Fino a ieri le richieste di abdicazione di re Juan Carlos
erano toccate a senatori più o meno folkloristici e a gruppi minoritari
repubblicani. Ma ieri, per la prima volta, è stato il Segretario del Partito
Socialista Catalano Pere Navarro a chiedere che il sovrano si faccia da parte e
lasci il trono al figlio Felipe, affinché possa guidare la Spagna attraverso
una segunda transición. Il PSOE si è immediatamente smarcato, con un
comunicato in cui assicura di non condividere "affatto" le
affermazioni di Navarro, considerate "totalmente inadeguate". Ma in
realtà il PSOE può rimproverare a Navarro solo i tempi: da ieri è in corso in
Spagna il Dibattito sullo Stato della Nazione e arrivare sui media con una
richiesta così clamorosa come l'abdicazione del Re non è la cosa più
intelligente che si possa fare, visto il clima di accuse e controaccuse tra i
due principali partiti spagnoli.
La richiesta di abdicazione in sé, invece, non è cosa così peregrina e Navarro
la avanza dalla sua posizione di "repubblicano convinto", che
riconosce a re Juan Carlos tutti i meriti del suo regno trentennale: la
conquista pacifica della democrazia, il lungo periodo di pace e di benessere da
lui garantito, la nascita dello Stato Sociale favorita dai suoi Governi.
Insomma don Juan Carlos è stato "un buon re" e non è in discussione.
Come si direbbe in Italia, il problema è un altro.
La Spagna è un Paese in crisi economica, sociale e politica, chi legge Rotta a
Sud Ovest legge spesso delle difficoltà che gli spagnoli devono affrontare,
degli sfratti e degli indignados, delle spinte centrifughe della
Catalogna e delle esigenze di pace in Euskadi, della corruzione della classe
dirigente e degli scandali finanziari. Insomma, la Spagna è un Paese che può
ripartire solo attraverso una rifondazione del suo modello economico, politico
e sociale. E la Monarchia, secondo Navarro, "non può rimanere al margine
dei cambi", deve cioè "modernizzarsi", deve "accettare le
norme di trasparenza che oggi esigono i cittadini" (la Casa Reale è
esclusa dalla Legge di Trasparenza che controlla conti e azioni degli Enti
pubblici). Può farlo con re Juan Carlos, un uomo che appartiene a una
generazione destinata al tramonto, alla metà del suo ottavo decennio di vita?
Secondo Navarro no, non può essere re Juan Carlos a guidare la Spagna nel XXI
secolo. Deve farlo il principe Felipe. "Credo sinceramente che il ruolo
del principe debba essere, o se mi permettere, possa essere rilevante per
arbitrare i profondi cambi che richiede il nostro Paese. Questa seconda transición
dev'essere costruita su nuove base istituzionali moderne, adatte al nostro
tempo".
Navarro non dice niente di sorprendente o di rivoluzionario. Che re Juan Carlos
appartenga ormai al passato e non possa guidare questa nuova transizione del
Paese, è stato chiaro qualche mese fa, poco prima delle elezioni catalane,
quando, con un comunicato nel sito web della Casa Reale, si è appellato allo spirito della Transición e si è appellato
all'unità nazionale per difendere non una nuova Spagna, non il futuro, non le
opportunità possibili nel cambio del modello politico, ma "quello che
abbiamo". Come se questa crisi economico-politico-sociale non fosse anche
risultato degli errori di quella Transición che il tempo ha dimostrato
non essere così perfetta come era stata venduta ed era sembrata. Ci sono
milioni di spagnoli, ormai 30-40enni, che non hanno vissuto la Transición,
non hanno rapporti diretti con la sua epoca, con gli equilibri e le con le
paure di cui è stata frutto. Come Felipe sono cresciuti in democrazia, hanno
rapporti frequenti con i coetanei europei, hanno uno sguardo diverso verso i
nazionalismi, l'establishment e lo stesso ruolo della Monarchia. E'
stato allora, in quell'appello per l'unità, con lo spirito della Transizione,
che si è capito come Juan Carlos fosse prigioniero del suo tempo, legato
all'eroismo della sua generazione (per la quale però i più giovani non hanno ammirazione
reverenziale e propongono apertamente una sua rottamazione) e dunque inadatto per traghettare il Paese verso nuove forme di
convivenza.
Il tabù sull'abdicazione di re Juan Carlos è stato rotto con le sorprendenti
dimissioni annunciate recentemente da Beatrice d'Olanda e a Papa Benedetto XVI.
Ma, nonostante i tweets violenti, le battute sarcastiche e le conversazioni
da Bar dello Sport, quando se ne parla seriamente sembra di trovarsi davanti ai
discorsi che si fanno su Repubblica o Monarchia. A parole sembrano tutti
repubblicani e fieramente antimonarchici, ma appena chiedi, "allora in un
referendum voteresti per la Repubblica?" iniziano i se e i ma: "A noi
la Repubblica ha portato sfiga", "Il re ci ha garantito la pace e la
democrazia", "In fondo io così sto bene", "La Repubblica
finisce sempre in una Guerra Civile e nell'isolamento dall'Europa". Lo
stesso con l'abdicazione del re: abituarsi a un trono senza Juan Carlos, dopo
35 anni? Perdere anche il riferimento del Capo dello Stato, dopo aver perso
tutto? Credere che il Principe possa davvero guidare il Paese nella
Transizione? Bisogna avere coraggio e non tutti sono disposti ad averlo.
Il PSC, il Partito Socialista Catalano, ha deciso di andare avanti nella sua
richiesta e intende convincere il PSOE, con cui è alleato, della necessità di
un cambio alla testa dello Stato. "Fino a qualche tempo fa il PSOE rifiutava
anche di discutere di riforme costituzionali in senso federale, ma poi Alfredo
Pérez Rubalcaba le ha fatte proprie e ieri, nel Dibattito sullo Stato della Nazione,
le ha reclamate" dicono i dirigenti del PSC. Ergo, il PSOE potrebbe
convincersi della necessità che Felipe arrivi presto sul trono.
Una necessità che sembra segnalare anche la salute di re Juan Carlos: la
Zarzuela ha annunciato che il sovrano sarà operato il 3 marzo per una
riacutizzazione dei problemi all'ernia. Un intervento che non prevede
particolari problemi, come la maggior parte di quelli a cui è stato sottoposto ultimamente.
Ma intanto è la quarta operazione in un anno e il viaggio ufficiale previsto per il 3 marzo in Marocco è stato rimandato.