Una volta qui erano tutti negozi e botteghe, verrebbe da dire, guardando la sfilza di saracinesche abbassate, nelle strade di Siviglia. Sono ovunque, nelle viuzze commerciali che dalla plaza del Salvador salgono fino all'Alfalfa, e poi ancora più su, alla Puerta de Carmona. Si vedono nella calle de Castilla di Triana e nelle calles che da San Lorenzo scendono verso il Guadalquivir. A Siviglia il turn-over dei negozi è sempre stato impressionante, probabilmente perché l'alta presenza del turismo ha sempre ispirato attività poi fallimentari alla prova dei fatti e perché tra gli stessi stranieri innamorati di Siviglia, molto spesso la voglia di rimanere si traduce nell'apertura di qualche attività commerciale che non sempre funziona. Ma la crisi economica ha cambiato le cose.
Sono spariti i Centri Internet fioriti all'inizio del secolo: erano un punto d'incontro di turisti e studenti, ce n'erano quasi a ogni angolo, a memoria ne ricordo sei solo tra la Puerta de Jerez e la Campana, lungo un percorso che non deve superare il chilometro, e non ce n'è più uno; per non parlare di quelli spariti a Triana e nel Barrio de San Lorenzo. Non ci sono più vari ristoranti della calle Betis e del Barrio de San Lorenzo, negozi di abbigliamento della commercialissima calle Sierpes e di artigianato delle viuzze intorno all'Alfalfa. Sono state spazzolate via le numerosissime agenzie immobiliari; la loro sparizione è probabilmente la cosa più choccante, il segno più tangibile della crisi economica. Ai tempi della bolla edilizia, Siviglia aveva numerosissime agenzie immobiliari, nascevano quasi come funghi e i loro Affittasi e Vendesi, con prezzi sempre più astronomici, dava un'idea della locura che stava vivendo il Paese e della speculazione che stava assaltando i risparmi spagnoli (ma io sono sempre dell'idea che se non si ha il buonsenso di assumere solo i debiti che si possono pagare, poi non si può dare la colpa agli altri). Adesso ho perso tutti i miei riferimenti, sono sparite le agenzie dell'Arenal, de Los Remedios, della Macarena. Qualche volta dall'Italia mi chiedono di guardare l'andamento delle offerte immobiliari e mi riesce complicato trovare agenzie immobiliari. Devo proprio mettermi a cercarle e, ogni volta che ne trovo una, tenerla memorizzata.
Si guarda questa serie di saracinesche abbassate e si sente forte il segno della crisi economica. Ed è inquietante. A Siviglia la disoccupazione sfiora il 20%, ma raddoppia tra i giovani, quasi tutti con studi superiori. Non per niente, scriveva qualche giorno fa El Correo de Andalucia, sarà la Germania la protagonista dell'incontro tra gli studenti di ingegneria e il mondo del lavoro previsto per il 13 aprile 2011: i tedeschi dovranno coprire 800mila posti di lavoro in settori come l'ingegneria, la sanità, l'insegnamento e il turismo e per questo cercano giovani laureati stranieri. In Spagna, e nella stessa Siviglia, sono per questo sensibilmente aumentate le domande di corsi di tedesco.
Ma la crisi, che non si avverte passeggiando tra i tavolini all'aperto dei bar, sempre occupati (e non necessariamente in centro) o tra persone sempre in linea con le ultime tendenze della moda, a qualunque ora del giorno, condiziona mentalità. Ci sono atteggiamenti schizofrenici, ma perfettamente comprensibili. Quasi tutte le famiglie hanno un mutuo da pagare, che è il loro vero e proprio incubo, anche perché la legge impone che chi perde la casa perché incapace di sostenere la spesa del mutuo, debba comunque estinguere il debito con la banca. Per cui si arriva al paradosso di famiglie che non hanno più la casa, ma devono continuare a pagare una sorta di mutuo: José Luis Rodriguez Zapatero ha promesso di riparare questa ingiustizia e una legge d'iniziativa popolare, che estingue il debito con la banca alla consegna dell'alloggio confiscato, è appena arrivata in Parlamento. Ci sono persone che per pagare il mutuo si tengono stretti lavori che non li soddisfano e per cui non sono sufficientemente pagati: soprattutto nelle piccole aziende la minaccia del licenziamento serve per spingere i dipendenti a orari più lunghi. "Se non lo faccio chi mi paga il mutuo?!" è il leit-motiv usato per giustificare i piccoli e grandi soprusi subiti dalle commesse dei negozi e dai dipendenti delle piccole attività.
