Non è facile parlare di cocaina, narcotraffico o conseguente corruzione delle istituzioni statali in Colombia. Altrimenti chiedete a Carla Bruni, che per aver scritto in una delle sue nuove canzoni che il suo amato è "più pericoloso della coca colombiana" si è trovata al centro di una non voluta polemica diplomatica causa sua nuova posizione all'Eliseo. Negli stessi giorni del malessere colombiano per la canzone della premiere dame di Francia, in Colombia è iniziato un nuovo serial, intitolato El cartel de los sapos (la sua pagina web ufficiale è qui), subito al centro dell'attenzione perché ambientato nel narcotraffico degli anni 90, raccontato "dal di dentro".
La storia si ispira alla reale vicenda di Andrés López López, un piccolo narcotrafficante pentito che ha scritto un libro autobiografico, con lo stesso titolo della telenovela. Tutto inizia negli anni 80, quando il 15enne Martin Gonzalez, ambizioso e attratto dal denaro facile, inizia a lavorare in un laboratorio di cocaina e piano piano inizia ad avere la responsabilità delle prime operazioni di coca negli USA. Con la caduta di Pablo Escobar, il più grande narcotraficante colombiano di tutti i tempi, Martin si trova ad essere uno dei capi del pericolosissimo Cartel del Pacifico. Giovane, ricco, sfrontato e sempre più ambizioso, conosce e si innamora della bella Sofia, aspirante reginetta di bellezza. La conquista con molte bugie, fino a quando lei scopre la verità e gli impone la scelta impossibile. O lei o il narcotraffico. La guerra tra Carteles si fa cruenta e Martin rifiuta di parteciparvi, trasferendosi con Sofia e i loro figli a Miami. Ma la mafia della cocaina arriva anche lì ed è impossibile lasciare le attività illegali. Mentre il suo mondo crolla, con amici e potenti che cadono nella guerra interna e quella contro la Polizia e i Governi, Martin scappa in Messico in cerca di protezione. E lì dovrà prendere una decisione inevitabile. Quale? Bisogna vedere la telenovela o leggere il libro di López.
Il narcotraffico raccontato in televisione in Colombia fa grandi ascolti. Sin tetas no hay paraiso, la telenovela che raccontava le aspirazioni delle ragazze legate al narcotraffico e il fascino che i narcos e la loro ricchezza facile esercitano su di loro, è stata uno dei grandi fenomeni sudamericani di un paio di anni fa. Con tanto di vendita dei diritti all'estero. Il remake della spagnola Tele5, stesso impianto ambientato però a Madrid, ha perso la crudezza e la violenza della realtà colombiana, convertendosi però nel serial più visto della storia dell'emittente; su Telemundo è appena iniziata la versione per gli ispanici degli Stati Uniti, ne hanno edulcorato persino il titolo, Sin senos no hay paraiso, ma la fedeltà alla storia, giurano, non è in discussione.
Il tema trova dunque l'attenzione dei colombiani. E infatti El cartel de los sapos non ha deluso le attese ed è uno dei programmi più visti di Caracol e della stagione colombiana. Contribuiscono al successo anche i due protagonisti, Manolo Cardona, sex symbol locale di successo internazionale, è stato tra i protagonisti di La mujer de mi hermano, uno dei film latinos più visti negli Stati Uniti, e Karen Martinez, la moglie di Juanes, che torna all'interpretazione dopo la pausa per le maternità.
Il ritmo veloce del racconto, le sparatorie e la violenza per strada, la presenza di belle donne quasi sempre fatali, proprio come succedeva negli anni 80, in cui ogni donna di successo di Bogotà era legata quasi sempre invariabilmente a un narcotrafficante, rendono la telenovela avvincente per i colombiani. Anche perché molti di loro si riconoscono, seppure indirettamente, nelle situazioni raccontate, nel clima di insicurezza e terrore, di glamour e ricchezza, che i narcos hanno dato alla Colombia di quel periodo. Ma con il successo sono arrivate anche molte polemiche.
La Polizia, per esempio, non apprezza il modo in cui viene raccontato il suo ruolo nel narcotraffico. "Non c'è un solo fatto nel serial che mostri un lato della Polizia che non sia corrotto. Per me si complica enormemente mantenere la fiducia nella lotta al narcotraffico, a causa di questa serie" ha detto il Generale Óscar Naranjo a Hora 20, un progamma di Caracol Radio. L'emissione della telenovela era iniziata solo una settimana prima e lui sottolineava come "la mescola tra finzione e realtà finisca con il confondere i giovani che non furono testimoni di quei fatti". Le sue parole hanno spinto Canal Caracol a intervenire: il vicepresidente Camilo Durán ha spiegato di essere interessato alla storia implicita, quella "di dieci amici che si mettono nel narcotraffico e poi iniziano a tradirsi in una guerra spietata. La serie è il prodotto di un adattamento a cui lavorano gli autori, con la collaborazione di ci ha scritto il libro. Se avessimo voluto realizzare una versione dei fatti avremmo fatto un documentario, non una telenovela".
Finita su El Tiempo, il più diffuso quotidiano colombiano, la polemica è stata presa in mano da Javier Darío Restrepo, uno degli esperti più prestigiosi di etica giornalistica. La telenovela racconta una storia e, secondo Rastrepo, l'errore sarebbe "cercare di far passare la finzione come se fosse una versione della realtà, ma chi guarda una storia di finzione gode di tutta la sua libertà. La gente crede che sia tutto vero, per questo insultano un attore che fa il cattivo in una serie, perché è incapace di distinguere tra finzione e realtà. Ma questo è un suo problema".
