Il CIS, Centro de Investigaciones Sociólogicas, ha diffuso i dati trimestrali
sulle intenzioni di voto e sul sentire degli spagnoli negli ultimi tre mesi. E i
dati sono pessimi per i due principali partiti del Paese,
immersi nel proprio calvario e nella propria mediocrità. Se si votasse oggi, il
PP perderebbe 12,1 punti rispetto alle elezioni del 2011, vinte con la più
grande maggioranza assoluta dei tempi della democrazia, e si fermerebbe al
32,5%; il PSOE perderebbe 1,5 punti, arrivando al 27,2%. I dirigenti socialisti
guardano con ottimismo al dato, calcolando che la discesa agli inferi, causata
dalla seconda legislatura di José Lus Rodriguez Zapatero e dalla disastrosa
gestione della crisi economica, stia finalmente frenando. Ma c'è poco da stare
allegri: il PSOE non riesce ad avvantaggiarsi dagli scandali di corruzione del
PP (il sondaggio è stato effettuato pochi giorni dopo l'arresto di Luis
Bárcenas, l'ex tesoriere del PP beccato con oltre 39 milioni di euro in
Svizzera) né della sua altrettanto disastrosa gestione della crisi economica.
Chi sì trae vantaggio dalla crisi dei due partiti principali del Paese è
Izquierda Unida, la coalizione alla sinistra del PSOE, che arriverebbe
all'11,5%, il suo miglior risultato dal 1996. Anche UPyD, il partito centrista
guidato da Rosa Diez continua la sua crescita inarrestabile, arrivando
all'8.8%. Sono risultati che sottolineano l'impotenza dei partiti maggiori, la rabbia per la corruzione diffusa, l'indignación
per la situazione del Paese, a cui non si trova soluzione.
Un'indignación che si riflette nelle preoccupazioni degli spagnoli. La
corruzione è diventata la seconda ragione di preoccupazione,
raggiungendo il 37,4% (la prima è la disoccupazione, che arriva all'80,9%),
seguita dalla situazione economica, al 32% e dalla politica, al 27,6%. Si
potrebbe dire che la situazione politico-economica ossessiona gli spagnoli, è
la protagonista delle loro preoccupazioni, delle loro conversazioni, delle loro
riflessioni. Giustamente.
E il problema, la causa della rabbia, è che non si vedono soluzioni a breve
termine. Per il 68,9% l'azione del Governo è cattiva o molto cattiva, ma la cosa
pessima non è tanto questa disastrosa opinione sull'Esecutivo, quanto che anche la gestione dell'opposizione è considerata negativamente:
il 68,4% la considera cattiva o molto cattiva. Se Mariano Rajoy ispira poca
fiducia o nessuna all'85% dei compatrioti, il suo rivale, il Segretario del PSOE
Alfredo Pérez Rubalcaba, non ispira l'89,5%. Gli spagnoli, dunque, non vedono
alternativa praticabile al PP. Di qui il successo dei
partiti un tempo considerati minori (e, nel caso si votasse adesso, entrambi
indispensabili per governare), di qui l'urgenza, da parte del PSOE di affidarsi
a una nuova dirigenza e a una nuova generazione, possibilmente non legata
all'esperienza di Governo di José Luis Rodriguez Zapatero.
Sorprende, a volte, come Italia e Spagna si trovino a vivere destini paralleli.
Entrambi i Paesi sono considerati i grandi malati d'Europa, entrambi hanno
bisogno di urgenti riforme strutturali per superare la crisi economica, entrambi
hanno nella corruzione diffusa e nell'evasione fiscale alcune delle principali
cause della crisi (non solo economica), entrambi si sono dotati di una classe
dirigente con poca voglia di affrontare questi problemi urgenti.
Un paio di giorni fa, quasi nelle stesse ore, l'Italia e la Spagna hanno vissuto due giornate storiche,
che possono segnare un prima e un dopo nella loro storia recente. A Roma, la
sentenza della Cassazione ha confermato la condanna per evasione fiscale a
Silvio Berlusconi, espellendolo, di fatto, dalla vita politica del Paese. A
Madrid, Mariano Rajoy è stato costretto a spiegare in Parlamento i vent'anni di
finanziamento illegale, con cui il PP avrebbe pagato stipendi extra in nero ai
propri dirigenti, lui compreso, e avrebbe finanziato le proprie campagne
elettorali, truccando, di fatto, il risultato delle elezioni degli ultimi
vent'anni.
In Italia il PdL sta minacciando le istituzioni repubblicane perché non accetta
la sentenza della Cassazione, rifiutando il concetto che la Legge sia uguale per
tutti e che l'unico modo per evitare indagini e processi sia mantenere un
comportamento legalmente ineccepibile. In Spagna Mariano Rajoy si è rifiutato
di dare spiegazioni convincenti, sostenendo che il PP non ha mai distribuito
stipendi extra ai suoi dirigenti, che lui non ha mai saputo di finanziamenti illegali al partito di cui è presidente da una decina d'anni, che il suo unico errore è
stato di fidarsi di un delinquente, Luis Bárcenas, e che non ha alcuna
intenzione di dimettersi né di convocare nuove elezioni. Del resto, sia in
Italia che in Spagna, i leaders politici rifiutano le dimissioni, come prova
della propria innocenza, e non si preoccupano del fatto che le istituzioni
comuni non devono essere contaminate dalle loro vicende giudiziarie.
In questi giorni i media nordici hanno esultato, ottimisti, per la sostanziale
uscita di scena di Silvio Berlusconi, a cui la sentenza rende impossibile la
vita politica nei prossimi anni e si sono interrogati sul rifiuto di dimissioni
di Mariano Rajoy. Nel Nord Europa ci sono Presidenti della Repubblica che si
sono dimessi per telefonate inopportune e Ministri che hanno lasciato l'incarico per aver copiato la tesi di laurea, per
cui è inconcepibile che rimanga al potere un uomo che non si è accorto dei
finanziamenti illegali al partito che dirige e che fino a marzo inviava SMS
all'ex tesoriere, adesso in carcere, in cui lo invitava a mantenere la calma,
che si stava facendo tutto il possibile. E probabilmente la differenza delle due
Europa, la causa della crisi di Spagna e Italia è soprattutto qui. Nella mancanza di
senso dello Stato e dell'integrità doverosa di chi rappresenta le istituzioni comuni.