Su elpais.com c'è una bella analisi sulla situazione politica italiana, firmata da
Antonio Elorza. Denota una buona conoscenza della nostra storia, della nostra
cultura e delle idiosincrasie della sinistra, il che è davvero piacevole quando si legge del proprio Paese raccontato da uno straniero. Il punto di vista è il più originale da quelli offerti finora dalla stampa spagnola sull'ingovernabilità italiana: il ruolo e gli errori di
Giorgio Napolitano. Che sono gli stessi errori che, secondo Elorza, la sinistra
italiana compie dai tempi di Palmiro Togliatti, per troppo realismo. Una chiave
di lettura interessante, che aiuta a spiegarsi tante cose.
Il problema, secondo Elorza, è una specie di paradosso: la crisi italiana è
complicata "nella dinamica del suo sviluppo", ma "è semplice nei
suoi dati di fondo". E il primo dato di fondo è il risultato elettorale,
che ha frustrato le attese del Partito Democratico, spingendo i due concorrenti
a irrigidire le proprie posizioni. E perché? Perché Pierluigi Bersani non ha
ricevuto un mandato pieno da Giorgio Napolitano: "Con un incarico così
restrittivo come quello offerto dal presidente Napolitano a Bersani, la
strategia più elementare del gioco politico dettava al Movimento 5 Stelle e al
PDL una regola: dato che l'incarico era nel fondo e nella forma una corda al
collo, visto che non si sarebbe consumato al mancare appoggi sicuri, e questo
prima di presentarsi alle Camere, bastava che Grillo e Berlusconi rifiutassero
l'offerta del PD, senza entrare nel merito, per trasformare se stessi in
protagonisti e, di passo, rovinare una sinistra democratica, molto lacerata al
suo interno, e piena di frustrazione a causa dei cattivi risultati
elettorali".
Napolitano avrebbe dovuto permettere a Bersani di presentarsi alle Camere con
una squadra e un piano di governo immediato, "così riformatore e così
ragionevole come quello contenuto negli otto punti". A quel punto "se
Berlusconi e Grillo lo avessero rifiutato, tutti i loro proclami sul cambio
radicale, messo già in discussione per il M5S con l'elezione di Grasso al
Senato, e sulla governabilità, nel caso di Berlusconi, si sarebbero rivelate
semplici manovre politiche contrarie all'interesse di un Paese che ha urgente
bisogno di un nuovo Governo".
Napolitano, dunque, "più che una data di conferma, ha dato a Bersani una
data di esecuzione". Questo ha rafforzato non solo i due concorrenti
esterni, ma ha indebolito Bersani nel fronte interno, grazie "all'ansia di
potere di Renzi, il comptetitor sconfitto nelle primarie".
A quest'errore bisogna aggiungerne un altro, sempre del Presidente della
Repubblica, che, all'affidare il pre-incarico a Bersani, ha avvertito come il suo ruolo non preveda l'analisi dei
programmi presentati dai partiti, "ma questa inibizione necessaria sul piano ideologico era una cosa e un'altra ben diversa era non prendere in
considerazione il significato di Berlusconi, il principale colpevole della
degradazione del sistema, squalificato davanti all'Europa, o la vocazione di
Grillo, impegnato nella distruzione della democrazia rappresentativa. Qui di
tsunami non c'è niente: di vocazione di un monopolio di potere personale molto
aggressivo, tutto".
Non aver saputo (o voluto?) identificare i pericoli rappresentati da Berlusconi
e da Grillo, indebolendo Bersani davanti a loro, fa sì, secondo Elorza, che
"Napolitano sia caduto nella vecchia sindrome di Togliatti e tanti altri
leaders comunisti, consistente nello scegliere sempre soluzioni all'apparenza
realiste, che rispondono alle relazioni di potere esistenti, non rispondendo alle
esigenze di cambio della propria realtà, e di passo, la preminenza del gioco
democratico per risolvere le situazioni di crisi". Secondo Elorza risultava
"ammissibile la sconfitta in Parlamento, secondo il procedimento suggerito
da Vendola, con il programma presentato, ma non l'impossibilità per il leader del
partito più votato di presentare in Parlamento un possibile Governo e la sua
offerta politica".
Bella anche la conclusione sulle responsabilità del Presidente delal Repubblica
in questo drammatico finale del suo settennato, con un riferimento
all'"assalto al Tribunale di Giustizia di Milano dei deputati e senatori del PDL", per il quale
"il presidente ha giustificato la sua condotta neutrale, alludendo al
numero di voti ottenuti dal partito. Risultato: bisognava richiamare
all'ordine... i magistrati che giudicano il Cavaliere. Non è strano che gli
elogi sull'antico dirigente del PCI arrivino da Berlusconi e da Grillo". La
conclusione è sommamente condivisibile: "Insomma, troppe cose sono
sull'orlo della distruzione nel sistema politico italiano, per propiziare che il
Partito Democratico, il partito dello stesso Napolitano, frani".
E non solo, viene da aggiungere: il PD è l'ultimo baluardo rimasto alla democrazia italiana, l'unico partito con strutture democratiche e che non deve rendere conto a un padre-padrone (in
quale altro Paese d'Occidente ci sono partiti autoritari e personalistici,
obbedienti al fondatore?!). Chiunque ami la democrazia, in questo triste
frangente italiano, non può non difendere il PD.