domenica 5 maggio 2013

Boabdil e il Grande Capitano, l'amicizia mai raccontata di due nemici

Tutta colpa di Isabel, lo sceneggiato di TVE1 su Isabella la Cattolica, che ha acceso la mia curiosità su un periodo storico dalle pesanti conseguenze per la Spagna, ancora oggi in lotta, a causa di allora, tra centralismo castigliano e forze centrifughe, tra intransigenze del fanatismo e promesse di tolleranza. Nella prima stagione della serie ha un certo protagonismo Gonzalo de Córdoba, passato alla storia come il Gran Capitán: viene descritto come un giovanissimo e devoto innamorato senza speranze della Regina Cattolica, ma pochi anni dopo sarebbe stato il genio militare che assicurò a Fernando e Isabella il controllo della Spagna, prima di essere inviato dal Re aragonese a Napoli, come suo Vicerè.
E' stato il nome di Gonzalo de Córdoba a suscitare la mia curiosità su questo libro, Boabdil. Un hombre contra el destino, scritto da Antonio Soler, dopo aver lavorato, con l'amico Antonio Banderas, alla sceneggiatura sul famoso film sull'ultimo Re Musulmano di Granada che l'attore spagnolo sta cercando di girare da anni. Finalmente il giovane innamorato di Isabel nel pieno delle sue funzioni militari, la vera ragione per cui è passato alla storia come il Gran Capitán (curiosità: la sua Córdoba gli ha dedicato la sua avenida più bella, più verde e più moderna).
Siamo nel XV secolo, negli anni in cui i Re Cattolici sono impegnati nella battaglia finale per completare la Reconquista: la conquista del Regno di Granada, indebolito anche nelle lotte intestine della Famiglia Reale Nazari. Le cronache cristiane descrivono Boabdil, l'ultimo Re Moro, come un sovrano debole e dominato dalla madre Aixa; Soler, propone un punto di vista differente, frutto anche delle ricerche compiute per scrivere la sceneggiatura dl film di Banderas, con cui si vuole offrire un Boabdil descritto non solo dai vincitori, ma anche dalla storiografia araba. "La grande sfida che mi sono imposto quando ho iniziato a scrivere, è stato combinare il lato epico e collettivo di questa storia con il lato psicologico dei personaggi" ha spiegato Soler a El Cultural, in occasione dell'uscita del libro, a dicembre.
Così Boabdil appare come un uomo del suo tempo, posto dalla Storia alla fine di un'epoca, perché gli equilibri politici della Penisola Iberica sono ormai a favore dei Cristiani, sin dalla battaglia di Navas de Tolosa, avvenuta nelle pianure andaluse di un paio di secoli prima. Boabdil è stretto tra le ambizioni della madre, che lo usa per mantenere il potere a corte, e il carattere bellicoso del padre, che non si arrende al declino musulmano nella Penisola. Avrebbe preferito trasformare il Regno nazari in un vassallo dei Re Cattolici, pagare i tributi, pur di mantenere l'avamposto musulmano in Spagna, ma il padre, convinto che Allah non avrebbe permesso la vittoria degli Infedeli, e i fanatici dell'uno e dell'altro bando, lo impedirono.
Nel libro la cosa più interessante, per gli appassionati di storia, e per chi ha visto Isabel, è il rapporto che Boabdil stabilisce con il Grande Capitano. Si incontrano quando il Moro cade nelle mani delle truppe musulmane, e i Re Cattolici inviano il loro Capitano, che parla l'arabo, a negoziare un accordo che metta fine alla guerra. "Erano entrambi uomini di frontiera, con sufficiente conoscenza dell'altro per non disprezzarlo. La loro relazione simbolizza la possibile convivenza tra musulmani e cristiani, che al finale non riuscì ad esserci perché i radicali impedirono qualunque intesa, come è successo durante la Guerra Civile" dice Soler. E come succede anche adesso, in fondo, e non solo in Spagna.
Soler smentisce una leggenda e ne asseconda un'altra: non è vero che al lasciare Granada Aixa disse al figlio malinconico: "Non piangere come una donna quello che non hai saputo difendere come un uomo". Anche se le cronache cristiane non si stancano di tramandarlo (e, in fondo, ci piace credere in questa crudeltà di donna, che dimentica anche la maternità nel nome delle sue ambizioni e del Regno perduto). 
E racconta la leggenda, che Soler non smentisce perché gli piacerebbe fosse andata davvero così, come segno di amicizia e rispetto tra le culture, che fu il Grande Capitano ad accompagnare Boabdil fino a Motril, da dove si imbarcò per il Marocco. Erano entrambi delusi: gli accordi che i Re Cattolici e Boabdil avevano firmato per la resa di Granada non venivano rispettati. Nelle Alpujarras, dove Boabdil si era stabilito dopo aver consegnato le chiavi della città a Fernando e Isabella, arrivavano gli echi delle violenze cristiane a Granada e c'erano prove quotidiane della mancata tolleranza promessa dai sovrani.
Non era quello che avevano sognato né accordato Boabdil e Gonzalo e ne erano entrambi amareggiati. Per questo sarebbe bello se fosse davvero andata così, con il Gran Capitán, che, senza alcun obbligo, se non quello delle affinità spirituali, accompagna il suo vecchio nemico verso il malinconico esilio definitivo: entrambi uomini di frontiera, nati in un'Andalusia che aveva dimostrato nei secoli precedenti che il sogno era possibile, entrambi, vincitore e vinto, delusi dalla piega degli eventi e uniti dall'utopia che deve albergare negli uomini di guerra che sanno cercare la pace e la tolleranza.