domenica 12 maggio 2013

Zapatero, tre anni dopo le prime misure di austerità: non c'era scelta, lo rifarei

Il 12 maggio 2010, esattamente tre anni fa, José Luis Rodiguez Zapatero annunciava a un Parlamento attonito, le prime misure draconiane per calmare i mercati e riprendere il controllo del deficit. Di quel maggio 2010 in Spagna si ricorda soprattutto il 10, perché è stato il giorno drammatico in cui l'Europa ha messo Zapatero alle strette: o i tagli alla spesa o il rescate. E cosa significasse il rescate, Zapatero lo vedeva giorno per giorno, come il resto dell'Europa, in Grecia, nel feroce e rapido impoverimento delle classi medie, portato a termine senza alcun palliativo e senza alcuna umanità da Bruxelles e da Berlino.
Ricordo ancora a memoria le misure di Zapatero: il congelamento delle pensioni e degli stipendi pubblici, la riduzione del 5% medio degli stipendi di tutti i funzionari pubblici, compresi i membri del Governo, il blocco degli investimenti pubblici e la sospensione dell'assegno da 2500 euro per ogni neonato. Era la fine della Spagna socialdemocratica di Zapatero, la dimostrazione della fragilità della socialdemocrazia mediterranea davanti alle crisi economiche, la rivincita dei conservatori e della loro idea che la sinistra sappia solo spendere, ma non sappia tenere i conti in ordine (Zapatero è stato il Presidente del Governo che ha tolto la patrimoniale, sostenendo baldanzosamente che togliere le tasse era di sinistra, ma non ha saputo rimetterla quando è arrivata la crisi economica, preferendo far pagare i conti alle pensioni congelate).
Sono passati tre anni, da allora.
Nel linguaggio quotidiano spagnolo sono entrate parole come prima de riesgo (lo spread), rescate, deficit, austeridad, crecimiento.
Proprio oggi, tre anni dopo, gli spagnoli sono di nuovo in strada, per ricordare il secondo anniversario dal 15-M, la prima grande manifestazione dell'indignazione popolare. In dodici città ci sono cortei, assemblee, incontri per discutere di desahucios, sfratti, escraches, le riunioni-proteste davanti alle case dei politici, sanidad pública, educación. Tutte parole che in questi anni sono diventate di uso comune nel linguaggio quotidiano (parlo spagnolo da una quindicina d'anni, non avevo mai sentito la parola desahucio prima del 2010, non c'è giorno in cui oggi non la senta o non la legga). Tutte parole che gli spagnoli pronunciano senza arrendersi alle loro conseguenze: c'è una Piattaforma che lotta contro i desahucios, sono in centinaia che partecipano agli escraches, sono in migliaia che si riversano nelle manifestazioni che, quasi ogni giorno, si organizzano in qualche parte di Spagna in difesa della Sanità e della Scuola Pubbliche. E' commovente l'impegno con cui i cittadini continuano a difendere le conquiste di trent'anni di democrazia, senza arrendersi mai. Non è una lotta dei dottori e degli infermieri, degli studenti e dei professori, no, è la lotta di un popolo: professionisti, studenti, ricercatori, non sono soli, contano sull'appoggio di migliaia di persone.
Secondo i sondaggi oltre il 70% degli spagnoli si riconosce nelle istanze degli indignados e il 54% ritiene che gli indignados dovrebbero entrare in politica con una propria formazione. Sono le lotte contro gli sfratti, sia con azioni che li impediscono fisicamente sia con proposte di legge di iniziativa popolare, e le proteste in favore della Sanità e della Scuola Pubbliche, che danno grande popolarità al movimento e lo liberano dai condizionamenti ideologici. Sono contro i desahucios e favorevoli alla Sanità e alla Scuola Pubbliche la maggior parte degli elettori del PP e la maggioranza bulgara degli elettori del PSOE. Non c'è colore politico nella difesa di questi diritti che la democrazia ha insegnato come essenziali.
Il 15-M magari non si presenterà alle elezioni (sbagliando), magari in questi giorni di manifestazioni non radunerà le folle del 2011 alla Puerta del Sol, in plaça Catalunya o sotto le Setas di plaza de la Encarnación, ma non ha mai smesso di condizionare il dibattito politico spagnolo.
E' cambiato anche il colore del Governo: il PSOE ha ceduto il passo al PP. Ma sono entrambi inadeguati: il PP cieco e incapace di ascoltare la società e i simpatizzanti non sanno più come dire al PSOE che o cambia i vertici o si cercheranno un'alternativa.
elcorreoweb.es ha rivolto, via email, alcune domande a José Luis Rodriguez Zapatero su questi tre anni di crisi, dal 12 maggo 2010 al 12 maggio 2013. E l'ex presidente ha risposto perché, anche se si è praticamente ritirato dalla vita pubblica, "cercherò sempre di assumermi le mie responsabilità e di affrontarle". Si ricorda la drammatica notte tra il 9 e il 10 maggio, in cui la UE impose alla Spagna un taglio di 15 miliardi di euro."Le misure furono imposte dalle circostanze. Come leaders europei, da un giorno all'altro, a partire dallo scoppio del problema greco, abbiamo visto per la prima volta minacciata la stabilità dell'Eurozona e, in un clima di grande tensione, abbiamo cercato di scongiurare la minaccia. Di lì si è raggiunto l'accordo per un rapido contenimento dei deficit nazionali".
Zapatero ricostruisce le drammatiche ore in cui ricevette le telefonate di Obama, di Merkel, di Sarkozy, tutti chiedendogli la stessa cosa: mettere ordine nei conti spagnoli al più presto. All'ascoltarli, dice adesso, aveva "un sentimento di responsabilità, ma anche una certa amarezza". "Avevamo fatto molti sforzi nelle politiche sociali, negli anni precedenti, politiche che valeva la pena salvare, anche, o soprattutto, in condizioni molto più avverse" spiega. Si dice convinto che "l'austerità fosse necessaria, inevitabile", ma che pensava che "andasse accompagnata da misure di crescita". Anche se ammette che "non è facile constatare nella pratica quali riforme aiutano davvero al recupero economico". 
Zapatero si è giocato il futuro politico, lo ha detto chiaramente in passato, per una sola ragione: salvare la Spagna dal rescate, evitarle il salvataggio che ha distrutto le vite dei greci e dei portoghesi. Avrà avuto un senso? Lui sostiene che il rescate avrebbe comportato "sacrifici ancora maggiori". Oggi, esattamente tre anni dopo, "la disoccupazione aumenta, i salari scendono, i prezzi aumentano e un cittadino su cinque si trova sulla soglia della povertà. La conseguenza politica di questa situazione senza speranza  è l'irritazione cittadina, la sfiducia nei rappresentanti e la disaffezione alla UE" conclude elcorreoweb.es.
Zapatero continua a pensare che non c'era alternativa, quel 12 maggio 2010, quando ha annunciato in Parlamento che il sogno socialista spagnolo era finito.