domenica 4 agosto 2013

Spagna: il crollo di PP e PSOE nelle intenzioni di voto. La corruzione, la crisi e il parallelo con l'Italia

Il CIS, Centro de Investigaciones Sociólogicas, ha diffuso i dati trimestrali sulle intenzioni di voto e sul sentire degli spagnoli negli ultimi tre mesi. E i dati sono pessimi per i due principali partiti del Paese, immersi nel proprio calvario e nella propria mediocrità. Se si votasse oggi, il PP perderebbe 12,1 punti rispetto alle elezioni del 2011, vinte con la più grande maggioranza assoluta dei tempi della democrazia, e si fermerebbe al 32,5%; il PSOE perderebbe 1,5 punti, arrivando al 27,2%. I dirigenti socialisti guardano con ottimismo al dato, calcolando che la discesa agli inferi, causata dalla seconda legislatura di José Lus Rodriguez Zapatero e dalla disastrosa gestione della crisi economica, stia finalmente frenando. Ma c'è poco da stare allegri: il PSOE non riesce ad avvantaggiarsi dagli scandali di corruzione del PP (il sondaggio è stato effettuato pochi giorni dopo l'arresto di Luis Bárcenas, l'ex tesoriere del PP beccato con oltre 39 milioni di euro in Svizzera) né della sua altrettanto disastrosa gestione della crisi economica.
Chi sì trae vantaggio dalla crisi dei due partiti principali del Paese è Izquierda Unida, la coalizione alla sinistra del PSOE, che arriverebbe all'11,5%, il suo miglior risultato dal 1996. Anche UPyD, il partito centrista guidato da Rosa Diez continua la sua crescita inarrestabile, arrivando all'8.8%. Sono risultati che sottolineano l'impotenza dei partiti maggiori, la rabbia per la corruzione diffusa, l'indignación per la situazione del Paese, a cui non si trova soluzione. 
Un'indignación che si riflette nelle preoccupazioni degli spagnoli. La corruzione è diventata la seconda ragione di preoccupazione, raggiungendo il 37,4% (la prima è la disoccupazione, che arriva all'80,9%), seguita dalla situazione economica, al 32% e dalla politica, al 27,6%. Si potrebbe dire che la situazione politico-economica ossessiona gli spagnoli, è la protagonista delle loro preoccupazioni, delle loro conversazioni, delle loro riflessioni. Giustamente. 
E il problema, la causa della rabbia, è che non si vedono soluzioni a breve termine. Per il 68,9% l'azione del Governo è cattiva o molto cattiva, ma la cosa pessima non è tanto questa disastrosa opinione sull'Esecutivo, quanto che anche la gestione dell'opposizione è considerata negativamente: il 68,4% la considera cattiva o molto cattiva. Se Mariano Rajoy ispira poca fiducia o nessuna all'85% dei compatrioti, il suo rivale, il Segretario del PSOE Alfredo Pérez Rubalcaba, non ispira l'89,5%. Gli spagnoli, dunque, non vedono alternativa praticabile al PP. Di qui il successo dei partiti un tempo considerati minori (e, nel caso si votasse adesso, entrambi indispensabili per governare), di qui l'urgenza, da parte del PSOE di affidarsi a una nuova dirigenza e a una nuova generazione, possibilmente non legata all'esperienza di Governo di José Luis Rodriguez Zapatero. 
Sorprende, a volte, come Italia e Spagna si trovino a vivere destini paralleli. Entrambi i Paesi sono considerati i grandi malati d'Europa, entrambi hanno bisogno di urgenti riforme strutturali per superare la crisi economica, entrambi hanno nella corruzione diffusa e nell'evasione fiscale alcune delle principali cause della crisi (non solo economica), entrambi si sono dotati di una classe dirigente con poca voglia di affrontare questi problemi urgenti. 
Un paio di giorni fa, quasi nelle stesse ore, l'Italia e la Spagna hanno vissuto due giornate storiche, che possono segnare un prima e un dopo nella loro storia recente. A Roma, la sentenza della Cassazione ha confermato la condanna per evasione fiscale a Silvio Berlusconi, espellendolo, di fatto, dalla vita politica del Paese. A Madrid, Mariano Rajoy è stato costretto a spiegare in Parlamento i vent'anni di finanziamento illegale, con cui il PP avrebbe pagato stipendi extra in nero ai propri dirigenti, lui compreso, e avrebbe finanziato le proprie campagne elettorali, truccando, di fatto, il risultato delle elezioni degli ultimi vent'anni. 
In Italia il PdL sta minacciando le istituzioni repubblicane perché non accetta la sentenza della Cassazione, rifiutando il concetto che la Legge sia uguale per tutti e che l'unico modo per evitare indagini e processi sia mantenere un comportamento legalmente ineccepibile. In Spagna Mariano Rajoy si è rifiutato di dare spiegazioni convincenti, sostenendo che il PP non ha mai distribuito stipendi extra ai suoi dirigenti, che lui non ha mai saputo di finanziamenti illegali al partito di cui è presidente da una decina d'anni, che il suo unico errore è stato di fidarsi di un delinquente, Luis Bárcenas, e che non ha alcuna intenzione di dimettersi né di convocare nuove elezioni. Del resto, sia in Italia che in Spagna, i leaders politici rifiutano le dimissioni, come prova della propria innocenza, e non si preoccupano del fatto che le istituzioni comuni non devono essere contaminate dalle loro vicende giudiziarie. 
In questi giorni i media nordici hanno esultato, ottimisti, per la sostanziale uscita di scena di Silvio Berlusconi, a cui la sentenza rende impossibile la vita politica nei prossimi anni e si sono interrogati sul rifiuto di dimissioni di Mariano Rajoy. Nel Nord Europa ci sono Presidenti della Repubblica che si sono dimessi per telefonate inopportune e Ministri che hanno lasciato l'incarico per aver copiato la tesi di laurea, per cui è inconcepibile che rimanga al potere un uomo che non si è accorto dei finanziamenti illegali al partito che dirige e che fino a marzo inviava SMS all'ex tesoriere, adesso in carcere, in cui lo invitava a mantenere la calma, che si stava facendo tutto il possibile. E probabilmente la differenza delle due Europa, la causa della crisi di Spagna e Italia è soprattutto qui. Nella mancanza di senso dello Stato e dell'integrità doverosa di chi rappresenta le istituzioni comuni.