lunedì 29 giugno 2009

La sconfitta di Néstor Kirchner alle elezioni 2009, un'opportunità per Cristina

Scrive Clarin che "queste elezioni hanno finito con l'essere una successione di eventi sfortunati" per il kirchnerismo e, a guardare come sono andate le cose ieri in Argentina, non ha tutti i torti. Cristina Fernandez e, soprattutto, Néstor Kirchner hanno perso le elezioni legislative, che hanno rinnovato la metà del Congreso e hanno privato la presidente della maggioranza necessaria per governare. Le sconfitte più brucianti, nella provincia di Buenos Aires, dove Néstor Kirchner si presentava quasi a chiedere un plebiscito su se stesso ed è stato battuto dal peronista dissidente Francisco de Narváez, e nelle provincie di Cordova, Santa Fe, Mendoza e Santa Cruz, quest'ultima feudo personale della coppia presidenziale. E' in queste provincie che risiede il 68% della popolazione argentina ed è in genere nell'area della Grande Buenos Aires, che si decidono le elezioni. Tradizionale serbatoio di voti del peronismo, grazie alle classi proletarie, stavolta la grande periferia della capitale ha voltato le spalle ai Kirchner, costringendoli adesso a una politica probabilmente meno populista, sicuramente meno arrogante e costretta a patti con tutte le classi sociali.
La naturale scadenza per il rinnovo delle Camere era ottobre, ma Cristina Fernandez, vista la crisi economica in arrivo, che poteva influenzare il risultato elettorale, ha preferito anticiparle a giugno. Il marito Néstor, che tutta l'Argentina considera il presidente-ombra del Paese, è sceso direttamente in campo a Buenos Aires, presentandosi come numero 1 delle liste peroniste, per ritrovare un ruolo "pubblico" e per rispondere con il proprio carisma, al desgaste, il logoramento della moglie presidente. Popolari tra le classi più povere del Paese, i Kirchner lo sono molto meno nei ceti medi e urbani. Che non perdonano a Cristina la lunga guerra con il campo, i proprietari agricoli a cui ha cercato unilateralmente, senza alcun accordo previo, di alzare le tasse, né le politiche clientelari e populiste, inadatte ai tempi di crisi che l'Argentina si trova a vivere, non solo per la notoria crisi internazionale, ma anche per anni di politiche economiche dissennate (basti pensare che il Paese, uno dei giganti della produzione mondiale di carne, dovrà presto iniziare a importarla). A questa impopolarità di fondo della coppia presidenziale, bisogna aggiungere l'epidemia di dengue, a lungo negata e poi arrivata fino alla capitale, e adesso la ben più grave espansione dell'A/H1N1, che è già costata la vita a una ventina di persone. Non è ancora psicosi, ma in molte zone dell'interior, le grandi aree interne del Paese, e della stessa Buenos Aires, le scuole sono chiuse o funzionano poco perché i genitori non mandano i figli per paura del contagio. Per le stesse elezioni le autorità hanno raccomandato agli elettori di mantenersi almeno a un metro di distanze nelle code e hanno fornito ogni seggio di alcol, per disinfettare gli strumenti usati e assicurare l'igiene ai votanti.
Il ridimensionamento di Cristina e Néstor Kirchner era nell'aria, ma nessuno si aspettava una sconfitta di queste proporzioni. Perdute Buenos Aires, Cordova, Santa Fe e Mendoza, le più importanti città del Paese, hanno perso ben 20 dei 60 deputati che erano in gioco. La loro sconfitta mina non solo la libertà nell'azione di governo di Cristina, giunta a metà del suo mandato, ma anche la possibilità dei coniugi Kirchner di influire nelle prossime elezioni presidenziali del 2011. Queste elezioni di medio termine sono infatti un buon osservatorio per la sistemazione dei potenziali candidati presidenziali sulla scacchiera. A Santa Fe Carlos Reutemann, il fedelissimo che ha abbandonato il kirchnerismo dopo la guerra agli agricoltori (fu fedelissimo anche del radicalismo e del menemismo prima di tradirli, notano i suoi detrattori), continua a mantenere intatte le sue possibilità di presentarsi alle elezioni per la Casa Rosada, avendo battuto, seppure di misura, il candidato socialista Rubén Giustiniani, uomo del governatore Hermes Binner, anche lui aspirante presidente. Il trionfo a Mendoza permette al vicepresidente Julio Cobos di guardare con una certa serietà alle elezioni del 2011, così come a Mauricio Macrì, sindaco di Buenos Aires, che ha confermato i suoi risultati nella capitale e se volesse potrebbe pensarci. Sono tutti uomini lontani dai Kirchner, o per convinzioni ideologiche o per dissidenze arrivate durante il loro potere ormai quasi decennale.
"Stiamo scegliendo tra due modelli" diceva ieri Cristina, difendendo i suoi due anni di mandato, che le sono costati in popolarità quanto a nessun altro presidente prima (in America Latina solo Hugo Chavez è meno popolare di lei). La scelta degli argentini, all'alba di oggi, è una politica che sia meno populista, meno clientelare e più attenta alla crisi economica. Il Brasile e il Cile sono i modelli più citati dagli avversari dei Kirchner: sono i due tradizionali rivali storici dell'Argentina, ma sono anche i Paesi che meglio hanno saputo coniugare il mercato, che Cristina tende a negare, approfittando del tonfo dell'attuale capitalismo, e lo Stato Sociale in costruzione o quasi inesistente in tutto il subcontinente. "Lula è arrivato al potere da dove è arrivato, ma poi si è adattato alle circostanze" diceva Carlos Reutemann, ricordando l'impulso che il presidente-sindacalista ha dato all'economia brasiliana, sostenendo le sue imprese e varando grandi piani sociali per far sì che "nessun brasiliano debba più morire di fame". I giornali di Buenos Aires raccontano costernati che ben presto l'Argentina dovrà importare carne e mais, un durissimo colpo per l'orgoglio di chi ama considerarsi uno die più grandi produttori mondiali di carne e uno dei granai del mondo. Cristina ha ancora due anni e mezzo di tempo per liberarsi dell'ombra di Néstor e per dare una direzione al suo governo, meno populista e più socialdemocratico, meno clientelare e più snello, più attento alle esigenze del mercato per poi costruire lo Stato Sociale con le ricchezze da esso generate. Come scrive oggi ancora Clarin, commentando la sconfitta kirchnerista: "Ogni crisi è anche un'opportunità".