Il problema della Colombia è che parlare di narcotraffico, del fascino esercitato dai narcos sui giovani e sulla società, del desiderio di ricchezza facile e di bellezza appariscente per conquistare un narco e risolversi la vita, è ancora troppo spesso un tabù.
La storia si ispira alla reale vicenda di Andrés López López, un piccolo narcotrafficante pentito che ha scritto un libro autobiografico, con lo stesso titolo della telenovela. Tutto inizia negli anni 80, quando il 15enne Martin Gonzalez, ambizioso e attratto dal denaro facile, inizia a lavorare in un laboratorio di cocaina e piano piano inizia ad avere la responsabilità delle prime operazioni di coca negli USA. Con la caduta di Pablo Escobar, il più grande narcotraficante colombiano di tutti i tempi, Martin si trova ad essere uno dei capi del pericolosissimo Cartel del Pacifico. Giovane, ricco, sfrontato e sempre più ambizioso, conosce e si innamora della bella Sofia, aspirante reginetta di bellezza. La conquista con molte bugie, fino a quando lei scopre la verità e gli impone la scelta impossibile. O lei o il narcotraffico. La guerra tra Carteles si fa cruenta e Martin rifiuta di parteciparvi, trasferendosi con Sofia e i loro figli a Miami. Ma la mafia della cocaina arriva anche lì ed è impossibile lasciare le attività illegali. Mentre il suo mondo crolla, con amici e potenti che cadono nella guerra interna e quella contro la Polizia e i Governi, Martin scappa in Messico in cerca di protezione. E lì dovrà prendere una decisione inevitabile. Quale? Bisogna vedere la telenovela o leggere il libro di López.
Il narcotraffico raccontato in televisione in Colombia fa grandi ascolti. Sin tetas no hay paraiso, la telenovela che raccontava le aspirazioni delle ragazze legate al narcotraffico e il fascino che i narcos e la loro ricchezza facile esercitano su di loro, è stata uno dei grandi fenomeni sudamericani di un paio di anni fa. Con tanto di vendita dei diritti all'estero. Il remake della spagnola Tele5, stesso impianto ambientato però a Madrid, ha perso la crudezza e la violenza della realtà colombiana, convertendosi però nel serial più visto della storia dell'emittente; su Telemundo è appena iniziata la versione per gli ispanici degli Stati Uniti, ne hanno edulcorato persino il titolo, Sin senos no hay paraiso, ma la fedeltà alla storia, giurano, non è in discussione.
Il tema trova dunque l'attenzione dei colombiani. E infatti El cartel de los sapos non ha deluso le attese ed è uno dei programmi più visti di Caracol e della stagione colombiana. Contribuiscono al successo anche i due protagonisti, Manolo Cardona, sex symbol locale di successo internazionale, è stato tra i protagonisti di La mujer de mi hermano, uno dei film latinos più visti negli Stati Uniti, e Karen Martinez, la moglie di Juanes, che torna all'interpretazione dopo la pausa per le maternità.
Il ritmo veloce del racconto, le sparatorie e la violenza per strada, la presenza di belle donne quasi sempre fatali, proprio come succedeva negli anni 80, in cui ogni donna di successo di Bogotà era legata quasi sempre invariabilmente a un narcotrafficante, rendono la telenovela avvincente per i colombiani. Anche perché molti di loro si riconoscono, seppure indirettamente, nelle situazioni raccontate, nel clima di insicurezza e terrore, di glamour e ricchezza, che i narcos hanno dato alla Colombia di quel periodo. Ma con il successo sono arrivate anche molte polemiche.
La Polizia, per esempio, non apprezza il modo in cui viene raccontato il suo ruolo nel narcotraffico. "Non c'è un solo fatto nel serial che mostri un lato della Polizia che non sia corrotto. Per me si complica enormemente mantenere la fiducia nella lotta al narcotraffico, a causa di questa serie" ha detto il Generale Óscar Naranjo a Hora 20, un progamma di Caracol Radio. L'emissione della telenovela era iniziata solo una settimana prima e lui sottolineava come "la mescola tra finzione e realtà finisca con il confondere i giovani che non furono testimoni di quei fatti". Le sue parole hanno spinto Canal Caracol a intervenire: il vicepresidente Camilo Durán ha spiegato di essere interessato alla storia implicita, quella "di dieci amici che si mettono nel narcotraffico e poi iniziano a tradirsi in una guerra spietata. La serie è il prodotto di un adattamento a cui lavorano gli autori, con la collaborazione di ci ha scritto il libro. Se avessimo voluto realizzare una versione dei fatti avremmo fatto un documentario, non una telenovela".
Finita su El Tiempo, il più diffuso quotidiano colombiano, la polemica è stata presa in mano da Javier Darío Restrepo, uno degli esperti più prestigiosi di etica giornalistica. La telenovela racconta una storia e, secondo Rastrepo, l'errore sarebbe "cercare di far passare la finzione come se fosse una versione della realtà, ma chi guarda una storia di finzione gode di tutta la sua libertà. La gente crede che sia tutto vero, per questo insultano un attore che fa il cattivo in una serie, perché è incapace di distinguere tra finzione e realtà. Ma questo è un suo problema".
Il problema della Colombia è che parlare di narcotraffico, del fascino esercitato dai narcos sui giovani e sulla società, del desiderio di ricchezza facile e di bellezza appariscente per conquistare un narco e risolversi la vita, è ancora troppo spesso un tabù.