giovedì 14 marzo 2013

Arturo Pérez Reverte e i Gesuiti: colti, missionari e romantici, soldati perduti di Dio. E adesso Papa Francesco

E' il primo Papa latinoamericano (non latino, come ha scritto ieri TelemundoNews su Twitter, perché mi deve poi spiegare se tutti i Papi italiani del passato discendevano dagli Aztechi) ed è il primo a chiamarsi Francesco (il Vaticano ha già precisato che al nome non segue il numero romano). E, una delle cose che hanno colpito di più, è anche il primo gesuita ad arrivare al Soglio Pontificio.
Da Twitter Arturo Pérez Reverte rende omaggio a Jorge Bergoglio, da ieri Papa Francesco, rilanciando un suo articolo del 2003, in cui rende omaggio ai gesuiti e ridà spazio alla loro storia. Che grazie alla sua penna si fa più epica e più affascinante. E con la sua penna lo scrittore spagnolo ricorda quanto il Pontificato di Karol Woytila sia stato deleterio per la Chiesa, nonostante le riunioni di massa e il fascino mediatico.
Tutto inizia, in questo articolo, grazie al film Mission, che racconta la lotta di un gruppo di gesuiti in difesa degli indigenas del Paraguay, durante la guerra tra Spagna e Portogallo. Le misiones dei gesuiti, nel triangolo in cui Paraguay, Brasile e Argentina si incontrano, sono oggi un richiamo turistico, ma nel XVIII secolo furono a centro di un sogno e di un'utopia: la convivenza con gli indigenas, il rispetto della loro dignità e la loro evangelizzazione pacifica, attraverso l'esempio. La loro distruzione, da parte di spagnoli e portoghesi, fu l'inizio della fine degli indigenas e l'inizio della decadenza dei gesuiti, espulsi poi dalla Spagna e addirittura soppressi, per qualche decennio, da papa Clemente XIV.
"Quella ribellione mi affascinò da ragazzo, quando lessi alcune relazioni in cui i padri della Compagnia raccontarono come diressero, con disciplina e tattiche militari, la lotta contro i portoghesi. Forse per questo, per il disgraziato destino posteriore dell'ordine, il suo carattere spagnolo e il dettaglio, importante per un giovane lettore, che Alexandre Dumas trasformasse il moschettiere Aramis in superiore della Compagnia, ne Il visconte di Bragelonne, ho sempre attribuito ai gesuiti un carattere romantico, orgoglioso, duro" scrive Pérez Reverte, che riconosce come i gesuiti, oltre a essere colti e missionari, furono anche "nocivi per la libertà e per il progresso".
Però la simpatia non è mai venuta meno e si è alimentata anche negli anni da giornalista, quando ha conosciuto "gesuiti di grande taglia intellettuale, che non predicavano mansuetudine e sottomissione, ma che si battevano: alcuni con la teologia della liberazione e altri con il fucile in mano. Chiedendo che stavolta li lasciassero sbagliare in favore dei poveri, perché per molto tempo la Chiesa si era sbagliata, in favore dei ricchi"
Poi sono arrivati il Concilio Vaticano II, che i gesuiti hanno sostenuto con passione "per il suo impegno verso gli infelici e gli oppressi della Terra", e, quindi, il Pontificato di Karol Wojtyla, "per cui la pietà, il dogma e l'ortodossia contano di più del dibattito libero e la giustizia sociale diretto" e grazie a cui "l'Opus Dei, i Legionari di Cristo e altri movimenti ultraconservatori sono fioriti nel mondo con la protezione di Roma". E in questo tempo di conservatorismo e di chiusura, "l'impegno intellettuale e l'orgogliosa indipendenza hanno reso i gesuiti clienti abituali della Congregazione per la Dottrina della Fede, prima chiamata Inquisizione". E lì, "molti gesuiti castigati, imbavagliati o stanchi, sono caduti nel cammino: 10mila dimissioni in vent'anni e solo 929 seminaristi. Quasi una pulizia etnica".
Ma Arturo Pérez Reverte continua a manifestare simpatia per l'ordine, perché continua fedele nel suo "impegno radicale con i poveri e la liberazione dei popoli, nonostante tutto". Per lui i gesuiti continuano a essere quegli uomini che nel XVIII secolo si misero al lato degli indigenas e "vendettero cara la pelle. Senza arrendersi. Come soldati perduti di Dio".
E credo che tutti abbiamo visto Mission una volta nella vita, Jeremy Irons e Robert De Niro pronti a morire nella foresta paraguayana, per difendere i fratelli indigenas e la possibile convivenza, nel nome di Cristo. Francesco arriva da lì: da quella terra, da quella cultura, soldato di Dio con l'esempio e il rigore. Anche questo un segno di speranza per una Chiesa più aperta e più attenta agli ultimi.
Gracias, don Arturo, como siempre.