Ho appena scoperto il blog di Iñaki Díez, il corrispondente da Roma di Radio Nacional de España e ne sono rimasta piacevolmente sorpresa (mi piace anche il nome che gli ha dato, Macchè…). Non ascolto mai RNE, quindi non ho idea di come Diez racconti il Belpaese ai suoi radioascoltatori, ma nel suo blog lo fa passando dai grandi temi politici a piccoli personaggi, che gli chiariscono le idiosincrasie locali.
E poi ha un testo di introduzione che sottoscrivo da adesso: "Si dice in modo gratuito che Italia e Spagna siano Paesi molto simili: culture simili, lingue vicine, costumi adiacenti… Un cavolo! Non mi propongo di smitizzare la fraternità mediterranea, ma sì di mettere in chiaro che ci sono marcate differenze". Io sono sempre più convinta che chi dice che Italia e Spagna si assomigliano non le conosce. Condividiamo la passione per il calcio e per la buona cucina, ma è una cosa che abbiamo in comune con tutti i Paesi latini, di questo e dell'altro lato dell'Atlantico. Niente di più.
Ho ancora chiaro il salto sulla sedia fatto da un'irresistibile Lucia Bosè ospite di un bel programma di TVE1, Las Cerezas, condotto dalla giornalista Julia Otero, quando le hanno detto che in fondo ci assomigliavamo molto: "Ma per niente!" ha esclamato. In italiano, come una che vive da oltre cinquant'anni a Madrid e non ha ancora perso l'abitudine di esprimersi nella propria lingua quando si appassiona. E anche lei, con questa rivendicazione di diversità non vuole dire che uno dei due sia migliore: non considero gli spagnoli né migliori né peggiori degli italiani (purtroppo le idiosincrasie attuali di entrambi i popoli portano a questa fastidiosa e continua competizione). Sono semplicemente diversi.
Ed è divertente vedere il proprio Paese con gli occhi di uno spagnolo che è arrivato alle stesse conclusioni: siamo diversi. E' divertente perché la supponenza che caratterizza gli spagnoli quando parlano di cose italiane si accompagna a quello stupore innocente che prende gli stranieri quando si trovano alle prese con questa realtà italiana, quasi sempre contraddittoria, ma che, sorprendentemente, arriva persino ad affascinarli. Così Diez racconta il disorientamento del suo amico Luca, che si è appena comprato l'auto, convinto di contribuire alla riattivazione dell'economia, e scopre che nel suo paesino stanno incentivando l'uso della bicicletta, sentendosi ingannato. Ci sono poi gli immancabili "svaligiatori" di Fontana di Trevi, che procura circa 1500 euro al giorno alle casse della Caritas Diocesana (ma perché i soldi di Fontana di Trevi finiscono alla Caritas?) e il prediletto è un tale D'Artagnan, arrestato più volte e sempre rilasciato perché da quando è reato prendere le monete gettate dai turisti in una fontana?
Il post sul pubblico litigio di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini fa pensare ad altri corrispondenti, che considerano il Presidente del Governo italiano la parte più divertente del proprio lavoro (che tristezza, avere a Palazzo Chigi un tizio che diverte e non un leader che si ascolta con interesse, no?!). "Non ho perso la passione per il cinema, ma da tempo ho l'ufficio pieno di pop-corn; ogni dibattito parlamentare, ogni esecutivo di un partito è un invito a un pacchetto di pop corn" scrive; poi paragona Fini a Don Chisciotte e Berlusconi a Sancho Panza per dire che "l'Italia vive un episodio come questo con un semplice rossore. Il sangue non è scorso e la gente sorride per strada senza che i partitari di uno o l'altro si guardino con occhi assassini mentre si sputano rimproveri. L'Italia in questo ci dà un sacco di lezioni. Non so se di maturità democrazia, di diplomazia o di ipocrisia". Nel dubbio, Diez ha una sola certezza, che questo film, anche se non c'è nessuna scritta,tutti sanno che "continua".
