Tra le numerose interviste rilasciate da José Luis Rodriguez Zapatero in questi
giorni, per presentare El dilema. 600 días vértigo, il libro di memorie in cui racconta gli ultimi 600 giorni di potere, in piena crisi
economica spagnola, c'è questa di El Mundo, firmata da John Müller e Lucía
Méndez, che suona un po' più intimista e parla delle sensazioni e delle
pressioni di chi si trova a dover fronteggiare una crisi così dura come quella
scoppiata nel 2008 e a dover imporre misure impopolari come quelle decise da
Zapatero nel 2010.
Il libro è stato scritto perché "avevo bisogno di spiegare che ho lottato fino alla fine, per mantenere la massima coesione sociale possibile". Spiegare le proprie sensazioni, l'angustia e l'insonnia di quei giorni, non è un modo di chiedere perdono perché "la parola perdono non entra nel vocabolario delle responsabilità politiche. Si cerca di dare un giudizio ponderato. Mi hanno chiesto tante volte se mi considero il peggior presidente. E' molto opinabile. Quello che so è che è la peggior crisi che un presidente possa avere. Raccontare lo stato d'animo e le circostanze in cui prendevo le decisioni, è un modo di avvicinare il cittadino a come si vivono le cose. Credo che aiuti a capire la democrazia".
Il libro è stato scritto perché "avevo bisogno di spiegare che ho lottato fino alla fine, per mantenere la massima coesione sociale possibile". Spiegare le proprie sensazioni, l'angustia e l'insonnia di quei giorni, non è un modo di chiedere perdono perché "la parola perdono non entra nel vocabolario delle responsabilità politiche. Si cerca di dare un giudizio ponderato. Mi hanno chiesto tante volte se mi considero il peggior presidente. E' molto opinabile. Quello che so è che è la peggior crisi che un presidente possa avere. Raccontare lo stato d'animo e le circostanze in cui prendevo le decisioni, è un modo di avvicinare il cittadino a come si vivono le cose. Credo che aiuti a capire la democrazia".
Uno dei rimproveri più frequenti che vengono mossi a Zapatero, in questi giorni, è di aver aspettato il libro per raccontare la propria verità, di non aver
parlato sinceramente agli spagnoli in quei drammatici giorni di maggio, in cui
congelò le pensioni, tagliò gli stipendi agli impiegati pubblici e tolse
alcune conquiste sociali che caratterizzarono le sue legislature, come l'assegno
per i neonati. Lui spiega tutto con la necessità di garantire la stabilità
della Spagna ed evitare a tutti i costi l'intervento della BCE e dell'Europa sul
suo sistema finanziario. "Se il giorno in cui Dominique Strauss-Kahn è
arrivato nel mio ufficio alla Moncloa avessi detto che il direttore del FMI
pensava che dovevo chiedere un aiuto, lo spread sarebbe balzato di 100 punti in
15 secondi. Questa è la ragione. La spiegazione politica, credo di averla
data". E ancora: "Il dramma di maggio è tanto per la svolta del mio
discorso, perché è stato drammatico ricordarmi della frase di Rodiezmo ("non cederò, non taglierò"), quanto che se la Spagna non lo
avesse fatto, non ci sarebbe stato un salvataggio per la Grecia né un fondo europeo e il giorno dopo lo spread sarebbe potuto arrivare a 300-400 punti".
Zapatero fa risalire le convulse e drammatiche giornate dal 7 al 12 maggio 2010,
quando la Spagna sembrava sul bordo del rescate e l'euro all'inizio del
precipizio definitivo, a un rumor nato il 4 maggio 2010, secondo il quale la
Spagna vrebbe chiesto 280 miliardi di euro alla UE e al FMI. "E' passato
inosservato, ma io credo che le cose non sarebbero state uguali senza questo
rumor. Dalle indagini che siamo riusciti a fare, sappiamo che la notizia ebbe
origine in Israele, non è stata un'agenzia di notizie, l'origine è una pagina
web israeliana. Il 4 maggio tutta Bruxelles pensa che la Spagna chiederà 280
miliardi di euro e in questo entra il gioco indiavolato della comunicazione...
Il rumor c'era già e io dovetti smentirlo. Credo sia stata la conferenza stampa
in cui sono stato più arrabbiato nella mia vita".
Zapatero spiega anche l'accusa di improvvisazione, che l'opposizione gli ha
sempre fatto negli ultimi anni del suo Governo: "Tutti i leaders del G-20
venivano accusati di improvvisare, ma chi improvvisava era la crisi, perché era
una crisi inedita per la nostra generazione, una crisi che si porta via tutte le
banche di investimenti nordamericane e buona parte delle banche europee".
Nel ricordo di quegli anni, per Zapatero ci sono due grandi misteri. Il primo
riguarda il deficit dei conti correnti: "Fino a maggio 2010 non c'erano
riferimenti forti sul deficit e sulla sua conseguenza, ancora più importante,
cioè, il debito netto esterno della Spagna". Il secondo riguarda la
solidità del sistema finanziario spagnolo, di cui lo stesso ex presidente si
era vantato a Wall Street, poco prima dello scoppio della crisi: "Di tutti i dilemmi economici, è quello che mi
procura più dubbi. All'inizio stava bene. Cosa succede? che nessuno ha avuto
un tasso di disoccupazione come il nostro e che il sistema finanziario era molto
esposto nel settore immobiliare, cosa che lo ha deteriorato. Ci sono due tesi
contrapposte. Una è che era meglio fare un'operazione a lungo termine, con una
forte iniezione di capitale. Chiaro, questa tesi esige un grande volume di denaro
e il Parlamento, in varie occasioni, ha chiesto che si destinasse la minor
quantità di denaro pubblico possibile alla banca. La seconda tesi era andare
caso per caso, come abbiamo fatto. In tutto il mio periodo mi sembra che abbiamo
iniettato capitale pari a due punti del PIL".
Zapatero poi nega ogni responsabilità nella nomina dei dirigenti delle casse di
risparmio, la maggior parte in forti difficoltà e strumenti di potere politico
locale ("Lo Stato e il Governo centrale niente hanno a che vedere con la
politicizzazione di casse e banche. Decidere chi deve gestire o presiedere
un'entità finanziaria non è mai rientrato nei miei processi di riflessione,
essendo Presidente del Governo"); nega anche di aver mai saputo degli
stipendi dei top-managers delle banche. Ammette una certa empatia per Mariano
Rajoy e le difficoltà che si trova ad affrontare e ricorda che "una cosa
è la tensione drammatica della decisione di maggio 2010 e l'altra è la
sensazione deprimente, vicina alla malinconia, di quando mi diedero i dati della
disoccupazione del primo trimestre del 2009, quando si distrussero 700mila posti
di lavoro. L'amarezza di quel giorno non ha paragoni. Per me è come se fossi
stato davanti a una malattia grave che mi avevano appena diagnosticato".