Poco più di un anno fa si insediava in Spagna il Governo
conservatore di Mariano Rajoy e gli spagnoli concludevano il 2011 con le prime
misure non previste dal programma elettorale del Partido Popular. Si trattava di
un primo aumento delle tasse e di un primo taglio alla spesa pubblica, che il
Governo aveva attribuito all'"eredità ricevuta"; il deficit risultava
essere più alto di quanto raccontato dal PSOE e il PP si era trovato a dover
prendere misure d'emergenza per rientrare nei numeri promessi a Bruxelles. Da
allora "l'eredità ricevuta" è stato l'alibi utilizzato per mesi, per
spiegare i tagli selvaggi alla spesa pubblica, allo Stato Sociale, ai diritti
dei cittadini.
Ogni tanto, nei discorsi italo-spagnoli, ritorna la solita ansia di comparazione tra Italia e Spagna. Qualche anno fa si discuteva quanto la dinamica Spagna del boom economico potesse essere un esempio economico e sociale per l'Italia vecchia e stagnante e noi italiani ci sentivamo sempre un po' in difficoltà nelle discussioni con gli amici spagnoli. Sono stati necessari solo due anni per cambiare a 180° le sensazioni di italiani e spagnoli, in queste conversazioni di paragoni tra i nostri due Paesi. Adesso sono gli amici spagnoli che ci guardano con curiosità e una certa ammirazione (ma non c'è alcuna soddisfazione in questo, posso giurarlo).
Mi capita spesso di leggere e di sentire critiche feroci a Mario Monti, e magari alcune le merita anche, ma non bisogna neppure dimenticare che ha dovuto mediare con la sua strana maggioranza, con una destra che non ci stava a ridurre corruzioni e privilegi e con una sinistra non troppo disponibile sulle liberalizzazioni nel lavoro. Ho sempre pensato che la storia sarebbe stata diversa se la maggioranza di Mario Monti fosse andata dall'UDC al PD e persino a SEL, partiti con una responsabilità di Governo e un senso dello Stato che il PdL non ha mai dimostrato in 20 anni di potere nazionale e locale. Il Governo Monti, comunque, è un Governo che ha discusso con i sindacati, con le parti sociali e che ha cercato l'accordo in Parlamento; le leggi che ha proposto e che la strana maggioranza ha approvato sono insomma il risultato di un dibattito che in qualche modo si è mosso nella società italiana.
In Spagna non è così.
Mariano Rajoy gode di una maggioranza assoluta che non si era mai vista nel Parlamento spagnolo in democrazia. Il PP controlla tutte le Regioni spagnole, con le eccezioni di Paesi Baschi e Catalogna, in mano ai nazionalisti locali, e Andalusia e Asturie, governate da coalizioni capitanate dai socialisti. Il potere in mano ai conservatori è enorme ed è molto difficile, parole a parte, che il PP cerchi il consenso delle parti sociali, dell'opinione pubblica e dei partiti in Parlamento: ha i numeri per fare quello che gli pare. E lo fa. Di fatto non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte in campagna elettorale: ha aumentato le tasse, ha aumentato l'IVA, ha bloccato le pensioni, ha ridotto i servizi della Sanità, arrivando addirittura a chiedere 60 euro all'anno ai malati cronici che hanno bisogno del trasporto in ambulanza e togliendo la Sanità ai cittadini residenti illegalmente in Spagna, ha proposto riforme che di fatto privilegiano la scuola pubblica sulla privata, ha approvato una riforma del lavoro che facilita i licenziamenti e indebolisce i lavoratori.
Sia la Spagna che l'Italia stanno peggio di un anno fa. Ed entrambi i Governi accusano l'"eredità ricevuta" per spiegare il proprio insuccesso. Con la differenza che l'Italia arriva da 10 anni di non-governo, la Spagna arriva da 10 anni in cui ha rispettato i parametri di Maastricht e ha avuto un surplus nei conti che le ha permesso di avviare numerose riforme sociali. Con la differenza che l'Italia ha avuto una sorta di Grande Coalizione tecnocratica per iniziare a fare le riforme che nessuno voleva fare per non rischiare l'impopolarità e la Spagna si è data con le mani e i piedi legati a un solo Partito, che ha i numeri per agire anche ideologicamente sulla crisi.