Mi ha divertito il post in cui racconta la presentazione della Ferrari più spagnola della storia. La hostess gli spiega che le foto sono proibite, perché solo le telecamere della RAI possono riprendere, e poi due minuti dopo c'è una ressa di fotografi che lo indispettisce; una collega spagnola chiede alla stessa hostess se può mettere i microfoni e lei gli dice no, allora Diez le dice di fregarsene: il suo dispetto racconta un certo modo di essere italiani e di stabilire e rispettare le regole che non ha bisogno di molte parole in più.
Il primo post del 2010 spiega che gli italiani hanno parlato al cellulare 97 miliardi di minuti nel 2009: "Nessuno passa tanto tempo al cellulare come gli italiani. La dipendenza dal cellulare è patologica. Ci stordisce la solitudine e per questo ci isoliamo dal nostro intorno. In Spagna osservo una grande quantità di gente isolata dietro gli auricolari in cui ascolta la sua musica preferita o vede la puntata vecchia di Pokemon. Sembra una contraddizione, ma in Italia la gente si isola parlando. Ci sono anche nomadi urbani con aggeggi musicali, ma la maggior parte si perde in interminabili chiacchiere telefoniche in strada, al volante o in moto. Non c'è legge capace di seppellire la logorrea innata del Paese".
Ecco, forse non c'è miglior modo di definire la distanza tra italiani e spagnoli. A Siviglia mi ha sempre colpito il numero di persone che girano con le cuffie per strada, quasi a marcare una distanza, un "non mi scocciare, non chiedere a me", che rientra nei modi rudi che, secondo i canoni italiani, hanno i sivigliani e gli spagnoli in genere (loro sono convintissimi di essere gentilissimi e ci rimangono male se gli dici che no, se pensi a persone gentili, non sono gli spagnoli i primi che ti vengono in mente). Noi siamo sempre al cellulare, sia autobus, sia treno, sia macchina (in aereo è ancora proibito); passeggiate per la calle Sierpes o per la Gran Via e se beccate uno al cellulare è quasi certamente un italiano che sta raccontando la sua vacanza o i suoi accordi d'affari appena chiusi a qualcuno rimasto a casa (non può farlo quando torna? Non ve lo chiedete, non può, deve far sapere gli affari suoi a chiunque). Loro silenziosi e chiusi in se stessi, noi logorroici e plateali. Poi ditemi che siamo uguali.
E poi ha un testo di introduzione che sottoscrivo da adesso: "Si dice in modo gratuito che Italia e Spagna siano Paesi molto simili: culture simili, lingue vicine, costumi adiacenti… Un cavolo! Non mi propongo di smitizzare la fraternità mediterranea, ma sì di mettere in chiaro che ci sono marcate differenze". Io sono sempre più convinta che chi dice che Italia e Spagna si assomigliano non le conosce. Condividiamo la passione per il calcio e per la buona cucina, ma è una cosa che abbiamo in comune con tutti i Paesi latini, di questo e dell'altro lato dell'Atlantico. Niente di più.
Ho ancora chiaro il salto sulla sedia fatto da un'irresistibile Lucia Bosè ospite di un bel programma di TVE1, Las Cerezas, condotto dalla giornalista Julia Otero, quando le hanno detto che in fondo ci assomigliavamo molto: "Ma per niente!" ha esclamato. In italiano, come una che vive da oltre cinquant'anni a Madrid e non ha ancora perso l'abitudine di esprimersi nella propria lingua quando si appassiona. E anche lei, con questa rivendicazione di diversità non vuole dire che uno dei due sia migliore: non considero gli spagnoli né migliori né peggiori degli italiani (purtroppo le idiosincrasie attuali di entrambi i popoli portano a questa fastidiosa e continua competizione). Sono semplicemente diversi.
