Se parlate con un argentino, il miglior gelato del mondo si
mangia a Buenos Aires (e anche il miglior pesto). Poi c'è l'asado, che è
il piatto nazionale e se ne sente nostalgia a qualunque latitudine, soprattutto per quello che implica in atmosfere e riunioni
familiari. Ci sono anche il mate, il dulce de leche, gli alfajores e le imprescindibili
empanadas. Un argentino ha un'idea ben precisa della propria cucina e ha anche
chiarissimo che buona parte della sua identità culinaria è prodotto
dell'incontro delle numerose emigrazioni europee, del substrato delle
popolazioni indigenas e dell'arrivo delle nuove emigrazioni asiatiche (tempo fa
su La Nación era apparso un interessante articolo sulle influenze italiane e
spagnole sulla cucina porteña, potete leggerlo, tradotto, su Rotta a SudOvest).
Però c'è una domanda che torna periodicamente e che stavolta è stata proposta
dal supplemento viaggi di Clarin: esiste la cucina argentina?
"Il mate, la soda, il dulce de leche e l'asado sono, per forza della
trasmissione generazionale, considerati simboli indiscussi dell'argentinidad" scrive il quotidiano "Anche se i racconti dei viaggiatori, le cronache delle diverse e poche e le
opere letterarie offrono indizi sul fatto che molti 'nostri' piatti e abitudini
alimentari hanno influenza di Paesi vicini e anche d'oltremare".
Ad esempio, il mate, la bevanda nazionale dell'Argentina (la presidente
Cristina Fernandez, prima Capo di Stato ricevuta, ha regalato al compatriota Papa
Francesco una bombita per il mate), era consumato dai
guaranies, e si era diffusa in un buona parte dell'odierna Argentina ancora
prima dell'arrivo degli spagnoli. E Clarin racconta una tradizione sfiziosa:
nell'Argentina e nell'Uruguay il mate ha un proprio codice, l'amaro valuta il
valore dell'accompagnante, il dolce è simbolo dell'amicizia, se è molto dolce
ed è offerto da una donna a un uomo è una dichiarazione d'amore.
L'asado, che con il mate identifica l'argentinidad più di tutti gli altri
piatti, è nato nella Pampa e da lì si è diffuso in tutto il Paese; il segreto
del suo successo, assicura Clarin, è "sia la mano dell'asador, il cuoco,
che la particolarità dei tagli della carne", che non sono mai casuali e servono, anzi, ad esaltarne il sapore.
"Se la gastronomia argentina si potesse intendere come una cartina, ogni
regione del Paese sarebbe identificata dai sapori e dagli aromi delle sue
pentole fumanti. Anche se quando si parla di cucina è difficile stabilire i
limiti: ci sono sempre piatti che abitano nelle zone di confine e qualche spia
che ruba una ricetta e ottiene una versione più audace, migliorata o agli
antipodi dell'originale, anche se sempre saporita" assicura Clarin, che
identifica anche le capitali regionali dei sapori e delle cucine (non bisogna
sottovalutare Tucumán e Jujuy, l'Argentina settentrionale, in un ipotetico
viaggio enogastronmico nel Paese), analizza le varianti locali dei vari piatti
portati dagli spagnoli. E poi passa ad analizzare il contributo degli indigeni
e degli immigrati europei alla cucina argentina, con queste affascinanti
parole: "L'arrivo degli immigrati italiani, tedeschi, polacchi, arabi,
britannici e irlandesi causò un'importante rivoluzione gastronomica. I tanos (soprannome degli italiani in Argentina),
che all'inizio si stabilirono nel quartiere porteño de La Boca, portarono
dall'inizio del XX secolo le loro ricette, ma imposero anche nuove abitudini,
come i tallarines caseros della domenica, un appuntamento ineludibile, che
invitava alle riunioni familiari in casa della nonna, e il culto dell'aperitivo
prima del pranzo. Sebbene l'asadito della domenica sia stato sostituito in parte dai
ravioli fatti in casa (in italiano nel testo), perdura l'abitudine di prendere un vermut mentre si prepara il fuoco.
Nella provincia di Cordova l'immigrazione tedesca, svizzera e austriaca ha
trasformato la località di Villa General Belgrano in una regione europea, con
esclusivi dolci, cioccolati squisiti e le migliori birre artigianali. Nei suoi
ristoranti è un classico l'ungherese goülash mit spätzle, un piatto ben
condito a base di pezzi di carne cucinati nella loro salsa, con peperoni, e accompagnato da piccoli gnocchi tedeschi. A Misiones ucraini e polacchi hanno
imposto i varenikes de papa e i tedeschi gli squisiti imbottiti di
maiale.
La Patagonia conserva le sue radici mapuche e tehuelche, nonostante le
abitudini alimentari portate dai coloni europei. Il curanto è una delle
preparazioni mapuches più significative, dato che ha luogo per ringraziare alla
Pachamama le raccolte abbondanti. Oltre ad essere saporito, questo piatto è una
vera cerimonia comunitaria e di comunicazione. Si deve scavare un buco nella
terra profondo circa 30 cm e largo un metro, in cui si pongono le pietre
riscaldate con la legna. Si coprono con foglie di arbusti della zona, maqui o
nalca, e su di esse si pone la carne di bovini, pollo o agnello, insieme a
diverse verdure. Gli ingredienti si coprono con altre foglie e tele umide e si
chiude il buco con la terra. In circa un'ora il cibo è pronto e il sapore
affumicato è incomparabile".
Davvero difficile, grazie a queste circostanze storiche e culturali, parlare di
una cucina argentina unica. Buenos Aires, che è la città di riferimento, ma non
può essere considerata la capitale della cucina argentina, per quanto spiegato,
continua a essere aperta a tutte le influenze culinarie e viene proposta come
una città-gourmet. E' qui che sono sbarcati italiani, francesi, arabi e
tedeschi nelle prime immigrazioni ed è qui che c'è adesso l'espolosione di gusti
e sapori portata da ungheresi, indiani, vietnamiti, giapponesi, croati: "L'internazionalizzazione
gastronomica ha portato, anche, sapori latinoamericani: non si contano i
ristoranti peruviani e messicani".
E siccome l'evoluzione in cucina non si ferma mai, la presenza di tanti
ingredienti e sapori sta invitando gli chefs "ad applicare tecniche gourmet a ingredienti tradizionali e a condire queste ricette con la creatività
personale". Per questo si parla di nuova cucina argentina e il primo a
cercare di darle forma in un libro è stato il critico enogastronomico italiano
Pietro Sorba, che nel 2012 ha scritto Nueva cocina argentina (se volete saperne di più su di lui, genovese trasferito in Argentina, c'è una bella intervista su Vivere Genovat, in cui parla anche di cucina argentina e influenze europee)