Ma c'è chi nella crisi vuole vedere un'opportunità. Tempo fa stavo risalendo dall'Alfalfa verso la Casa de Pilato con una conoscente. Quante saracinesche abbassate, già riempite di graffiti! Lei le ha guardate e mi ha detto che temeva per il suo posto di lavoro, in uno studio professionale con un'attività sempre più fiacca. "Prima che mi licenzino, potrei lasciare tutto e aprirmi un'attività: è il momento giusto, gli affitti dei locali devono essere crollati". E' un'appassionata di pasticceria, ha la verve andalusa che incanta gli stranieri e il sorriso che i sivigliani del commercio difficilmente regalano ai turisti. I figli sono grandi, il lavoro con cui ha contribuito a mantenerli la annoia, il rapporto con gli altri la fa sentire a casa. "E' tempo d'iniziare a pensare a me e a quello che mi piace. Se devo rimanere senza lavoro, che sia dopo aver tentato di fare quello che avrei sempre voluto fare". La crisi come opportunità. Non è l'unica che la pensa così, anche se, purtroppo, e pure comprensibilmente, questo modo di vederla appartiene ancora a una minoranza. E' difficile vedere le saracinesche abbassate aprirsi per le ristrutturazioni richieste da nuovi progetti. Tempo fa, nella zona dell'Arenal, mi era capitato di sentir parlare uno spagnolo dal pesante accento toscano (siamo così pessimi quando parliamo in spagnolo, che ci riconosciamo addirittura le regioni di provenienza e ci prendiamo in giro per questo). Apparteneva a due più o meno trentenni, che stavano progettando un nuovo ristorante con un entusiasmo italiano e contagioso e mi sono rimasti simpatici perché il caso ha voluto che avessi incontrato in aereo, qualche mese prima, la madre di una dei due, preoccupata come tutte le madri per il figlio troppo lontano e allo stesso tempo orgogliosa di questo nuovo progetto di vita che si apriva nella Spagna della crisi economica, ok, ma più aperta dell'Italia voluta da chi vota per Silvio Berlusconi e la sua cricca. Non so se sia andata loro bene: l'ultima volta che sono passata il ristorante era ancora lì e magari è un buon segno.
Come è andata bene alla prima yogurteria di Siviglia. Ricordate? se n'era parlato tempo fa su Rotta a Sud Ovest. Tempo fa sono passata a salutare il titolare e mi ha raccontato di "non potersi proprio lamentare": "Yogurtlandia ha aperto un altro punto vendita, nell'Arenal, e in Spagna sono stati aperti altri sei negozi, l'ultimo a Valencia. Avevamo paura che lo yogurt non piacesse, sai come sono i sivigliani, chiusi e attaccati alle loro tradizioni, e invece no. L'hanno provato, è piaciuto molto ed è andata bene. Il negozio dell'Arenal lavora soprattutto con i turisti stranieri, invece noi qui, all'Alfalfa, abbiamo una clientela soprattutto sivigliana. E non mi lamento affatto: anche d'inverno a volte lavoriamo fino all'1, le 2 di notte del sabato, perché continuano ad arrivare...". Chissà se è suerte, se è l'idea giusta, se è la determinazione, ma storie di questo genere colpiscono e rallegrano, non solo perché è un'ennesima storia di successo italiano all'estero, ma anche, e soprattutto, perché si guarda in altro modo, a quella sfilza di saracinesche abbassate.
Sono spariti i Centri Internet fioriti all'inizio del secolo: erano un punto d'incontro di turisti e studenti, ce n'erano quasi a ogni angolo, a memoria ne ricordo sei solo tra la Puerta de Jerez e la Campana, lungo un percorso che non deve superare il chilometro, e non ce n'è più uno; per non parlare di quelli spariti a Triana e nel Barrio de San Lorenzo. Non ci sono più vari ristoranti della calle Betis e del Barrio de San Lorenzo, negozi di abbigliamento della commercialissima calle Sierpes e di artigianato delle viuzze intorno all'Alfalfa. Sono state spazzolate via le numerosissime agenzie immobiliari; la loro sparizione è probabilmente la cosa più choccante, il segno più tangibile della crisi economica. Ai tempi della bolla edilizia, Siviglia aveva numerosissime agenzie immobiliari, nascevano quasi come funghi e i loro Affittasi e Vendesi, con prezzi sempre più astronomici, dava un'idea della locura che stava vivendo il Paese e della speculazione che stava assaltando i risparmi spagnoli (ma io sono sempre dell'idea che se non si ha il buonsenso di assumere solo i debiti che si possono pagare, poi non si può dare la colpa agli altri). Adesso ho perso tutti i miei riferimenti, sono sparite le agenzie dell'Arenal, de Los Remedios, della Macarena. Qualche volta dall'Italia mi chiedono di guardare l'andamento delle offerte immobiliari e mi riesce complicato trovare agenzie immobiliari. Devo proprio mettermi a cercarle e, ogni volta che ne trovo una, tenerla memorizzata.
Si guarda questa serie di saracinesche abbassate e si sente forte il segno della crisi economica. Ed è inquietante. A Siviglia la disoccupazione sfiora il 20%, ma raddoppia tra i giovani, quasi tutti con studi superiori. Non per niente, scriveva qualche giorno fa El Correo de Andalucia, sarà la Germania la protagonista dell'incontro tra gli studenti di ingegneria e il mondo del lavoro previsto per il 13 aprile 2011: i tedeschi dovranno coprire 800mila posti di lavoro in settori come l'ingegneria, la sanità, l'insegnamento e il turismo e per questo cercano giovani laureati stranieri. In Spagna, e nella stessa Siviglia, sono per questo sensibilmente aumentate le domande di corsi di tedesco.
