lunedì 16 settembre 2013

Catalogna: il PSOE propone il federalismo. Almunia: con l'indipendenza, fuori dalla UE

Qualcosa si muove in Catalogna? E' passata quasi una settimana dal successo della Via Catalana, la catena umana che ha unito il confine francese della Catalogna fino alla Comunitat Valenciana, per un totale di 400 km, portando in strada oltre un milione di persone, per chiedere un referendum che dia ai catalani il diritto di decidere sull'indipendenza.
Un successo clamoroso, che il Governo di Madrid, ancora una volta, ha dimostrato di non saper gestire. Prima c'è stata la dichiarazione della vicepresidente, Soraya Sáenz de Santamaría, che ha immediatamente parlato di una "maggioranza silenziosa", che non è scesa in strada e i cui diritti il Governo ha il dovere di proteggere. Si sono lette le sue parole e si è subito pensato a un'analoga dichiarazione del presidente Mariano Rajoy, un anno fa, dopo una manifestazione degli indignados, che aveva provocato la piccata lettera di Pedro Almodóvar, appartenente alla "maggioranza silenziosa", ma non per questo d'accordo con il Governo ("Non si appropri del mio silenzio!" aveva intimato a Rajoy). La risposta alla vicepresidente è arrivata dal giornalista Jordi Évole, diventato popolarissimo con Salvados, programma di denunce che incolla davanti agli schermi de La Sexta migliaia di persone e provoca sempre reazioni colorite sulle reti sociali. In un articolo-lettera aperta a Soraya Sáenz de Santamaría  su El Periódico de Catalunya, finito immediatamente su Twitter, É ole parla dei catalani stanchi, come lui, del nazionalismo di entrambi i fronti, stretti, come lui, tra opposti estremismi in cui non si riconoscono. "Voi dite che qui i mezzi di comunicazione pubblici si sono dedicati alla causa indipendentista. Non le dirò di no. Ed è già un'anomalia che questo non sia notizia. Ma poche cose sono così efficaci per l'indipendentismo di un buon editoriale dell'ABC o di una dichiarazione del Ministro Wert. Noi che crediamo ancora in ponti tra la Catalogna e la Spagna siamo già una minoranza. E non mi stupisce, dopo tutto quello che si è vissuto dal gratuito "appoggerò" di Zapatero (si riferisce alla promessa di Zapatero di rispettare l'Estatut catalano, elaborato e votato nel Parlament catalano; promessa non mantenuta da Zapatero, che lo fece rivedere, e dal PP, che si appellò alla Tribunale Costituzionale): un Estatut votato con un referendum, approvato dal Parlamento, rivisto al microscopio dal Congresso e poi incostituzionale. Adesso quello che impera in Catalogna è esibirsi come indipendentista". E chi ,come lui, non apprezza né la grande bandiera spagnola in plaza Colón, a Madrid, né la estelada sui balconi di Catalogna, si sente a disagio.
Évole dimostra come anche la maggioranza silenziosa sia passata alla difesa del diritto di decidere: "Se davvero volete ascoltare la 'maggioranza silenziosa', lasciatela votare. E se la Costituzione è un ostacolo, riformatela: voi e il PSOE avete già esperienza di riforme costituzionali express (in Spagna le riforme costituzionali devono essere votate dai due terzi del Parlamento, quindi, sciolte le Camere, di nuovo dai due terzi del nuovo Parlamento; ma il fiscal drag è stato introdotto nella Costituzione, nelle ultime settimane del Governo di José Luis Rodriguez Zapatero, con una votazione PSOE-PP alla Camera, nonostante le proteste). E visto che ci siamo, meglio presto che tardi. Perché anch'io ho fretta. Fretta che i miei governanti si preoccupino di qualcos'altro che non sia l'indipendenza".
Un paio di giorni fa è stata la volta di Mariano Rajoy, che, miracolosamente, ha parlato della questione, rispondendo a una missiva del presidente della Catalogna che chiedeva un accordo per il referendum sull'indipendenza. Rajoy si è mostrato conciliante, ha parlato della sua disponibilità di dialogo, "senza data di scadenza", ha sottolineato come la separazione della Catalogna dalla Spagna sarebbe un danno affettivo, politico, economico per tutti e come insieme, Madrid e Barcellona, possano superare crisi ed ostacoli; dialogo sì, dunque, ma all'interno dei vincoli costituzionali. Quindi, niente referendum per la Catalogna.
Ieri è toccato al leader del PSOE Alfredo Pérez Rubalcaba, che alla tradizionale Festa della Rosa, a Gavá, in Catalogna, ha proposto nuovamente una Spagna federalista. I problemi della Catalogna non li risolverà l'indipendenza, ragiona Rubalcaba, che, anzi, creerà tre grandi fratture, con la Spagna, con l'Europa e nella stessa Catalogna. Con un Presidente del Governo spagnolo che tende a essere passivo davanti agli eventi e con un Presidente del Governo catalano che gioca all'ambiguità, fino a trovarsi sempre superato dalle manifestazioni popolari indipendentiste, la soluzione del PSOE è "un cambio della Costituzione in senso federale, per continuare a vivere insieme. Attraverso una riforma federale della Costituzione noi socialisti vogliamo riconoscere, rispettare e integrare le diverse aspirazioni dei popoli che convivono in Spagna e proponiamo di farlo attraverso un grande patto che i cittadini dovranno ratificare con il loro voto" scrive Rubalcaba su Facebook. Referendum sì, dunque, ma per continuare a vivere insieme, non per separare la Catalogna dalla spagna.
Riuscirà un Paese in crisi, con un Presidente del Governo palesemente inadeguato, con un Capo dello Stato che non è più punto di riferimento per nessuno, visti i problemi di salute e l'attesa di un'abdicazione in tempi relativi brevi, a riformarsi e, soprattutto, a coinvolgere i propri cittadini in un grande patto nazionale, da cui rinascere? Perché senza questi cambiamenti alla Costituzione (che devono accompagnarsi al processo di pace nei Pesi Baschi e a una nuova legge elettorale e a una riforma fiscale) è difficile immaginare che la Catalogna possa rimanere con la Spagna ed è difficile immaginare che la Spagna possa entrare nel XXI secolo.
Il Commissario Europeo alla Concorrenza Pedro Almunia, socialista e spagnolo, ha intanto fatto sapere che l'indipendenza della Catlogna implica la sua uscita dall'Unione: "Chi si separa da un Paese membro, rimane fuori dalla UE e deve aprire le richieste di adesione" ha assicurato oggi in Catalogna. Già inviso in mezza Spagna per le sue politiche liberali, Almunia si è guadagnato la risposta del conseller de Economía y Coneixement, Andreu Mas-Colell, secondo il quale il suo ragionamento è strettamente giuridico, dato che in alcuni casi ci sono negoziati in corso per risolvere la questione. Ad esempio, in vista del referendum per l'indipendenza della Scozia. Difficile immaginarsi che una Scozia indipendente sia fuori dalla UE, dunque difficile che anche la Catalogna rimanga fuori.
Se Madrid non muove le pedine giuste e non parla al cuore e alle tasche dei catalani, senza retorica, ma con idee e riforme, difficile che a Barcellona e dintorni resistano alle sirene dell'indipendentismo.