domenica 5 maggio 2013

Esiste la cucina argentina? Dagli immigrati europei ai ristoranti gourmet di Buenos Aires

Se parlate con un argentino, il miglior gelato del mondo si mangia a Buenos Aires (e anche il miglior pesto). Poi c'è l'asado, che è il piatto nazionale e se ne sente nostalgia a qualunque latitudine, soprattutto per quello che implica in atmosfere e riunioni familiari. Ci sono anche il mate, il dulce de leche, gli alfajores e le imprescindibili empanadas. Un argentino ha un'idea ben precisa della propria cucina e ha anche chiarissimo che buona parte della sua identità culinaria è prodotto dell'incontro delle numerose emigrazioni europee, del substrato delle popolazioni indigenas e dell'arrivo delle nuove emigrazioni asiatiche (tempo fa su La Nación era apparso un interessante articolo sulle influenze italiane e spagnole sulla cucina porteña, potete leggerlo, tradotto, su Rotta a SudOvest).
Però c'è una domanda che torna periodicamente e che stavolta è stata proposta dal supplemento viaggi di Clarin: esiste la cucina argentina?
"Il mate, la soda, il dulce de leche e l'asado sono, per forza della trasmissione generazionale, considerati simboli indiscussi dell'argentinidad" scrive il quotidiano "Anche se i racconti dei viaggiatori, le cronache delle diverse e poche e le opere letterarie offrono indizi sul fatto che molti 'nostri' piatti e abitudini alimentari hanno influenza di Paesi vicini e anche d'oltremare".
Ad esempio, il mate, la bevanda nazionale dell'Argentina (la presidente Cristina Fernandez, prima Capo di Stato ricevuta, ha regalato al compatriota Papa Francesco una bombita per il mate), era consumato dai guaranies, e si era diffusa in un buona parte dell'odierna Argentina ancora prima dell'arrivo degli spagnoli. E Clarin racconta una tradizione sfiziosa: nell'Argentina e nell'Uruguay il mate ha un proprio codice, l'amaro valuta il valore dell'accompagnante, il dolce è simbolo dell'amicizia, se è molto dolce ed è offerto da una donna a un uomo è una dichiarazione d'amore.
L'asado, che con il mate identifica l'argentinidad più di tutti gli altri piatti, è nato nella Pampa e da lì si è diffuso in tutto il Paese; il segreto del suo successo, assicura Clarin, è "sia la mano dell'asador, il cuoco, che la particolarità dei tagli della carne", che non sono mai casuali e servono, anzi, ad esaltarne il sapore.
"Se la gastronomia argentina si potesse intendere come una cartina, ogni regione del Paese sarebbe identificata dai sapori e dagli aromi delle sue pentole fumanti. Anche se quando si parla di cucina è difficile stabilire i limiti: ci sono sempre piatti che abitano nelle zone di confine e qualche spia che ruba una ricetta e ottiene una versione più audace, migliorata o agli antipodi dell'originale, anche se sempre saporita" assicura Clarin, che identifica anche le capitali regionali dei sapori e delle cucine (non bisogna sottovalutare Tucumán e Jujuy, l'Argentina settentrionale, in un ipotetico viaggio enogastronmico nel Paese), analizza le varianti locali dei vari piatti portati dagli spagnoli. E poi passa ad analizzare il contributo degli indigeni e degli immigrati europei alla cucina argentina, con queste affascinanti parole: "L'arrivo degli immigrati italiani, tedeschi, polacchi, arabi, britannici e irlandesi causò un'importante rivoluzione gastronomica. I tanos (soprannome degli italiani in Argentina), che all'inizio si stabilirono nel quartiere porteño de La Boca, portarono dall'inizio del XX secolo le loro ricette, ma imposero anche nuove abitudini, come i tallarines caseros della domenica, un appuntamento ineludibile, che invitava alle riunioni familiari in casa della nonna, e il culto dell'aperitivo prima del pranzo. Sebbene l'asadito della domenica sia stato sostituito in parte dai ravioli fatti in casa (in italiano nel testo), perdura l'abitudine di prendere un vermut mentre si prepara il fuoco.
Nella provincia di Cordova l'immigrazione tedesca, svizzera e austriaca ha trasformato la località di Villa General Belgrano in una regione europea, con esclusivi dolci, cioccolati squisiti e le migliori birre artigianali. Nei suoi ristoranti è un classico l'ungherese goülash mit spätzle, un piatto ben condito a base di pezzi di carne cucinati nella loro salsa, con peperoni, e accompagnato da piccoli gnocchi tedeschi. A Misiones ucraini e polacchi hanno imposto i varenikes de papa e i tedeschi gli squisiti imbottiti di maiale.
La Patagonia conserva le sue radici mapuche e tehuelche, nonostante le abitudini alimentari portate dai coloni europei. Il curanto è una delle preparazioni mapuches più significative, dato che ha luogo per ringraziare alla Pachamama le raccolte abbondanti. Oltre ad essere saporito, questo piatto è una vera cerimonia comunitaria e di comunicazione. Si deve scavare un buco nella terra profondo circa 30 cm e largo un metro, in cui si pongono le pietre riscaldate con la legna. Si coprono con foglie di arbusti della zona, maqui o nalca, e su di esse si pone la carne di bovini, pollo o agnello, insieme a diverse verdure. Gli ingredienti si coprono con altre foglie e tele umide e si chiude il buco con la terra. In circa un'ora il cibo è pronto e il sapore affumicato è incomparabile".
Davvero difficile, grazie a queste circostanze storiche e culturali, parlare di una cucina argentina unica. Buenos Aires, che è la città di riferimento, ma non può essere considerata la capitale della cucina argentina, per quanto spiegato, continua a essere aperta a tutte le influenze culinarie e viene proposta come una città-gourmet. E' qui che sono sbarcati italiani, francesi, arabi e tedeschi nelle prime immigrazioni ed è qui che c'è adesso l'espolosione di gusti e sapori portata da ungheresi, indiani, vietnamiti, giapponesi, croati: "L'internazionalizzazione gastronomica ha portato, anche, sapori latinoamericani: non si contano i ristoranti peruviani e messicani".
E siccome l'evoluzione in cucina non si ferma mai, la presenza di tanti ingredienti e sapori sta invitando gli chefs "ad applicare tecniche gourmet a ingredienti tradizionali e a condire queste ricette con la creatività personale". Per questo si parla di nuova cucina argentina e il primo a cercare di darle forma in un libro è stato il critico enogastronomico italiano Pietro Sorba, che nel 2012 ha scritto Nueva cocina argentina (se volete saperne di più su di lui, genovese trasferito in Argentina, c'è una bella intervista su Vivere Genovat, in cui parla anche di cucina argentina e influenze europee)