mercoledì 29 agosto 2012

Colombia e FARC: le prime indicazioni per un negoziato di pace

Cuba, Venezuela, Norvegia e Cile. Sono questi i Paesi impegnati a garantire il successo del nuovo dialogo tra il Governo colombiano e le FARC, per raggiungere la pace dopo 50 anni di conflitto. Da quando, ieri, il presidente della Colombia Juan Manuel Santos ha confermato che ci sono stati incontri esploratori per iniziare un dialogo con la guerriglia, in Colombia si sono riaccese speranza e ottimismo. Ma anche molta prudenza, visti i fallimenti dei precedenti tentativi di dialogo. Il fatto che si siano impegnati per la pace Cuba e Venezuela, due dei Paesi più vicini alle istanze delle FARC che al Governo colombiano, sembra un buon segnale.
I siti web d'informazione offrono reazioni e analisi. Così è già stato chiarito, dal presidente del Senato Roy Barreras, che non ci saranno indulti né amnistie "perché dev'esserci giustizia e i massimi responsabili dei crimini più atroci, di lesa umanità, dovranno pagare per i loro crimini"; non ci saranno neanche, questo lo aveva già chiarito il presidente Santos, parti del territorio colombiano fuori dal controllo dell'Esercito per favorire i negoziati, così com'era successo nel 1998, nel Caguán; ci sarà, questo è chiaro, un processo per stabilire "la verità in favore delle vittime", in modo da rispettare anche la Legge per le Vittime e la Restituzione delle Terre, fortemente voluta da Juan Mauel Santos all'inizio della sua legislatura e il cui significato, oggi, appare più chiaro.
Il nuovo dialogo tra Colombia e FARC suscita interesse e reazioni in buona parte del mondo (nelle Home Page di repubblica.it, corriere.it o lastampa.it non ho visto alcun articolo sul tema, ma amen); se capite lo spagnolo e l'argomento vi interessa, su elpais.com ci sono diversi articoli ed editoriali interessanti (il migliore di tutti, che, se mi sarà possibile tradurrò in italiano, è La paz es la victoria di Miguel Ángel Bastenier). L'interesse con cui in Spagna si seguono i tentativi di dialogo in corso in Colombia è comprensibile: a Madrid sono impegnati (o dovrebbero essere impegnati) in analoghi tentativi con l'ETA, che ha annunciato la fine delle sue attività militari e violente e che chiede adesso un dialogo per arrivare alla pace nei Paesi Baschi e a una nuova politica penitenziaria per gli etarras in carcere. E sarà appassionante seguire come i due Paesi cercheranno di uscire dai terrorismi più antichi d'America e d'Europa.
Ma è ovviamente più importante conoscere le reazioni colombiane; su elespectador.com c'è un articolo che racconta il dietro le quinte di questi giorni e fa respirare l'aria di contenuto ottimismo che respira il Paese, dopo tante delusioni. Eccolo in italiano.

