giovedì 18 giugno 2009

Berlino candidata al Premio Principe de Asturias per la Concordia

La notizia è di oggi pomeriggio: nel ventesimo anniversario della caduta del Muro, Berlino è stata candidata al Premio Principe delle Asturie per la Concordia da un gruppo di parlamentari europei, guidati dal presidente dei socialisti Martin Schultz (ma ci sono anche il popolare spagnolo Iñigo Méndez de Vigo e il liberale britannico Andrew Duff). La giuria sceglierà il vincitore del Premio l 10 settembre, quindi, dopo il fitto programma estivo con cui la capitale tedesca celebrerà il ventesimo anniversario della sua ritrovata unità.
E' una candidatura che mi rende doppiamente felice. Ho molta ammirazione per il Premio Principe delle Asturie. Mi piace il suo amore per l'umanità, in tutte le sue manifestazioni, da quelle letterarie a quelle scientifiche, il suo interesse per l'humanitas di memoria latina, che ci dimostra tutto quello che possiamo essere per noi stessi e per gli altri. Mi piace come attraverso i suoi Premi si conoscano realtà, istituzioni   persone lontane dai grandi media, grazie a una ricerca instancabile e mai banale che ormai non appartiene più solo alla Fondazione, ma, come l'iniziativa degli eurodeputati dimostra, a chiunque riconosca il valore di questo riconoscimento. Mi piacciono i rituali della cerimonia di premiazione, che sono gli stessi da quasi trent'anni, la Regina che guarda dal Palco Reale del Teatro Campoamor il figlio non più adolescente, accanto al quale c'è adesso un'altra donna, il Principe che non ha perso la timidezza nel condurre il rito di sempre, nonostante lo faccia dall'adolescenza, i premiati, che leggono sempre discorsi degni di essere ascoltati, proprio per l'interesse e l'inclinazione per l'humanitas. Per me è uno dei premi più importanti della cultura europea, per questa capacità di guardare all'uomo e mi piace molto come la Spagna, in un'alleanza silenziosa tra la Casa Reale, la Cultura e i media, abbia saputo farli crescere e proteggere, fino a farli diventare il più prestigioso riconoscimento della cultura di lingua spagnola.
Per questo l'idea di vedere Berlino candidata al Principe de Asturias mi piace. La lezione che arriva dai suoi vent'anni di ritrovata unità è ammirevole. Sono stata a Berlino per la prima volta, per quattro settimane, a febbraio dello scorso anno, ci sono ritornata per due settimane a maggio di quest'anno, vedendo da vicino le prime prove per i lunghi festeggiamenti del ventesimo anniversario della caduta del Muro. La cosa che mi ha colpito, a parte l'evidente effervescenza architettonica e artistica, che non lascia indifferente nessuno, è la volontà di non dimenticare dei berlinesi. Certo, la Porta di Brandeburgo, adesso imprigionata nell'orribile Pariser Platz, è diventata una specie di circo, in cui si trovano Orsi di Berlino e soldati in divisa statunitense e sovietica, con le bandiere in mano, tutti pronti a farsi le foto per i turisti con lo sfondo di quello che fu  il glorioso ingresso nella città del Kaiser (Wilhelm II probabilmente rimarrebbe horrorizado a vedere un circo simile all'inizio di Unter den Linden, ma è probabilmente il pedaggio da pagare al turismo). E la Trabant, che fu il simbolo della Germania comunista, è adesso un veicolo che si affitta per 40 euro all'ora in uno degli antichi posti di confine, per provare il brivido di immergersi nelle atmosfere di Good-bye Lenin. Ma alla Porta di Brandeburgo, nella Potsdamer Platz, nella Zimmerstrasse ci sono grandi cartelloni, frammenti di Muro, indicazioni per i monumenti dedicati a chi morì cercando di fuggire all'Ovest, che raccontano quello che la Berlino vittima ha sopportato. Poco più distante ci sono gli orrori del nazismo, che la Berlino carnefice ha imposto all'Europa e ai Giudei. E queste due anime della città, carnefice e vittima, convivono: Berlino non le nasconde, non se ne vergogna, le racconta come parte della propria storia, affinché la si possa comprendere meglio. Ammiro Berlino per questo: non si racconta bugie, non cerca giustificazioni per gli orrori, non si vittimizza per le dittature. L'unica cosa che le importa è ricordare. Uno dei miei ultimi giorni berlinesi, una delle poche giornate di sole, l'ho trascorso sull'altro lato della Sprea, negli antichi quartieri di Berlino Est, per seguire la East Side Gallery, un lungo frammento del Muro che è stato salvato dalla demolizione e che vari artisti stanno adesso decorando con nuovi murales, a ricordare l'anniversario della sua caduta. Credo sia una delle cose più emozionanti che ho fatto: bandiere di tutti i colori, porte di Brandeburgo portate lontano dalle colombe della pace, graffiti in tutte le lingue del mondo, compreso un'immancabile Campioni del mondo 2006 che mi ha pure emozionato.Sono Berlino e la gente che la ama che continuano a parlare, trasformando in un simbolo di libertà quello che è stato per anni il simbolo più crudele della divisione dell'Europa. Tutti gli stereotipi del mondo possono dire quello che vogliono, che i tedeschi sono freddi e indifferenti, lontani e scostanti. Per me la scarsa conoscenza del tedesco non è mai stata un freno: ho conosciuto tedesche che mi hanno fermato per strada perché avevo una guida turistica in mano e volevano sapere se avevo bisogno di una mano, commesse che mi hanno parlato in uno spagnolo stentato non appena hanno sentito un meccanico invece di un ja, ragazzi che ridendo mi dicevano Italy World Champion in Germany! e poi aggiungevano un gesto della mano a dire, non importa, va bene così, giovani asiatiche che nei ristoranti, causa il diverso accento dell'inglese, ricorrevano sorridendo ai gesti della mano per capirsi più facilmente. E' una città che mi ha sempre stupito per il calore con cui accoglie l'ospite e lo introduce a scoprirla. Non sfigurerebbe accanto a Mohamed Yunus, l'inventore del Microcredito, la Rete Mondiale di Riserve della Biosfera, re Hussein di Giordania, il Museo della Memoria dell'Olocausto di Gerusalemme o Stephen Hawking, che hanno vinto i passati Premi Principe delle Asturie per la Concordia.