giovedì 19 aprile 2012

Vent'anni dopo la Expo92, Siviglia non ha ancora conquistato la Cartuja

Non solo il Bicentenerio della Costituzione del 1812, la più liberale del suo tempo, in questo 2012 della Spagna più triste della democracia, ma anche il Ventennale dalla Expo Universale di Siviglia e dalle Olimpiadi di Barcellona, i due momenti in cui la Spagna della democracia ha presentato al mondo, innamorandolo, la sua vivacità, la sua cultura e il suo desiderio di apertura.
A Siviglia, la Expo92 apriva vent'anni fa in questi giorni, il 20 aprile, ma la crisi fa sì che non ci siano in programma eventi speciali per ricordare l'anniversario. Ne parlano però, inevitabilmente, i media locali, che cercano di vendere la Expo92 come un successo internazionale per l'immagine della città, finalmente libera dalla triade Semana Santa-Feria de Abril-Rocio e finalmente proiettata verso la modernità, le nuove tecnologie, la ricerca e lo sviluppo.
Lo scopo finale della Expo92 era quello di restituire a Siviglia uno spazio cittadino fino ad allora dimenticato. Così come la Expo Iberoamericana del 1929 aveva ridisegnato i quartieri che si protendono verso Sud, restituendo alla città il Parque de Maria Luisa e i suoi dintorni, l'Expo92 aveva riprogettato la Isla de la Cartuja, con i padiglioni internazionali e i nuovi ponti sul Guadalquivir. Vent'anni dopo si può considerare che l'operazione sia stata un successo? Se si paragona l'integrazione degli spazi della Expo92 alla città con quelli della Expo29, si può dire che è stato un fiasco. L'Expo Iberoamericana ha regalato a Siviglia padiglioni di grande fascino, un parco cittadino molto frequentato e uno dei simboli più amati e più turistici, la plaza de España. La isla de la Cartuja continua a essere uno spazio isolato, in cui si va apposta, nonostante la vicinanza con il centro storico.
In realtà la Cartuja non è una vera isola, è una penisola che si protende tra il canale del Gualdaquivir, su cui si affacciano Siviglia e Triana, e il vero fiume, che scorre alle spalle di Triana e che si unisce con il suo canale più a sud, già fuori città. Il suo ingresso è segnato dalla inguardabile Torre Triana, un edificio rotondo e tozzo che ha rovinato il panorama settentrionale della città dai ponti di Triana e di San Telmo, e presto sarà sottolineato dalla Torre Pelli, un grattacielo in costruzione, che ha suscitato vivaci polemiche perché sarà più alto della Giralda, l'antico minareto mudéjar lasciato dal dominio musulmano e simbolo della città, e perché sta mettendo a rischio il titolo di Patrimonio dell'Umanità concesso dall'UNESCO all'intero centro storico. Subito dopo c'è il Monastero de Santa María de las Cuevas, che nella sua lunga e accidentata storia è stato sede religiosa (in essa passò anche Cristoforo Colombo), laboratorio di ceramiche e, attualmente, sede del Museo d'Arte Conteamporanea Andalusa (non perdetelo, se andate a Siviglia). Gli alti camini di laterizio dell'antica fabbrica si vedono dall'altra parte del fiume, emergono dalla grande macchia verde, insieme a edifici dalle architetture vagamente fantascientifici e dalla destinazione d'uso misteriosa anche per molti sivigliani. All'interno della isla due grandi avenidas, parallele al Guadalquivir e assolate d'estate, collegano i padiglioni della Expo rimasti in piedi. Sono avenidas che impressionano perché sono quasi sempre deserte e, soprattutto nei caldi pomeriggi di primavera o d'estate, fanno sentire al centro di qualche film di suspense: non essendoci passanti, ai pochi che si avventurano può succedere di tutto. Se avete bisogno di informazioni perché vi siete persi o perché state cercando un padiglione in particolare, mucha suerte: dovete suonare ai citofoni su cancelli di spazi che sembrano abbandonati e possono aprirvi guardie che non hanno la minima voglia di rendersi utili o che hanno tanta voglia di chiacchierare che manca solo attacchino a parlare di Betis o Barça.