Quando il presidente Juan Manuel Santos ha ammesso pubblicamente che il Governo e le FARC avevano avuto "conversazioni esploratrici" con l'obiettivo di un dialogo di pace, e ha aggiunto che si vuole "imparare dagli errori del passato per non ripeterli", lo ha fatto perché esiste già un accordo, negoziato in totale segreto a L'Avana, e perché, quando si pensa agli errori, nessuno dubita che si riferisca alla fallita esperienza del Caguán, dove giustamente quello che c'è stato è un eccesso di protagonismo, spettacolo e pochi risultati.
A L'Avana si è arrivati stavolta dopo un lungo cammino. Non era al potere da molti giorni, Santos, quando aveva già proposte sul tavolo e la sua stessa promessa che non si sarebbe negato alla ricerca della pace. Tra le formule da studiare, sono arrivati messaggi della guerriglia, che esploravano la possibilità di stabilire contatti, inviati attraverso persone vicine al Capo di Stato. Prima di cadere, abbattuto dall'Esercito, a novembre 2011, lo stesso comandante Alfredo Cano aveva dato il suo sostegno all'idea di un possibile negoziato all'estero.
Alla fine, dopo vari messaggi, c'è stato il primo incontro a L'Avana. A rappresentare il Governo c'era l'alto consigliere Sergio Jaramillo e, a titolo personale, ma per ovvie ragioni con tutta la fiducia del presidente, suo fratello, il giornalista Enrique Santos Calderón. Le FARC sono arrivate con Mauricio Jaramillo, alias El Médico, che si dice abbia viaggiato dal sud del Paese a Cuba grazie al sostegno del Comitato Internazionale della Croce Rossa, in un aereo ufficiale dello Stato.
E, com'era da aspettarsi, il primo punto in agenda non poteva essere altro che la sicurezza. Non solo di chi aveva appoggiato l'iniziativa o poteva essere negoziatore, ma di tutto l'intorno dell'eventuale processo di pace. In altre parole, quando di errori del passato si tratta, non ce n'è uno più grande che lo sterminio della Unión Patriótica, e per questo qualunque opzione ha oggi come punto di partenza un capitolo di garanzie di sicurezza per il movimento sociale che può accompagnare il processo e sostenerlo poi nella politica.
Questo significa che il primo passo di un eventuale cammino di dialogo per la pace è la garanzia per la partecipazione politica e il rispetto dei diritti dell'opposizione. Senza questa condizione, l'aspettativa di pace è morta prima di iniziare. A partire da questo punto comune, si tratta di concretizzare un'agenda che per la guerriglia ha una preminenza sociale e, per lo Stato, di diritti umani, diritto internazionale umanitario e giustizia transitoria. Se funziona il tavolo di dialogo, le altre priorità sono la riforma agraria e la smobilitazione, o abbandono delle armi, secondo la prospettiva degli interlocutori.
Come è logico, non è un cammino facile né rapido. Per questo l'esigenza che per ora le conversazioni si facciano all'estero e nel massimo segreto possibile. Con l'esperienza di aver vissuto un processo di pace, l'ex-guerrigliera del M-19 e direttrice dell'Osservatorio per la Pace Vera Grabe, ha precisato che la prudenza è fondamentale. "I processi si logorano con tante parole, perché tutti vogliono esprimere la propria idea o imporre il proprio punto di vista e non funziona così. Non si tratta che non ci sia trasparenza, però si molta cautela al parlare".
In quest'ordine di idee, oggi è chiaro che i negoziati si installeranno a Oslo, ma il lavoro di fondo sarà realizzato a L'Avana. Se non ci saranno contrattempi, tra pochi giorni sarà pronto l'accordo per iniziare con l'annuncio del presidente Santos. Con un dettaglio ulteriore: secondo fonti consultate da El Espectador, l'ex presidente di Cuba Fidel Castro è personalmente impegnato affinché stavolta si apra passo alla pace in Colombia, perché lo considera cruciale per concludere un ciclo storico in America Latina.
In un contesto internazionale come quello d oggi, così esigente in materia di diritti umani, qualunque contatto di pace tra Governo e guerriglia richiede un accompagnamento. Per ora tutto fa pensare che siano il Venezuela e il Cile ad aver assunto il ruolo di primi garanti. Non si scarta che si possano poi aggiungere altri Paesi che hanno accompagnato la Colombia in altri momenti di ricerca della pace. Per esempio, Francia, Svizzera e Spagna, che per adesso, come il resto del mondo, rimangono in attesa di annunci positivi.
C'è un tema chiave, che non è ancora chiaro, ma che finirà con l'essere determinante: il cessate il fuoco. E' anche chiaro che non potrà neanche essere molto rimandato, perché tutta la società lo porrà come sua massima esigenza. Come il tema del narcotraffico, vitale per gli interessi degli Stati Uniti. Il resto è la ricerca del consenso e che ogni giorno si aggiungano più settori a quest'iniziativa. Per esempio, l'ELN, che potrà aggiungersi in qualche momento, o avere un tavolo di dialogo differente.
Per adesso, ci sono molte idee in circolazione e un tema di fondo: cercare che le azioni armate si fermino, perché niente logora tanto come cercare di negoziare in mezzo a una guerra. Il resto è da vedersi, in particolare in tema di giustizia. Per nessuno è un segreto che gli standards internazionali di diritti umani di oggi esigono un patto diverso da quello che ha dominato per molto tempo, di indulto in cambio di consegna delle armi. Ma è anche vero, come sottolinea Antonio Navarro, che nessuno lascerà le armi se non gli si permette di cercare il cambio attraverso la via politica.
Stando così le cose, da martedì il Paese si sveglia con un altro atteggiamento. Anche se permangono voci critiche, che considerano semplicemente negativo qualunque contatto di pace con gli insorgenti, sono maggiori le voci di chi crede che sia il momento di dare una nuova opportunità al negoziato politico. E, senza dubbio alcuno, la chiave, ha sottolineato il presidente Santos, è non commettere gli errori del passato, cioè, salvo nelle cose buone, che la nuova politica di pace assomigli il meno possibile allo spettacolare modello del Caguán, in cui ci furono molti microfoni e poca volontà di negoziato.