venerdì 29 marzo 2013

El Pais: quel pre-incarico condizionato a Bersani, che errore di Napolitano!

Su elpais.com c'è una bella analisi sulla situazione politica italiana, firmata da Antonio Elorza. Denota una buona conoscenza della nostra storia, della nostra cultura e delle idiosincrasie della sinistra, il che è davvero piacevole quando si legge del proprio Paese raccontato da uno straniero. Il punto di vista è il più originale da quelli offerti finora dalla stampa spagnola sull'ingovernabilità italiana: il ruolo e gli errori di Giorgio Napolitano. Che sono gli stessi errori che, secondo Elorza, la sinistra italiana compie dai tempi di Palmiro Togliatti, per troppo realismo. Una chiave di lettura interessante, che aiuta a spiegarsi tante cose.
Il problema, secondo Elorza, è una specie di paradosso: la crisi italiana è complicata "nella dinamica del suo sviluppo", ma "è semplice nei suoi dati di fondo". E il primo dato di fondo è il risultato elettorale, che ha frustrato le attese del Partito Democratico, spingendo i due concorrenti a irrigidire le proprie posizioni. E perché? Perché Pierluigi Bersani non ha ricevuto un mandato pieno da Giorgio Napolitano: "Con un incarico così restrittivo come quello offerto dal presidente Napolitano a Bersani, la strategia più elementare del gioco politico dettava al Movimento 5 Stelle e al PDL una regola: dato che l'incarico era nel fondo e nella forma una corda al collo, visto che non si sarebbe consumato al mancare appoggi sicuri, e questo prima di presentarsi alle Camere, bastava che Grillo e Berlusconi rifiutassero l'offerta del PD, senza entrare nel merito, per trasformare se stessi in protagonisti e, di passo, rovinare una sinistra democratica, molto lacerata al suo interno, e piena di frustrazione a causa dei cattivi risultati elettorali". 
Napolitano avrebbe dovuto permettere a Bersani di presentarsi alle Camere con una squadra e un piano di governo immediato, "così riformatore e così ragionevole come quello contenuto negli otto punti". A quel punto "se Berlusconi e Grillo lo avessero rifiutato, tutti i loro proclami sul cambio radicale, messo già in discussione per il M5S con l'elezione di Grasso al Senato, e sulla governabilità, nel caso di Berlusconi, si sarebbero rivelate semplici manovre politiche contrarie all'interesse di un Paese che ha urgente bisogno di un nuovo Governo". 
Napolitano, dunque, "più che una data di conferma, ha dato a Bersani una data di esecuzione". Questo ha rafforzato non solo i due concorrenti esterni, ma ha indebolito Bersani nel fronte interno, grazie "all'ansia di potere di Renzi, il comptetitor sconfitto nelle primarie". 
A quest'errore bisogna aggiungerne un altro, sempre del Presidente della Repubblica, che, all'affidare il pre-incarico a Bersani, ha avvertito come il suo ruolo non preveda l'analisi dei programmi presentati dai partiti, "ma questa inibizione necessaria sul piano ideologico era una cosa e un'altra ben diversa era non prendere in considerazione il significato di Berlusconi, il principale colpevole della degradazione del sistema, squalificato davanti all'Europa, o la vocazione di Grillo, impegnato nella distruzione della democrazia rappresentativa. Qui di tsunami non c'è niente: di vocazione di un monopolio di potere personale molto aggressivo, tutto".
Non aver saputo (o voluto?) identificare i pericoli rappresentati da Berlusconi e da Grillo, indebolendo Bersani davanti a loro, fa sì, secondo Elorza, che "Napolitano sia caduto nella vecchia sindrome di Togliatti e tanti altri leaders comunisti, consistente nello scegliere sempre soluzioni all'apparenza realiste, che rispondono alle relazioni di potere esistenti, non rispondendo alle esigenze di cambio della propria realtà, e di passo, la preminenza del gioco democratico per risolvere le situazioni di crisi". Secondo Elorza risultava "ammissibile la sconfitta in Parlamento, secondo il procedimento suggerito da Vendola, con il programma presentato, ma non l'impossibilità per il leader del partito più votato di presentare in Parlamento un possibile Governo e la sua offerta politica".
Bella anche la conclusione sulle responsabilità del Presidente delal Repubblica in questo drammatico finale del suo settennato, con un riferimento all'"assalto al Tribunale di Giustizia di Milano dei deputati e senatori del PDL", per il quale "il presidente ha giustificato la sua condotta neutrale, alludendo al numero di voti ottenuti dal partito. Risultato: bisognava richiamare all'ordine... i magistrati che giudicano il Cavaliere. Non è strano che gli elogi sull'antico dirigente del PCI arrivino da Berlusconi e da Grillo". La conclusione è sommamente condivisibile: "Insomma, troppe cose sono sull'orlo della distruzione nel sistema politico italiano, per propiziare che il Partito Democratico, il partito dello stesso Napolitano, frani". 
E non solo, viene da aggiungere: il PD è l'ultimo baluardo rimasto alla democrazia italiana, l'unico partito  con strutture democratiche e che non deve rendere conto a un padre-padrone (in quale altro Paese d'Occidente ci sono partiti autoritari e personalistici, obbedienti al fondatore?!). Chiunque ami la democrazia, in questo triste frangente italiano, non può non difendere il PD.