giovedì 7 giugno 2012

Tre giorni a Lussemburgo, sorprendente cuore dell'Europa

Dici Europa e pensi all'Italia e alla Grecia, senza le quali non esisterebbe l'idea stessa del continente, dalla prima democrazia alla prima idea di tanti popoli sotto un unico governo. Ma il cuore dell'Europa batte più a Nord. Si capisce su un'autostrada belga, in viaggio verso il Granducato del Lussemburgo. Si esce dall'aeroporto di Charleroi e le indicazioni stradali parlano di Namur, Sedan, Luxembourg, Metz, Rheims. E' qui che si sono ammazzati tutti, francesi, tedeschi, spagnoli, fiamminghi, cattolici e protestanti, nel nome dello stesso Dio e di sovrani che quanto si sono odiati al liceo, perché, firmata una pace, erano già pronti a infiammare il continente con una nuova guerra e non si finiva mai con battaglie, date e dinastie.
L'Europa è nata qui, in questo triangolo oggi benestante, placido, verde e piovigginoso, che chiamiamo Benelux, per semplificarci la vita. Le hanno dato il cuore.nelle lunghe guerra del Cinquecento, nella resistenza caparbia al nazismo, nell'impegno per dare vita, così piccoli, così intensi e così astuti, all'Unione del continente. A Lussemburgo, capitale del più piccolo Stato fondatore dell'Unione Europea, ma anche il più benestante di tutti, con oltre 40mila euro di reddito annuo pro-capite, ci tengono che si sappia. Una delle prime cose che ti dicono le guide turistiche è che Schengen, la cittadina che dà il nome al Trattato che ha cancellato le frontiere interne dell'Unione, si trova nel Lussembrgo e che lussemburghese è anche Robert Schuman, uno dei padri dell'Unione Europea, nato nella capitale del Granducato da padre francese diventato poi tedesco e da madre lussemburghese, diventata tedesca per matrimonio. Amava dire che il fatto di essere figlio di una terra di frontiera lo rendeva strumento dell'idea di un'Europa unita. 
E Lussemburgo è una città di frontiera. I suoi edifici baroccheggianti fanno pensare a Parigi, ma ci sono certi quartieri borghesi e benestanti, lungo la valle della Pètrusse, che ricordano atmosfere berlinesi, mentre la passione per i locali all'aperto, nell'elegante place des Armes, è proprio nordica: non appena spunta il sole tutti sono in maniche corte che tu li guardi e pensi, ok, sono tedeschi. Nelle vetrine sono già pronti per gli Europei di Calcio, che iniziano in questi giorni in Polonia e Ucraina: approfittando del prestigio del vicino Belgio, offrono cioccolato a forma di pallone in confezioni varie; nei negozi di abbigliamento e di gadgets vanno per la maggiore Italia, Spagna, Portogallo e Germania, e chissà se è un pronostico, un augurio o un conto sulle simpatie turistiche; l'italiano e lo spagnolo sono le lingue che per strada si ascoltano di più, dopo le tre lingue ufficiali del Granducato, lussemburghese, francese e tedesco. Ci si sente al centro dell'Europa anche grazie all'intelligente politica adottata dal Granducato per portare i turisti nel proprio territorio; la compagnia d'autobus Flibco collega Lussemburgo con gli aeroporti di Charleroi-Bruxelles e di Hahn-Francoforte, praticamente ogni ora (ogni ora, Sadem, hai capito? e Charleroi-Lussemburgo sono quasi tre ore di viaggio per 160 km, mica Torino-Malpensa!).
Ma, nonostante la vocazione europea, la capitale del Granducato difende con forza l'identità del Lussemburgo. Ci sono bandiere tricolori ovunque, che neanche Torino per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Le espongono gli alberghi, i negozi e gli edifici pubblici. La più solenne sale su dalle impressionanti fortificazioni della valle della Pétrusse e sventola, bella, grande e orgogliosa, a pochi passi dal Monumento della Memoria, dedicato al valore dei lussemburghesi che hanno lottato contro il nazismo e che hanno difeso la propria terra combattendo in brigate di eserciti stranieri (anche il 91enne Granduca Jean, che ha abdicato nel 2000 in favore del figlio Henri, ha combattuto per liberare il Lussemburgo, con l'esercito inglese); c'è a ricordo una bella frase della Granduchessa Charlotte, la sovrana più carismatica del Granducato, madre di Jean, che si inchina davanti al valore dei suoi soldati e alle vittime della guerra. Dicono che il Monumento alla Memoria sia l'anima dell'identità del Granducato e non è difficile crederci.
