E' il primo Papa latinoamericano (non latino, come ha
scritto ieri TelemundoNews su Twitter, perché mi deve poi spiegare se tutti i Papi
italiani del passato discendevano dagli Aztechi) ed è il primo a chiamarsi
Francesco (il Vaticano ha già precisato che al nome non segue il numero
romano). E, una delle cose che hanno colpito di più, è anche il primo gesuita
ad arrivare al Soglio Pontificio.
Da Twitter Arturo Pérez Reverte rende omaggio a Jorge Bergoglio, da ieri Papa
Francesco, rilanciando un suo articolo del 2003, in cui rende omaggio ai gesuiti
e ridà spazio alla loro storia. Che grazie alla sua penna si fa più epica e più
affascinante. E con la sua penna lo scrittore spagnolo ricorda quanto il
Pontificato di Karol Woytila sia stato deleterio per la Chiesa, nonostante le
riunioni di massa e il fascino mediatico.
Tutto inizia, in questo articolo, grazie al film Mission, che racconta la lotta
di un gruppo di gesuiti in difesa degli indigenas del Paraguay, durante la
guerra tra Spagna e Portogallo. Le misiones dei gesuiti, nel triangolo in cui
Paraguay, Brasile e Argentina si incontrano, sono oggi un richiamo turistico,
ma nel XVIII secolo furono a centro di un sogno e di un'utopia: la convivenza
con gli indigenas, il rispetto della loro dignità e la loro evangelizzazione
pacifica, attraverso l'esempio. La loro distruzione, da parte di spagnoli e
portoghesi, fu l'inizio della fine degli indigenas e l'inizio della decadenza
dei gesuiti, espulsi poi dalla Spagna e addirittura soppressi, per qualche
decennio, da papa Clemente XIV.
"Quella ribellione mi affascinò da ragazzo, quando lessi
alcune relazioni in cui i padri della Compagnia raccontarono come diressero,
con disciplina e tattiche militari, la lotta contro i portoghesi. Forse per
questo, per il disgraziato destino posteriore dell'ordine, il suo carattere
spagnolo e il dettaglio, importante per un giovane lettore, che Alexandre Dumas
trasformasse il moschettiere Aramis in superiore della Compagnia, ne Il
visconte di Bragelonne, ho sempre attribuito ai gesuiti un carattere romantico,
orgoglioso, duro" scrive Pérez Reverte, che riconosce come i gesuiti,
oltre a essere colti e missionari, furono anche "nocivi per la libertà e
per il progresso".
Però la simpatia non è mai venuta meno e si è alimentata anche negli anni da
giornalista, quando ha conosciuto "gesuiti di grande taglia intellettuale,
che non predicavano mansuetudine e sottomissione, ma che si battevano: alcuni con
la teologia della liberazione e altri con il fucile in mano. Chiedendo che
stavolta li lasciassero sbagliare in favore dei poveri, perché per molto tempo
la Chiesa si era sbagliata, in favore dei ricchi"
Poi sono arrivati il Concilio Vaticano II, che i gesuiti hanno sostenuto con
passione "per il suo impegno verso gli infelici e gli oppressi della
Terra", e, quindi, il Pontificato di Karol Wojtyla, "per cui la
pietà, il dogma e l'ortodossia contano di più del dibattito libero e la
giustizia sociale diretto" e grazie a cui "l'Opus Dei, i Legionari di
Cristo e altri movimenti ultraconservatori sono fioriti nel mondo con la
protezione di Roma". E in questo tempo di conservatorismo e di chiusura,
"l'impegno intellettuale e l'orgogliosa indipendenza hanno reso i gesuiti
clienti abituali della Congregazione per la Dottrina della Fede, prima chiamata
Inquisizione". E lì, "molti gesuiti castigati, imbavagliati o
stanchi, sono caduti nel cammino: 10mila dimissioni in vent'anni e solo 929
seminaristi. Quasi una pulizia etnica".
Ma Arturo Pérez Reverte continua a manifestare simpatia per l'ordine, perché
continua fedele nel suo "impegno radicale con i poveri e la liberazione
dei popoli, nonostante tutto". Per lui i gesuiti continuano a essere
quegli uomini che nel XVIII secolo si misero al lato degli indigenas e
"vendettero cara la pelle. Senza arrendersi. Come soldati perduti di
Dio".
E credo che tutti abbiamo visto Mission una volta nella vita, Jeremy Irons
e Robert De Niro pronti a morire nella foresta paraguayana, per difendere i
fratelli indigenas e la possibile convivenza, nel nome di Cristo. Francesco
arriva da lì: da quella terra, da quella cultura, soldato di Dio con l'esempio e il rigore. Anche questo un segno di speranza
per una Chiesa più aperta e più attenta agli ultimi.
Gracias, don Arturo, como siempre.
Gracias, don Arturo, como siempre.