sabato 20 giugno 2009

Dal castigliano allo spanglish, il lungo viaggio di una lingua sempre sulla frontiera

Luis Miguel, uno dei cantanti ispanici più popolari, si rifiuta di cantare in inglese, e quindi, secondo i discografici, di avere una maggiore popolarità internazionale, perché "in spagnolo ci sono molti modi di dire ti amo". Ognuno di noi è convinto che la propria lingua sia quella che permette di esprimere meglio le emozioni, per ovvie ragioni, ma è una frase che mi è tornata in mente oggi, che 43 Paesi celebrano il Primer Dia del Español, la prima Giornata dello Spagnolo. Dalla Spagna all'America Latina, dalla Germania alla Cina, gli Istituti Cervantes ricordano i successi e la vivacità della seconda lingua più parlata del mondo, della terza lingua più usata di Internet e di quella che dal 2050 sarà la lingua più parlata degli Stati Uniti d'America. Uno dei più begli articoli sullo spagnolo è questo, apparso oggi sul blog di Arsenio Escolar, direttore di 20 Minutos, il più diffuso quotidiano gratuito spagnolo. Propone un viaggio affascinante, che è un peccato non poter vedere come finirà a causa dei limiti della vita umana. In spagnolo potete leggerlo qui

Preparatevi per un viaggio insolito con me. Data di inizio: fine del primo millennio, nei secoli oscuri dell'Alto Medioevo. Luogo di partenza: una piccola regione del nord della penisola iberica, una stretta area limitata al nord dalla Cordigliera Cantabrica, all'ovest dal fiume Pisuerga, all'est dai monti baschi e al sud da un grande spazio non popolato che molti anni dopo gli storici avrebbero chiamato il deserto del Duero.
Questa è da molti, molti secoli una terra di frontiera. Dura, fredda, bellicosa. E' un vulcano. Entrerà in ebollizione e la sua lava si estenderà in tutto il mondo.
Osservate bene: siamo nel vertice fisico di tutta la Penisola, perché confluiscono in esso le tre grandi conche idrografiche: la mediterranea (qui nasce l'Ebro), l'atlantica (il Pisuerga nutre il Duero) e la cantabrica (il Nansa). Siamo anche in un vertice politico, sulla frontiera su cui si sono scontrati decine di popoli da moltissimo tempo. Gli iberi con i celti; i baschi con i pelendoni, i cantabri con i romani; i romani della Hispania Citerior con quelli della Hispania Ulterior; gli alani con gli svevi; i visigoti con i goti; i cristiani del regno di León con i cristiani del regno di Navarra; i cristiani dell'uno e dell'altro regno con i musulmani dell'emirato (poi califfato) di Córdoba.
Da sempre, questo è stato un posto in cui è difficile vivere, un pericoloso Far West. Ha conosciuto tante guerre che negli anni in cui inizia la nostra storia è pieno di fortificazioni, di castelli di pietra. Tanti ce ne sono, che hanno dato il nome alla regione: Castilla.
Chi vive in essi e nei borghi ai loro piedi? Gente rude, poco colta, mal latinizzata. Lavorano alcune terre, poche, perché non si sa mai se le continue guerre permetteranno che i raccolti arrivino a buon fine. Ingrassano qualche capo di bestiame. Realizzano qualche prodotto d'artigianato molto elementare. Commerciano un poco. E, soprattutto, fanno la guerra.
Sono genti aspre, indurite e... parlano male, molto male. I loro antenati impararono così male il latino che a Roma circolava una battuta: "Beati hispani quibus bibere et vivere idem est" ("Beati gli ispanici, per cui bere e vivere è lo stesso"). Non lo dicevano solo perché piaceva loro bere, ma anche perché erano gli unici abitanti dell'Impero che, al pronunciarle, non distinguevano la b e la v. I nostri protagonisti hanno corrotto quel latino volgare e lo hanno mescolato con vecchi termini pre-romani che conservava ancora la loro memoria atavica e con altri germanici del loro recente passato gotico e con altri dei franchi e degli occitani portati dai pellegrini del Cammino di Santiago e dai monaci cluniacensi e ancora con altri imparati dagli arabi, con cui guerreggiano e patteggiano continuamente e a cui pagano o impongono dazi, e dai mozárabes, che hanno sloggiato dal Duero e che si sono rifugiati in questo angolo settentrionale un po' più sicuro...
Hanno mescolato tutti questi ingredienti e hanno agitato il cocktail. Sorpresa: non solo mescola bene, ma è entrato in bollizione e cambia in fretta colore, odore e tessitura... Sonorizza le consonanti latine più dei vicini aragonesi e galiziani. Dittonga in maniera più arrischiata. Elimina molte più vocali postoniche. Introduce molti più suoni gutturali e velari, di quelli che suonano nel fondo della gola. Riempie le sue parole di suoni vibranti, di erre quasi impronunciabili per gli abitanti delle regioni limitrofe.
"Illorum lingua resona quasi tympano tuba" ("la loro lingua risuona come le trombe di guerra"). La citazione è del Poema de Almería, un'opera in latino del 1150 circa. E si riferisce, ovviamente, alla lingua della Castiglia, a questo nuovo idioma nato nel crogiolo di una frontiera geografica e politica e nella testa e le gole di una gente lanciata, innovatrice, poco attaccata alle tradizioni perché appena ha altra tradizione che non sia la guerra.
Ed è stata la guerra, la lunga guerra contro i musulmani durante il Medioevo, e le spedizioni di conquista d'oltremare dell'impero degli Asburgo nell'Età Modena, ciò che ha esteso la nuova lingua in modo inarrestabile. Ma anche, e soprattutto, è stata questa capacità di innovazione, di cambio e di assimilazione che portava dentro, nella sua fonetica, nella sua morfologia, nella sua ortografia...
Nel XV secolo il castigliano era già la lingua della cultura di tutta la Penisola, anche dei territori nelle cui strade si parlava un'altra lingua romanza. Alla fine di questo secolo e del seguente, quando balza in America, diventa una koinè, una lingua comune, di un territorio enorme, fino ad allora frammentato in 123 famiglie di lingue da cui, una volta in più, la lingua dinamica prende prestiti.
Nel XVII secolo, una pleiade di scrittori eccelsi, Cervantes, Quevedo, Lope, Gracián, Calderón, lo trasforma in una delle lingue di prestigio di mezza Europa.
Nel XVIII secolo, con l'arrivo sul trono spagnolo di una dinastia di origine francese, fa una nuova raccolta di parole francesi e le fa proprie. Nel XIX e nel XX secolo si nutre dell'inglese, dal quale prende molte parole nate dalla rivoluzione industriale, dal trasporto, il turismo, l'economia moderna e le nuove tecnologie.
Alba del XXI secolo. Ultima stazione del viaggio. La lingua della frontiera è arrivata a un'altra, l'ennesima del suo lungo percorso. In un grandissimo territorio dell'America del Nord è entrata in contatto e in lotta diretta con l'inglese, con cui condivide decine di milioni di persone. Chi colonizzerà chi? la potente lingua del nord, che conta con più armi economiche, mediatiche e tecnologiche, o la dinamica e innovatrice lingua inventata più di mille anni fa da alcuni rudi guerrieri, che conta su un'arma demolitrice, la demografia? Sopravviveranno entrambe come oggi le conosciamo? O si fonderanno e nascerà quello che oggi chiamiamo spanglish, una nuova koinè quasi universale?