Ma la crisi, che non si avverte passeggiando tra i tavolini all'aperto dei bar, sempre occupati (e non necessariamente in centro) o tra persone sempre in linea con le ultime tendenze della moda, a qualunque ora del giorno, condiziona mentalità. Ci sono atteggiamenti schizofrenici, ma perfettamente comprensibili. Quasi tutte le famiglie hanno un mutuo da pagare, che è il loro vero e proprio incubo, anche perché la legge impone che chi perde la casa perché incapace di sostenere la spesa del mutuo, debba comunque estinguere il debito con la banca. Per cui si arriva al paradosso di famiglie che non hanno più la casa, ma devono continuare a pagare una sorta di mutuo: José Luis Rodriguez Zapatero ha promesso di riparare questa ingiustizia e una legge d'iniziativa popolare, che estingue il debito con la banca alla consegna dell'alloggio confiscato, è appena arrivata in Parlamento. Ci sono persone che per pagare il mutuo si tengono stretti lavori che non li soddisfano e per cui non sono sufficientemente pagati: soprattutto nelle piccole aziende la minaccia del licenziamento serve per spingere i dipendenti a orari più lunghi. "Se non lo faccio chi mi paga il mutuo?!" è il leit-motiv usato per giustificare i piccoli e grandi soprusi subiti dalle commesse dei negozi e dai dipendenti delle piccole attività.
Ma c'è chi nella crisi vuole vedere un'opportunità. Tempo fa stavo risalendo dall'Alfalfa verso la Casa de Pilato con una conoscente. Quante saracinesche abbassate, già riempite di graffiti! Lei le ha guardate e mi ha detto che temeva per il suo posto di lavoro, in uno studio professionale con un'attività sempre più fiacca. "Prima che mi licenzino, potrei lasciare tutto e aprirmi un'attività: è il momento giusto, gli affitti dei locali devono essere crollati". E' un'appassionata di pasticceria, ha la verve andalusa che incanta gli stranieri e il sorriso che i sivigliani del commercio difficilmente regalano ai turisti. I figli sono grandi, il lavoro con cui ha contribuito a mantenerli la annoia, il rapporto con gli altri la fa sentire a casa. "E' tempo d'iniziare a pensare a me e a quello che mi piace. Se devo rimanere senza lavoro, che sia dopo aver tentato di fare quello che avrei sempre voluto fare". La crisi come opportunità. Non è l'unica che la pensa così, anche se, purtroppo, e pure comprensibilmente, questo modo di vederla appartiene ancora a una minoranza. E' difficile vedere le saracinesche abbassate aprirsi per le ristrutturazioni richieste da nuovi progetti. Tempo fa, nella zona dell'Arenal, mi era capitato di sentir parlare uno spagnolo dal pesante accento toscano (siamo così pessimi quando parliamo in spagnolo, che ci riconosciamo addirittura le regioni di provenienza e ci prendiamo in giro per questo). Apparteneva a due più o meno trentenni, che stavano progettando un nuovo ristorante con un entusiasmo italiano e contagioso e mi sono rimasti simpatici perché il caso ha voluto che avessi incontrato in aereo, qualche mese prima, la madre di una dei due, preoccupata come tutte le madri per il figlio troppo lontano e allo stesso tempo orgogliosa di questo nuovo progetto di vita che si apriva nella Spagna della crisi economica, ok, ma più aperta dell'Italia voluta da chi vota per Silvio Berlusconi e la sua cricca. Non so se sia andata loro bene: l'ultima volta che sono passata il ristorante era ancora lì e magari è un buon segno.
Come è andata bene alla prima yogurteria di Siviglia. Ricordate? se n'era parlato tempo fa su Rotta a Sud Ovest. Tempo fa sono passata a salutare il titolare e mi ha raccontato di "non potersi proprio lamentare": "Yogurtlandia ha aperto un altro punto vendita, nell'Arenal, e in Spagna sono stati aperti altri sei negozi, l'ultimo a Valencia. Avevamo paura che lo yogurt non piacesse, sai come sono i sivigliani, chiusi e attaccati alle loro tradizioni, e invece no. L'hanno provato, è piaciuto molto ed è andata bene. Il negozio dell'Arenal lavora soprattutto con i turisti stranieri, invece noi qui, all'Alfalfa, abbiamo una clientela soprattutto sivigliana. E non mi lamento affatto: anche d'inverno a volte lavoriamo fino all'1, le 2 di notte del sabato, perché continuano ad arrivare...". Chissà se è suerte, se è l'idea giusta, se è la determinazione, ma storie di questo genere colpiscono e rallegrano, non solo perché è un'ennesima storia di successo italiano all'estero, ma anche, e soprattutto, perché si guarda in altro modo, a quella sfilza di saracinesche abbassate.