Qui sta la differenza tra Italia e Spagna. Il Governo italiano, che pure deve rispondere agli stessi diktat di Bruxelles, ha ascoltato le resistenze alle sue riforme e ha cercato di mediar,e ora con la destra ora con la sinistra, ed è stato uno dei primi a esigere a Bruxelles le misure di crescita accanto all'austerità. Il Governo spagnolo, che si è accodato a Roma e a Parigi quando le pressioni per le richieste del salvataggio lo hanno messo in difficoltà a Madrid, ha usato, e usa, la crisi economica per smantellare ideologicamente lo Stato Sociale.
Ha iniziato a denunciarlo, con una certa forza, Alfredo Pérez Rubalcaba, il leader del PSOE, che dopo varie batoste elettorali si è reso conto della necessità di darsi una mossa per non soccombere. Visto che l'opposizione "responsabile" e la politica della mano tesa non sonno servite a fermare il PP e a spingerlo al dialogo, dati i numeri, da qualche settimana il discorso di Rubalcaba si è fatto più aggressivo. Ammesse responsabilità e colpe del PSOE nella crisi economica spagnola, accettato che il PSOE è stato il primo ad attuare politiche liberiste care a Bruxelles, chiesto scusa agli elettori per quanto si è sbagliato, Rubalcaba è partito in quarta. E da Facebook saluta il 2012 con un duro attacco al PP sull'"eredità ricevuta". "Non è l'eredità, ma l'ideologia di destra che sta dietro una riforma del lavoro che taglia i diritti e lascia i lavoratori alla mercè degli imprenditori" scrive il Segretario del PSOE "non è l'eredità, ma l'antica pretesa della destra che giustificano la privatizzazione della sanità pubblica e i favori alla scuola privata. Non è l'eredità, ma principi politici che ignorano la solidarietà che hanno portato il PP a imporre il pagamento dei farmaci ai pensionati. La situazione economica è il grande alibi del PP per spiegare il suo programma al massimo, quello che finora non erano mai arrivati a osare proporre. Le politiche antisociali imposte da Rajoy non obbediscono che alla sua ideologia. Non è l'eredità, è la destra".
Potrebbe essere un nuovo slogan elettorale, per spiegare agli spagnoli le differenze e spingerli finalmente a guardare avanti e a superare gli errori del PSOE. E' la richiesta anche di molti commenti al post di Rubalcaba, tra i tanti tremendistas che si continuano a pubblicare.
Che il 2013 porti quel cambio di vento di cui la Spagna ha bisogno e che il PSOE sia finalmente all'altezza e sappia coglierlo, per non fare la fine del Pasok.
Ogni tanto, nei discorsi italo-spagnoli, ritorna la solita ansia di comparazione tra Italia e Spagna. Qualche anno fa si discuteva quanto la dinamica Spagna del boom economico potesse essere un esempio economico e sociale per l'Italia vecchia e stagnante e noi italiani ci sentivamo sempre un po' in difficoltà nelle discussioni con gli amici spagnoli. Sono stati necessari solo due anni per cambiare a 180° le sensazioni di italiani e spagnoli, in queste conversazioni di paragoni tra i nostri due Paesi. Adesso sono gli amici spagnoli che ci guardano con curiosità e una certa ammirazione (ma non c'è alcuna soddisfazione in questo, posso giurarlo).
Mi capita spesso di leggere e di sentire critiche feroci a Mario Monti, e magari alcune le merita anche, ma non bisogna neppure dimenticare che ha dovuto mediare con la sua strana maggioranza, con una destra che non ci stava a ridurre corruzioni e privilegi e con una sinistra non troppo disponibile sulle liberalizzazioni nel lavoro. Ho sempre pensato che la storia sarebbe stata diversa se la maggioranza di Mario Monti fosse andata dall'UDC al PD e persino a SEL, partiti con una responsabilità di Governo e un senso dello Stato che il PdL non ha mai dimostrato in 20 anni di potere nazionale e locale. Il Governo Monti, comunque, è un Governo che ha discusso con i sindacati, con le parti sociali e che ha cercato l'accordo in Parlamento; le leggi che ha proposto e che la strana maggioranza ha approvato sono insomma il risultato di un dibattito che in qualche modo si è mosso nella società italiana.
In Spagna non è così.
