Di Carlos Colón ho sempre letto con passione la rubrica che tiene sul Diario
de Sevilla, il più importante quotidiano sivigliano. Mi è sempre piaciuto
l'amore con cui racconta la città e le sue tradizioni e come le conosca
profondamente. Ho iniziato ad amare il Corpus Domini, una festa religiosa che a
Torino non ha mai tolto il sonno alla mia generazione (che io sappia) e che
invece ferma Siviglia, con tanto di processione, negozi chiusi e vestiti a
festa, proprio leggendo i suoi articoli poetici, che descrivono i silenziosi
pomeriggi sivigliani della festa, quando la strada è dei turisti e i sivigliani
vivono puertas para adentro (ma quanto è poetico il castigliano?!).
E' stato anche grazie a lui che ho iniziato a capire certe idiosicrasie sivigliane, questa apparente apertura al prossimo, quest'allegria smisurata puertas para afuera, all'esterno, che si traduce, in realtà, in una certa gelosia di se stessi delle proprie tradizioni e della propria identità, che lascia lo straniero tale.
Oggi il Diario de Sevilla si regala una lunga intervista a questo suo collaboratore, che ho scoperto essere uno degli intellettuali cittadini più raffinati; e, siccome è lunga, riporto solo le parti che riguardano Siviglia, le sue tradizioni, la sua conservazione, il difficile rapporto tra la città storica e la modernità, che anche noi stranieri viviamo, essendo a volte, più conservatori degli stessi sivigliani. Mi piace la sua rabbia sorda e impotente contro i dirigenti che non hanno un disegno per la Siviglia del futuro e violentano quella del passato: mi ricorda l'orgoglio di certi anziani di Triana, che ti intrattengono su quanto la loro città sia bellissima e inimitabile, con lo sguardo che si illumina e quasi si commuove di tanta bellezza, e che si arrabbiano per le ferite che le sono state inferte negli ultimi anni, dalle setas alla Torre Pelli, sulle rive del Guadalquivir, e che vogliono privarla delle sue tradizioni. A un certo punto, ricordando la sua infanzia a Tangeri, in un'atmosfera libera e tollerante, Colón dice di Siviglia, più chiusa e più provinciale, ingolosita da se stessa, che "è una magnifica città per sentirne la mancanza". E' tra le migliori definizioni della città che abbia mai letto.
Il Diario de Sevilla lo riconosce come uno dei maggiori difensori del patrimonio storico cittadino (e, ripeto, delle sue tradizioni immateriali, direbbe l'UNESCO) e Colón si lancia a una critica contro Alfredo Sánchez Monteseirín, l'ultimo sindaco socialista di Siviglia, prima della disfatta del 2011. E' lui che ha inferto alla città quelle che Colón considera le ferite più visibili: "L'Alameda, le setas della Encarnación, la pedonalizzazione dell'Avenida de la Constitución, non per la pedonalizzazione in sé, ma perché non si è creato uno spazio bello per le passeggiate. Si è iniziato male con il taglio degli enormi alberi nel segmento tra la Puerta de Jerez e l'Archivo de Indias, che d'estate creavano un corridoio verde. Adesso, per sei mesi all'anno, non sappiamo dove metterci".
E sono critiche che in città si sentono fare da tutti gli eterni scontenti, da tutti i difensori della Siviglia dei padri. Le condivido perché nella difesa del patrimonio di Siviglia sono tra i più conservatori che si possano immaginare: in un dedalo di vie e di architetture così perfetto, la modernità non può metterci mano, deve preservarlo e consegnarlo alle generazioni future, affinché pure loro possano innamorarsene.
Colón rifiuta che la difesa del patrimonio storico di Siviglia possa essere considerata cosa da reazionari: "L'era di Monteseirín significa per me qualcosa di molto doloroso, la rinuncia della cosiddetta Siviglia progressista alla difesa del patrimonio. Nella Transición, grazie a personaggi come Pérez Escolano o Queraltó si sono ottenute cose importanti come il selciato in Plaza de San Francisco, il salvataggio del mercato della calle Feria o di vari edifici regionalisti… E all'improvviso tutto questo si brucia e si rinuncia al patrimonio quotidiano e storico della città. Una cosa di una gravità estrema".
Mi piace anche come difende la visione poetica della città delle sue colonne, "le più intime", secondo il Diario de Sevilla, che gli fa notare come questo lirismo sia considerato tendenza a guardarsi l'ombelico: "Né Truffaut né Renoir hano avuto problemi nel trasformare Parigi in elemento importante della loro opera. Neanche Fellini o Pasolini con Roma. A nessuno è venuto in mente che avessero una visione provinciale. C'è un giovane regista che si vanta che nel suo film su Siviglia non c'è la Giralda. All'inizio de Los 400 golpes c'è la Tour Eiffel e non succede niente".
