mercoledì 26 dicembre 2012

Il discorso di Natale di Re Juan Carlos: fiducia e grande politica, per il riscatto della Spagna

I discorsi di Natale dei monarchi in generale non servono a niente (così come quelli dei Presidenti della Repubblica nelle stesse circostanze). Chiedete ai cittadini dei Paesi monarchici se ricordano qualche messaggio natalizio dei loro sovrani e vedrete. Non fa eccezione quest'anno: basta una veloce lettura dei messaggi dei sovrani di Scandinavia. Benelux, UK e Spagna per rendersi conto che, cambiando i nomi dei Paesi, sarebbero stati piuttosto intercambiabili: la crisi sta scuotendo la nostra società, richiede sacrifici che dobbiamo affrontare insieme, con maggiore solidarietà con i più colpiti e con più Europa nelle nostre vite, perché solo uniti ne usciremo e sapremo affrontare i cambiamenti che ci sono imposti (credete che Giorgio Napolitano dirà qualcosa di diverso la notte di Capodanno?).
Non è andata diversamente quest'anno in Spagna, dove il discorso di Natale di re Juan Carlos passerà alla storia per due ragioni essenziali, che poco hanno a che vedere con le sue parole: è stato il primo discorso in diretta su youtube, sul canale che la Casa Reale ha appena inaugurato, ed è stato il primo che il monarca ha pronunciato stando appoggiato alla scrivania del suo studio, come un professore universitario che vuole apparire moderno e vicino agli studenti e per questo rinuncia alla ieraticità e alla lontananza imposte dalla scrivania. Sono questi gli argomenti che più hanno colpito media e cittadini.
Poi ci sono le parole del Re. Che non fanno riferimento ai guai familiari dell'ultimo anno, che non si occupano di disoccupazione e sfratti, che fanno un minimo accenno alla deriva indipendentista della Catalogna e solo attraverso parole indirette. "Voglio riflettere con voi su quello che ci preoccupa e anche sulle nostre speranze, cioè la crisi economia, la forza della Spagna come nazione europea e iberoamericana e la necessità di rivendicare la politica come strumento necessario per unire le forze di tutti e iniziare l'uscita dalla crisi e le sfide che abbiamo davanti" ha detto il Re come incipit.
La crisi ha raggiunto "un'intensità, un'ampiezza e una persistenza nel tempo che nessuno si immaginava", per questo il re si preoccupa delle tante persone colpite, "in particolare i giovani che ogni giorno si alzano con una sensazione di insicurezza e scoraggiamento". Ma lo preoccupa soprattutto il pessimismo che accompagna il peggioramento delle condizioni di vita, perché è accompagnato da una disaffezione alle istituzioni e alla politica. Il Re non nega che "affinché la nostra economia torni a crescere dobbiamo mettere in ordine i conti e generare stimoli per la creazione di ricchezza." E il primo stimolo, al di là delle ricette economiche, "si chiama generazione di fiducia". E' la fiducia, ha spiegato il Re, che nei suoi 37 anni di regno, ha permesso alla Spagna di superare "diverse situazioni complicate".
La crisi della Spagna si inserisce nella crisi globale e per questo il Paese non deve perdere la sua voce in Iberoamérica, "nostra parte fondamentale, come noi lo siamo di lei", né in Europa, dove bisogna "continuare a lavorare per superare le visioni meramente nazionali e per rafforzare le basi di solidarietà con cui tutti abbiamo avanzato nel processo d'integrazione".
Le parole più appassionate il sovrano spagnolo le ha dedicate però alla difesa della grande politica, quella che "dal Governo e dall'opposizione, concentra la sua attenzione nell'interesse generale e nel benessere dei cittadini" e sa mettere in secondo piano i propri interessi "per ottenere qualcosa di più grande e migliore per tutti", quella che "cerca l'accordo e l'intesa per dirigere e risolvere le grandi e fondamentali sfide collettive". La politica, insomma, come non siamo più abituati a vederla in Europa e che in Spagna ha permesso il passaggio pacifico dalla dittatura alla democrazia, attraverso la Transición. E' la politica, ha detto il Re, che è "l'unica ad avere la capacità di riaffermare la fiducia nella nostra grande nazione, aprire porte nuove alla speranza e materializzare questo anelo di superazione che sta reclamando la nostra società". Per arrivare a questi risultati è necessario "promuovere valori come il rispetto e la lealtà reciproci. Sono valori che più di trent'anni fa hanno contribuito a mettere in piedi un nuovo spazio di convivenza, il riconoscimento della nostra pluralità e la protezione delle differenti lingue, culture e istituzioni spagnole. E' ora che tutti guardiamo in avanti e facciamo il possibile per chiudere le ferite aperte. Sarà di nuovo un successo di tutti, cittadini ed istituzioni, basato nel rispetto delle letti e della loro direzione democratica".
E' un Re che difende lo statu quo, il sistema bipartitico ereditato dalla Transición, in cui non trovano spazio le nuove istanze e le nuove inquietudini generate dalla crisi; è un Re che non sa rispondere agli aneli catalani se non attraverso il politicamente corretto del "restiamo uniti"; è un Re che sta terminando il suo regno come mai avrebbe pensato e che pure, vuole morire combattendo, come si dice nella sua bella lingua per indicare la determinazione di chi non si arrende.
Il suo discorso è stato pubblicato nel sito web della Casa Reale anche nelle lingue coufficiali in Catalogna, Paesi Baschi, Comunitat Valenciana e Galizia. Un'attenzione e una sensibilità verso le istanze delle molte Spagne del suo regno e che arriva, curiosamente, dopo l'ultimo sgarbo della Catalogna, il giorno prima. Artur Mas ha pronunciato il suo discorso di insediamento alla Generalitat, il Governo della Catalogna, avendo alle spalle un grande drappo nero, che nascondeva un ritratto di re Juan Carlos, presente per legge negli spazi istituzionali di Spagna.