Mariano Rajoy gode di una maggioranza assoluta che non si era mai vista nel Parlamento spagnolo in democrazia. Il PP controlla tutte le Regioni spagnole, con le eccezioni di Paesi Baschi e Catalogna, in mano ai nazionalisti locali, e Andalusia e Asturie, governate da coalizioni capitanate dai socialisti. Il potere in mano ai conservatori è enorme ed è molto difficile, parole a parte, che il PP cerchi il consenso delle parti sociali, dell'opinione pubblica e dei partiti in Parlamento: ha i numeri per fare quello che gli pare. E lo fa. Di fatto non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte in campagna elettorale: ha aumentato le tasse, ha aumentato l'IVA, ha bloccato le pensioni, ha ridotto i servizi della Sanità, arrivando addirittura a chiedere 60 euro all'anno ai malati cronici che hanno bisogno del trasporto in ambulanza e togliendo la Sanità ai cittadini residenti illegalmente in Spagna, ha proposto riforme che di fatto privilegiano la scuola pubblica sulla privata, ha approvato una riforma del lavoro che facilita i licenziamenti e indebolisce i lavoratori.
Sia la Spagna che l'Italia stanno peggio di un anno fa. Ed entrambi i Governi accusano l'"eredità ricevuta" per spiegare il proprio insuccesso. Con la differenza che l'Italia arriva da 10 anni di non-governo, la Spagna arriva da 10 anni in cui ha rispettato i parametri di Maastricht e ha avuto un surplus nei conti che le ha permesso di avviare numerose riforme sociali. Con la differenza che l'Italia ha avuto una sorta di Grande Coalizione tecnocratica per iniziare a fare le riforme che nessuno voleva fare per non rischiare l'impopolarità e la Spagna si è data con le mani e i piedi legati a un solo Partito, che ha i numeri per agire anche ideologicamente sulla crisi.
Qui sta la differenza tra Italia e Spagna. Il Governo italiano, che pure deve rispondere agli stessi diktat di Bruxelles, ha ascoltato le resistenze alle sue riforme e ha cercato di mediar,e ora con la destra ora con la sinistra, ed è stato uno dei primi a esigere a Bruxelles le misure di crescita accanto all'austerità. Il Governo spagnolo, che si è accodato a Roma e a Parigi quando le pressioni per le richieste del salvataggio lo hanno messo in difficoltà a Madrid, ha usato, e usa, la crisi economica per smantellare ideologicamente lo Stato Sociale.
Ha iniziato a denunciarlo, con una certa forza, Alfredo Pérez Rubalcaba, il leader del PSOE, che dopo varie batoste elettorali si è reso conto della necessità di darsi una mossa per non soccombere. Visto che l'opposizione "responsabile" e la politica della mano tesa non sonno servite a fermare il PP e a spingerlo al dialogo, dati i numeri, da qualche settimana il discorso di Rubalcaba si è fatto più aggressivo. Ammesse responsabilità e colpe del PSOE nella crisi economica spagnola, accettato che il PSOE è stato il primo ad attuare politiche liberiste care a Bruxelles, chiesto scusa agli elettori per quanto si è sbagliato, Rubalcaba è partito in quarta. E da Facebook saluta il 2012 con un duro attacco al PP sull'"eredità ricevuta". "Non è l'eredità, ma l'ideologia di destra che sta dietro una riforma del lavoro che taglia i diritti e lascia i lavoratori alla mercè degli imprenditori" scrive il Segretario del PSOE "non è l'eredità, ma l'antica pretesa della destra che giustificano la privatizzazione della sanità pubblica e i favori alla scuola privata. Non è l'eredità, ma principi politici che ignorano la solidarietà che hanno portato il PP a imporre il pagamento dei farmaci ai pensionati. La situazione economica è il grande alibi del PP per spiegare il suo programma al massimo, quello che finora non erano mai arrivati a osare proporre. Le politiche antisociali imposte da Rajoy non obbediscono che alla sua ideologia. Non è l'eredità, è la destra".
Potrebbe essere un nuovo slogan elettorale, per spiegare agli spagnoli le differenze e spingerli finalmente a guardare avanti e a superare gli errori del PSOE. E' la richiesta anche di molti commenti al post di Rubalcaba, tra i tanti tremendistas che si continuano a pubblicare.
Che il 2013 porti quel cambio di vento di cui la Spagna ha bisogno e che il PSOE sia finalmente all'altezza e sappia coglierlo, per non fare la fine del Pasok.