E, parlando di tradizioni sivigliane, non si può lasciare a un lato la Semana Santa, "che ha così poca presenza nell'arte e nella letteratura", come nota il quotidiano. Le ragioni sono tre, spiega Colón: "La prima è il disprezzo dell'elite intellettuale e creativa verso la Settimana Santa, c'è stato un momento di avvicinamento nel 27, ma non ha avuto continuità; la seconda, perché non c'è praticamente industria culturale radicata a Siviglia, la terza, per il carattere di esperienza assoluta della Settimana Santa, che si consuma in se stessa. E' molto difficile riflettere la Settimana Santa".
E' stato anche grazie a lui che ho iniziato a capire certe idiosicrasie sivigliane, questa apparente apertura al prossimo, quest'allegria smisurata puertas para afuera, all'esterno, che si traduce, in realtà, in una certa gelosia di se stessi delle proprie tradizioni e della propria identità, che lascia lo straniero tale.
Oggi il Diario de Sevilla si regala una lunga intervista a questo suo collaboratore, che ho scoperto essere uno degli intellettuali cittadini più raffinati; e, siccome è lunga, riporto solo le parti che riguardano Siviglia, le sue tradizioni, la sua conservazione, il difficile rapporto tra la città storica e la modernità, che anche noi stranieri viviamo, essendo a volte, più conservatori degli stessi sivigliani. Mi piace la sua rabbia sorda e impotente contro i dirigenti che non hanno un disegno per la Siviglia del futuro e violentano quella del passato: mi ricorda l'orgoglio di certi anziani di Triana, che ti intrattengono su quanto la loro città sia bellissima e inimitabile, con lo sguardo che si illumina e quasi si commuove di tanta bellezza, e che si arrabbiano per le ferite che le sono state inferte negli ultimi anni, dalle setas alla Torre Pelli, sulle rive del Guadalquivir, e che vogliono privarla delle sue tradizioni. A un certo punto, ricordando la sua infanzia a Tangeri, in un'atmosfera libera e tollerante, Colón dice di Siviglia, più chiusa e più provinciale, ingolosita da se stessa, che "è una magnifica città per sentirne la mancanza". E' tra le migliori definizioni della città che abbia mai letto.
Il Diario de Sevilla lo riconosce come uno dei maggiori difensori del patrimonio storico cittadino (e, ripeto, delle sue tradizioni immateriali, direbbe l'UNESCO) e Colón si lancia a una critica contro Alfredo Sánchez Monteseirín, l'ultimo sindaco socialista di Siviglia, prima della disfatta del 2011. E' lui che ha inferto alla città quelle che Colón considera le ferite più visibili: "L'Alameda, le setas della Encarnación, la pedonalizzazione dell'Avenida de la Constitución, non per la pedonalizzazione in sé, ma perché non si è creato uno spazio bello per le passeggiate. Si è iniziato male con il taglio degli enormi alberi nel segmento tra la Puerta de Jerez e l'Archivo de Indias, che d'estate creavano un corridoio verde. Adesso, per sei mesi all'anno, non sappiamo dove metterci".
E sono critiche che in città si sentono fare da tutti gli eterni scontenti, da tutti i difensori della Siviglia dei padri. Le condivido perché nella difesa del patrimonio di Siviglia sono tra i più conservatori che si possano immaginare: in un dedalo di vie e di architetture così perfetto, la modernità non può metterci mano, deve preservarlo e consegnarlo alle generazioni future, affinché pure loro possano innamorarsene.
Colón rifiuta che la difesa del patrimonio storico di Siviglia possa essere considerata cosa da reazionari: "L'era di Monteseirín significa per me qualcosa di molto doloroso, la rinuncia della cosiddetta Siviglia progressista alla difesa del patrimonio. Nella Transición, grazie a personaggi come Pérez Escolano o Queraltó si sono ottenute cose importanti come il selciato in Plaza de San Francisco, il salvataggio del mercato della calle Feria o di vari edifici regionalisti… E all'improvviso tutto questo si brucia e si rinuncia al patrimonio quotidiano e storico della città. Una cosa di una gravità estrema".
Mi piace anche come difende la visione poetica della città delle sue colonne, "le più intime", secondo il Diario de Sevilla, che gli fa notare come questo lirismo sia considerato tendenza a guardarsi l'ombelico: "Né Truffaut né Renoir hano avuto problemi nel trasformare Parigi in elemento importante della loro opera. Neanche Fellini o Pasolini con Roma. A nessuno è venuto in mente che avessero una visione provinciale. C'è un giovane regista che si vanta che nel suo film su Siviglia non c'è la Giralda. All'inizio de Los 400 golpes c'è la Tour Eiffel e non succede niente".
E, parlando di tradizioni sivigliane, non si può lasciare a un lato la Semana Santa, "che ha così poca presenza nell'arte e nella letteratura", come nota il quotidiano. Le ragioni sono tre, spiega Colón: "La prima è il disprezzo dell'elite intellettuale e creativa verso la Settimana Santa, c'è stato un momento di avvicinamento nel 27, ma non ha avuto continuità; la seconda, perché non c'è praticamente industria culturale radicata a Siviglia, la terza, per il carattere di esperienza assoluta della Settimana Santa, che si consuma in se stessa. E' molto difficile riflettere la Settimana Santa".