Ed è divertente vedere il proprio Paese con gli occhi di uno spagnolo che è arrivato alle stesse conclusioni: siamo diversi. E' divertente perché la supponenza che caratterizza gli spagnoli quando parlano di cose italiane si accompagna a quello stupore innocente che prende gli stranieri quando si trovano alle prese con questa realtà italiana, quasi sempre contraddittoria, ma che, sorprendentemente, arriva persino ad affascinarli. Così Diez racconta il disorientamento del suo amico Luca, che si è appena comprato l'auto, convinto di contribuire alla riattivazione dell'economia, e scopre che nel suo paesino stanno incentivando l'uso della bicicletta, sentendosi ingannato. Ci sono poi gli immancabili "svaligiatori" di Fontana di Trevi, che procura circa 1500 euro al giorno alle casse della Caritas Diocesana (ma perché i soldi di Fontana di Trevi finiscono alla Caritas?) e il prediletto è un tale D'Artagnan, arrestato più volte e sempre rilasciato perché da quando è reato prendere le monete gettate dai turisti in una fontana?
Il post sul pubblico litigio di Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini fa pensare ad altri corrispondenti, che considerano il Presidente del Governo italiano la parte più divertente del proprio lavoro (che tristezza, avere a Palazzo Chigi un tizio che diverte e non un leader che si ascolta con interesse, no?!). "Non ho perso la passione per il cinema, ma da tempo ho l'ufficio pieno di pop-corn; ogni dibattito parlamentare, ogni esecutivo di un partito è un invito a un pacchetto di pop corn" scrive; poi paragona Fini a Don Chisciotte e Berlusconi a Sancho Panza per dire che "l'Italia vive un episodio come questo con un semplice rossore. Il sangue non è scorso e la gente sorride per strada senza che i partitari di uno o l'altro si guardino con occhi assassini mentre si sputano rimproveri. L'Italia in questo ci dà un sacco di lezioni. Non so se di maturità democrazia, di diplomazia o di ipocrisia". Nel dubbio, Diez ha una sola certezza, che questo film, anche se non c'è nessuna scritta,tutti sanno che "continua".
Mi ha divertito il post in cui racconta la presentazione della Ferrari più spagnola della storia. La hostess gli spiega che le foto sono proibite, perché solo le telecamere della RAI possono riprendere, e poi due minuti dopo c'è una ressa di fotografi che lo indispettisce; una collega spagnola chiede alla stessa hostess se può mettere i microfoni e lei gli dice no, allora Diez le dice di fregarsene: il suo dispetto racconta un certo modo di essere italiani e di stabilire e rispettare le regole che non ha bisogno di molte parole in più.
Il primo post del 2010 spiega che gli italiani hanno parlato al cellulare 97 miliardi di minuti nel 2009: "Nessuno passa tanto tempo al cellulare come gli italiani. La dipendenza dal cellulare è patologica. Ci stordisce la solitudine e per questo ci isoliamo dal nostro intorno. In Spagna osservo una grande quantità di gente isolata dietro gli auricolari in cui ascolta la sua musica preferita o vede la puntata vecchia di Pokemon. Sembra una contraddizione, ma in Italia la gente si isola parlando. Ci sono anche nomadi urbani con aggeggi musicali, ma la maggior parte si perde in interminabili chiacchiere telefoniche in strada, al volante o in moto. Non c'è legge capace di seppellire la logorrea innata del Paese".
Ecco, forse non c'è miglior modo di definire la distanza tra italiani e spagnoli. A Siviglia mi ha sempre colpito il numero di persone che girano con le cuffie per strada, quasi a marcare una distanza, un "non mi scocciare, non chiedere a me", che rientra nei modi rudi che, secondo i canoni italiani, hanno i sivigliani e gli spagnoli in genere (loro sono convintissimi di essere gentilissimi e ci rimangono male se gli dici che no, se pensi a persone gentili, non sono gli spagnoli i primi che ti vengono in mente). Noi siamo sempre al cellulare, sia autobus, sia treno, sia macchina (in aereo è ancora proibito); passeggiate per la calle Sierpes o per la Gran Via e se beccate uno al cellulare è quasi certamente un italiano che sta raccontando la sua vacanza o i suoi accordi d'affari appena chiusi a qualcuno rimasto a casa (non può farlo quando torna? Non ve lo chiedete, non può, deve far sapere gli affari suoi a chiunque). Loro silenziosi e chiusi in se stessi, noi logorroici e plateali. Poi ditemi che siamo uguali.