La bandiera più alta sventola dai tetti del delizioso Palazzo Granducale e la si vede soprattutto da Grund, la città bassa, a dare una rassicurante idea di forza e di presenza. Il Palazzo si trova in una via "normale" e se non ti indicassero le guide che è la residenza ufficiale dei Granduchi Henri e Maria Teresa non lo diresti mai: l'ingresso principale si affaccia su una via di ristorantini e brasseries, per cui può capitare di assistere al cambio della guardia mentre si mangia pane e prosciutto a un tavolino all'aperto; la Famiglia Granducale esce per la Processione della Octave, la più solenne del Granducato, davanti a una libreria. Sembra come una demitizzazione della Monarchia, che invece ha il proprio protocollo e una propria solennità. Henri e Maria Teresa costituiscono una delle coppie reali più belle e più solide, sono sposati da una trentina d'anni (si sono conosciuti all'Università, a Ginevra, e si sono sposati subito dopo la laurea, il Giorno di San Valentino del 1981), hanno cinque figli, quattro maschi e una femmina, di età compresa tra i 30 dell'erede al trono e i 20 di Sebastien, e sorridono, ancora affascinanti, nella loro maturità avviata verso i 60 anni, dalle cartoline in vendita nei negozi di souvenirs del centro. Ma sull'autobus che da Charleroi porta a Lussemburgo un'italiana che frequenta molto il Granducato per lavoro, ci tiene a far sapere che la felicità dei Granduchi è solo apparenza, che lui ha molte avventure, alcune più serie delle altre, che si parla addirittura di un figlio extramatrimoniale e che Maria Teresa, che tutto sa, non cede il suo posto manco morta a nessuna. Ma le eventuali avventure galanti non impediscono al fascinoso Henri di essere un cattolico di ferro: nel 2008 ha messo in crisi le istituzioni del Granducato rifiutandosi di firmare una legge sull'eutanasia, ricevendo un premio dal Vaticano e costringendo il Governo a modificare la Costituzione, per lasciargli solo la presa d'atto dell'approvazione delle leggi e togliendogli il consenso. Nel discorso di Natale dello stesso anno il Granduca si è dichiarato felice della modifica perché, nonostante sia orgoglioso di essere il Capo dello Stato e consideri un privilegio servire il proprio Paese, non smette di essere una persona con idee e sentimenti personali. Crisi istituzionale superata, il Granducato si prepara adesso a celebrare le nozze del 30enne Granduca Erede Guillaume con la volitiva contessina belga Stephanie de Lannoy; una biondina non bellissima che si è fatta notare il giorno del fidanzamento per la disinvoltura e per aver messo a posto Guillaume, che per nervosismo le toccava continuamente spalle e capelli, facendogli capire con un solo sguardo che la piantasse, che a sistemarsi i capelli ci pensava, eventualmente, da sola. Sarà l'ultimo matrimonio di un principe ereditario: dopo Guillaume il testimone passa ai figli degli eredi al trono e ci vorranno a occhio ancora un paio di decenni per tornare a rivedere nozze reali in diretta tv. Mancano quattro mesi alle nozze e a Lussemburgo non ci sono ancora segnali di entusiasmo: né souvenirs, né ritratti della coppia alle vetrine. E' un po' presto, sembra, anche se in un italiano volenteroso, che si aiuta molto con il francese, in un negozio di souvenirs del centro, una signora mi fa capire che non vedono l'ora di vedere qui tutte le teste coronate d'Europa.
Si torna a parlare d'Europa in questa capitale dall'aria provinciale e benestante, che ha un quartiere avveniristico dedicato alle istituzioni europee. Si trova a Kirchberg e i suoi alti grattacieli si notano passeggiando sulla Corniche, definita il più bel balcone d'Europa. E' affacciata sulla verde vallata della Pètrusse e sul quartiere di Grund, dove è iniziata l'industrializzazione del Granducato, grazie all'Alzette. Davanti ci sono i forti, le torri e i fossati della straordinaria difesa secentesca di Lussemburgo, imprendibile "Gibilterra del Nord". Si potrebbe dire che una visita a Lussemburgo varrebbe la pena anche solo per vedere da vicino i resti delle casematte e delle fortificazioni spagnole, non a caso Patrimonio Mondiale dell'Umanità.
Per strada un ragazzo con le cuffie stona tremendamente una canzone spagnola, dai portoni di legno del centro storico escono continuamente persone che parlano italiano, ma l'italiano si sente ovunque, persino l'edicolante dell'aeroporto di Charleroi è italiano. Nei negozi ti salutano con un Bon jour! non appena entri e passano automaticamente all'inglese non appena dici Je ne parle pas français o al tedesco non appena si sentono rispondere in questa lingua. A Lussemburgo non ci dev'essere nessuno che parli solo la propria lingua. Il Palazzo Granducale organizza visite guidate in inglese, tedesco, francese, olandese e lussemburghese; nella Cattedrale di Notre Dame hanno celebrato una funzione religiosa anglicana per il Giubileo di Elisabetta II e nella chiesa di San Giovanni Battista, nell'antica Abbazia di Neumuenster, invitano a seguire le messe in portoghese. Si ha sempre l'impressione che si potrebbe vivere tranquillamente da queste parti senza parlare neanche una delle lingue ufficiali del Granducato. Ci si sente davvero in piena Europa, nel cuore del continente. E se non fosse sufficiente, quest'apertura culturale della capitale, appena passato il confine, tra Belgio e Lussemburgo, spunta sull'autostrada un'insegna di Ikea, uno dei primi marchi della globalizzazione made in Europe. Ci si sente perfino felici di avvistarla e ci si sente anche più europei. I giorni lussemburghesi iniziano con un sorriso.