lunedì 26 novembre 2012

Madrid, davanti ai tempi supplementari concessi dalle elezioni catalane

A leggere i giornali della destra spagnola sembra che ieri, alle elezioni catalane, abbia trionfato il centralismo madrileno. ABC lo ha proprio scritto chiaramente: Ha vinto la Spagna. Come se la Catalogna non fosse Spagna, neanche per loro, che sul rifiuto del dualismo hanno fatto la campagna elettorale.
La lettura che però i quotidiani della destra fanno del risultato elettorale è piuttosto peculiare, considerando il fatto che Convergencia i Uniò, il partito nazionalista di Artur Mas, che ha fortemente voluto le elezioni, per dare una svolta indipendentista alla sua politica, ha sì perso 12 seggi, ma è pur sempre il partito più votato della regione. E il secondo partito più votato è Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), la cui opzione indipendentista è ancora più radicale, per di più con sensibilità sociali ben lontane ed estranee dall'immaginario di destra.
In Catalogna il quadro è ben complicato, dopo le elezioni. E lo complicano ancora di più i numeri dell'economia: a settembre il PIL è sceso dell'1,4%  rispetto allo stesso mese dell'anno scorso; il debito della Generalitat è arrivato a 45 miliardi di euro, il tasso di disoccupazione è salito al 22,6%, con ben 100mila disoccupati in più rispetto al 2010, quando Artur Mas è salito al potere. La Catalogna ha chiesto il salvataggio a Madrid, che ha imposto le sue condizioni per concedere gli aiuti; il debito devastante e le aspirazioni indipendentiste, con l'Europa che non ha chiarito in modo trasparente il posto della Catalogna nell'euro e nelle istituzioni europee casomai diventasse un Paese indipendente, hanno reso la regione meno attraente per gli investitori esteri.
E sul quadro della crisi è arrivato il sorprendente dopo elezioni, con tutti i partiti, meno ERC, che devono raccogliere i cocci delle aspirazioni frustrate.
Non è andata bene a CiU, che non può governare da sola e può concludere alleanze, a condizioni pesantissime, con il PP, che la obbligherebbe a seppellire i sogni indipendentisti e ad arrendersi all'abbraccio di Madrid; con il PSC, indebolito dal suo crollo e poco disposto ad appoggiare tagli sociali che ne minerebbero l'esigua credibilità o a sostenere un progetto che preveda l'indipendenza invece del federalismo; con ERC, che condivide il progetto indipendentista ma non i tagli alle politiche sociali.
Non è andata bene al PSC, che ha toccato il minimo alle elezioni catalane, con soli 20 deputati (era sembrato già un disastro due anni fa, quando era crollato a 28 deputati, dopo l'esperienza delirante del tripartito); adesso tra Madrid e Barcellona è iniziato il rimpallo sull'autonomia del PSC dal PSOE, come se il PSC non fosse essenziale per i successi dei socialisti in tutta la Spagna, come se il PSOE non desse il proprio ok alle politiche dei socialisti catalani; il punto è che fino a quando i socialisti continueranno ad avere una classe dirigente legata agli anni di Zapatero continueranno a perdere. Non si capisce quante batoste dovranno ancora arrivare perché ne prendano atto, ma così sono le cose.
Non è andata bene neanche al PP, che sognava di prendere il posto del PSC come seconda forza politica della Catalogna e per questo ha giocato tutto sulla contrapposizione politica con CiU: loro. quelli di CiU, sono gli indipendentisti, quelli che giocano a separare, noi siamo quelli che uniscono, che concepiamo la Catalogna all'interno della Spagna. Il gioco è stato perdente sia per CiU che per il PP e nessuno dei due è riuscito a far dimenticare ai catalani due anni di politiche condivise di tagli, austerità e malessere sociale. Ai catalani sono state tagliate scuole e sanità, trasporti e servizi pubblici ed è stato anche a questo che hanno detto no.
Come ben sottolinea Isaac Rosa su eldiario.es, l'opzione indipendentista si è affermata su quella centralista, con una maggioranza assoluta indiscutibile (CiU ed ERC hanno 71 seggi, sui 68 necessari per la maggioranza assoluta). E già solo per questo non si capisce perché a Madrid la destra gongoli e parli di una vittoria della Spagna. In realtà quello che è successo in Catalogna dovrebbe preoccupare non poco la destra: "L'indipendentismo che ha visto aumentare il proprio sostegno è quello che lega l'indipendenza nazionale all'indipendenza economica e sociale. L'indipendenza che importa oggi non è tanto quella dalla Spagna, quanto dalle politiche liberisea. Essere sovrano significa anche scegliere come si distribuiscono i sacrifici e chi paga la crisi. E non offriva niente di questo Mas, legato dalla sua dipendenza dal potere economico e finanziario, anima gemella di Rajoy nel cammino dei tagli e delle controriforme".
L'indebolimento di CiU, adesso costretta a negoziare la gestione della crisi con alleati poco propensi a venirle incontro, e il rafforzamento di ERC hanno rovesciato le prospettive del discorso indipendentista: è evidente che dopo le elezioni è la sinistra repubblicana ad aver assunto al leadership della secessione. Ed è comune sentire che proprio per questa ragione i tempi dell'indipendentismo, che Mas aveva accelerato, tanto da sostenere che il suo successore, tra quattro anni, avrebbe parlato a un Paese indipendente e da promettere un referendum sull'indipendenza, nonostante la Costituzione spagnola non lo riconosca, si sono nuovamente rilassati.
La Catalogna deve cercare nuovi equilibri in questo complicato dopo-elezioni e questo da respiro anche a Madrid, che non si trova più alle prese con l'inattesa fuga in avanti di una delle sue regioni più prospere. La palla torna a Madrid: come utilizzerà questa legislatura catalana che si è appena aperta? Andrà incontro a questa maggioranza indipendentista che è uscita dalle urne, disegnando finalmente insieme una Spagna federalista, che riconosca le peculiarità delle sue regioni storiche e sia disposta alle autonomie asimmetriche, così come chiedono Catalogna, Paesi Baschi e Galizia e come rifiutano istericamente i radicali di destra, che non vogliono sentir parlare di regioni più uguali delle altre e ignorano che anche all'estero esistono statuti speciali per alcune regioni, vedi Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Sicilia e Sardegna in Italia? Ignorerà questo tempo supplementare concesso e continuerà ad appellarsi ciecamente alla Costituzione, rifiutando ogni tentativo di aggiornarla e di adeguarla alle nuove esigenze che la crisi e le spinte centrifughe hanno messo in evidenza? Ah, saperlo.