La vita della Cartuja si svolge tutta dentro ai padiglioni rimasti in piedi, che ospitano uffici e piccole aziende specializzate soprattutto in ricerca e sviluppo. Secondo Isaías Pérez Saldaña, presidente di Cartuja93, la società fondata per gestire il dopo-Expo della Isla, ci sono 377 imprese, che contano su circa 16mila dipendenti, la maggior parte laureati e al 52% donne; tutte insieme fatturano ogni anno circa 2 miliardi di euro, con una crescita del 4,5% annuo, nonostante la crisi. Al suo interno ci sono un hotel di lusso, il Barceló Renacimiento, un Auditorium, il Rocio Jurado, utilizzato per buona parte dei concerti di musica pop, un parco d'attrazioni, la Isla Mágica, alcune Facoltà dell'Università, tra cui la Escuela Técnica Superior de Ingeniería, uno stadio chiamato Olimpico e inutilizzato, perché né il Sevilla né il Betis hanno voluto lasciare i loro storici stadi dei quartieri di Nervión e di Heliópolis.
Lo scopo fondamentale, quello di trovare una destinazione d'uso ai padiglioni costruiti, è stato sostanzialmente raggiunto: la previsione era che il 30% dei padiglioni venisse riutilizzato; al momento la percentuale copre il 66%, nonostante si siano abbattuti padiglioni che potevano essere di grande prestigio architettonico, come quelli del Vaticano o del Giappone. Secondo Carlos Telmo, che fu responsabile delle visite VIP della Expo, l'abbattimento dei padiglioni fu un grande errore: "Eccetto quello dell'Andalusia, hanno distrutto tutti i padiglioni regionale. Il Giappone ha regalato il suo padiglione al Governo spagnolo e fu deciso di abbatterlo. Un vero peccato". Anche perché, Telmo non lo dice, ma si sa, Tadao Ando, l'architetto del padiglione, vinse pochi anni dopo, nel 1995, il Premio Pritzker, il più importante dell'Architettura. Insomma, la Cartuja avrebbe avuto tra le mani un edificio che sarebbe potuto diventare meta di pellegrinaggio degli appassionati di architettura.
Se, guardandola dall'esterno, pensiamo che la Cartuja sia un'area perduta e abbandonata, è perché non la conosciamo. Il vero problema della Cartuja è, in realtà, quello che caratterizza qualunque quartiere di una città europea: la mancanza di parcheggi. E, al guardarla dall'altro lato del fiume o camminando nelle sue avenidas, non si direbbe mai. Ed è questo il grande errore comunicativo della Isla de la Cartuja: non riesce a stabilire un rapporto con la città. E sì che i questi vent'anni non sono mancate le iniziative per raggiungere lo scopo: è stata costruita una bella piattaforma lignea, parallela alla riva del fiume, per passeggiare quasi al livello del Guadalquivir, ammirando il Giardino Americano, inaugurato un anno fa, per ricordare le specie vegetali americane mostrate durante la Expo92 (nascosta da qualche parte c'è anche la coca). Pochi mesi fa è stato inaugurato il Museo della Navigazione, che ricostruisce l'interno dei grandi galeoni che navigavano tra l'America e Siviglia, riproducendo le sensazioni e i diari degli equipaggi dell'epoca. Però rimane il fatto che, chiusi gli uffici e i Musei, la Cartuja è uno spazio che non si frequenta, che non si pensa come quartiere di Siviglia, come sono invece considerati i padiglioni della Expo del 29, per esempio. Ha ragione il professor Víctor Fernández Salinas quando dice che "Siviglia non ha colonizzato mentalmente la Cartuja". Ed è incomprensibile che, all'essere geograficamente così vicina, sull'altro lato del fiume, di fronte al vivacissimo quartiere di San Lorenzo e accanto all'altrettanto vivace e storica Triana, sia poi culturalmente e mentalmente così lontana. Non è un sentimento solo sivigliano, ma anche dello straniero, che la vede come uno spazio comunque estraneo. Forse perché non risponde agli stereotipi su Siviglia a cui siamo comunque abituati: architetture bianche e inferriate di ferro battuto, bar dall'aspetto familiare, con bancone in legno e azulejos, palme verso il cielo e profumo d'arancia e di azahar nelle giornate di primavera.
Tra le soluzioni proposte per conquistare definitivamente la Cartuja, c'è la costruzione di un quartiere residenziale, magari di lusso, affinché ci sia vita anche di notte. Probabilmente per i palazzinari è la soluzione, ma è difficile dire se poi i sivigliani e i turisti riconoscerebbero come propria la Cartuja, così estranea alla storia e all'immagine di Siviglia, così come fanno con il Parque de Maria Luisa, la plaza de España e i bei padiglioni precolombiani che punteggiano di qua e di là la città che corre verso sud, lungo l'Avenida de las Palmeras.
La Isla de la Cartuja, con i padiglioni della Expo92 e il Monastero de Santa María de las Cuevas, oggi, dalla Torre Pelli in costruzione, dalla bella galleria fotografica di diariodesevilla.es, dedicata al progresso dei lavori del grattacielo.