la controriforma scolastica di José Ignacio Wert. E' una contoriforma che riporta la Spagna indietro di decenni, che ridà protagonismo alla Chiesa e alle scuole private, che toglie fondi alle Università pubbliche, per accedere alle quali sono già state aumentate le tasse, e che crea grandi polemiche in Catalogna, al voler togliere al catalano il "privilegio" di lingua veicolare, per darlo allo spagnolo. Anche in questo caso la scelta è strettamente ideologica: il protagonismo della Chiesa e, in Catalogna, del castigliano, poco hanno a che vedere con il deficit e molto con l'ideologia del PP. E, del resto, vista la scarsa preparazione degli studenti spagnoli negli esami internazionali, PISA in primis, non è con la chiusura dell'accesso alla scuola per i più poveri e con le facilitazioni alle scuole concertate o direttamente private su quelle pubbliche, che si otterranno generazioni più preparate né si otterranno risultati migliori.
Ci sono poi anche le manifestazioni di chi deve ricorrere alla giustizia e di chi nella giustizia lavora: il minsitro Alberto Ruiz Gallardón ha approvato, pure lui, una controriforma, secondo la quale bisognerà pagare una tassa per il ricorso alla Giustizia. Per esempio, il divorzio costa 300 euro, il ricorso contro una multa 200 euro, un ricorso al Tribunal Supremo, la Corte Costituzionale, può arrivare fino a 1200 euro. La Giustizia diventa un privilegio dei ricchi e nei giorni scorsi hanno manifestato contro quest'idea, tutti insieme, magistrati, procuratori, avvocati e semplici cittadini. Ruiz Gallardón ha fatto sapere che lui è arrivato per fare riforme, che non tornerà indietro e che bisogna rendere la Giustizia più snella (il che è condivisibile, ma l'idea dovrebbe essere che dovrebbe essere dotata di maggiori mezzi, non che sia privilegio di chi ha abbastanza soldi da potersela permettere).
Al vedere quello che sta succedendo in Spagna, al vedere come il PP sta utilizzando la crisi economica per smantellare lo Stato Sociale, per negare i diritti dei cittadini, forte di una maggioranza assoluta che evita qualunque confronto e compromesso in Parlamento, viene da pensare a quanto, nella disgrazia del debito, l'Italia sia stata più fortunata, al poter contare su una maggioranza politica che coinvolge le principali forze del Paese e su un Presidente del Governo, Mario Monti, che adesso tutti tirano per la giacchetta e che, pur essendo moderato, tende ad avere, comunque, preoccupazioni sociali che Mariano Rajoy e il suo Governo, se le hanno, nascondono molto bene (eldiario.es racconta di come Fatima Báñez, Ministro del Lavoro spagnolo, non si sia presentata a un vertice dei Ministri del lavoro europei sulla disoccupazione per partecipare al cocktail del Parlamento per la Festa della Costituzione spagnola del 6 dicembre).
Il rapporto di Intermón Oxfam propone tre punti di cambio delle politiche spagnole per non polarizzare la società e superare la crisi economica. Ci dev'essere un sistema fiscale più giusto, con una lotta "contro i paradisi fiscali, con misure fiscali progressive e con una tassa sulle transazioni finanziarie da destinare alla lotta alla povertà domestica e internazionale". E' inoltre necessario garantire politiche sociali e cooperazione per lo sviluppo, nonostante i tagli in atto. E bisogna, infine, garantire la trasparenza delle istituzioni, arrivando anche a chiedere responsabilità penali a chi ha abusato della propria posizione nel sistema finanziario. La Spagna, avverte ancora il rapporto, si trova davanti a cambi così profondi, che richiedono un nuovo contratto sociale tra cittadini e Stato.