giovedì 30 maggio 2013

El Salvador rifiuta l'aborto a una mamma 22enne in pericolo di vita, incinta di un feto anencefalico

Beatriz ha 22 anni, è una giovane salvadoregna di umili origini, ha un marito e un bambino di 2 anni. Soffre di lupus e di insufficienza renale ed è incinta di un feto anencefalico, privo, cioè, di parte del cervello e destinato, dunque, a morire poco dopo il parto. Beatriz potrebbe morire ben prima del parto, a causa delle complicazioni che la gravidanza causa alle sue malattie. Per questo i medici che l'hanno in cura le hanno diagnosticato la necessità di un aborto terapeutico. Il problema è che El Salvador proibisce l'aborto in qualunque caso e condanna le donne che lo praticano fino a 50 anni di carcere, perché lo considera un omicidio (far morire una giovane donna di 22 anni perché non si ammette l'aborto, evidentemente non è un omicidio, per di più premeditato: la vita di un feto vale più di quella di una donna).
Gli avvocati e le ONG che seguono il caso di Beatriz, di cui si era parlato su Rotta a Sud Ovest poche settimane fa, si sono rivolti all'ONU e alla Corte Iberoamericana dei Diritti Umani e sono riusciti ad avere dichiarazioni che invitano le autorità salvadoregne a garantire alla ragazza l'aborto. Ma nelle prime ore della mattina europea, è arrivata la doccia fredda: la Corte Suprema di Giustizia di El Salvador, il massimo organo della Giustizia del Paese centroamericano, ha rifiutato l'aborto a Beatriz, con 4 voti a 1. "Questo Tribunale sostiene che i diritti della madre non possono essere privilegiati su quelli del nascituro, né viceversa: allo stesso tempo, che esiste un impedimento assoluto per autorizzare la pratica di un aborto, all'essere contraria alla protezione costituzionale che si dà alla persona umana 'dal momento del concepimento'" afferma la sentenza. Il Tribunale chiede anche ai dottori di "continuare a monitorare lo stato di salute della richiedente, in modo da offrirle in ogni momento il trattamento idoneo alle sue condizioni mediche, così come di applicare i procedimenti che, secondo la scienza medica, si stimino indispensabili per curare le future complicazioni che si presenteranno".
Con questa sentenza, per Beatriz si sono esaurite le vie giudiziarie e adesso la sua unica speranza è che intervenga una qualche soluzione politica.
El Salvador è con l'Honduras, il Nicaragua, la Repubblica Dominicana e il Cile il Paese americano che proibisce l'aborto in qualunque circostanza, grazie alle pressioni delle ali più conservatrici delle religioni, la Chiesa Cattolica in testa.
Il giornalista e attivista Gonzalo Fanjul scrive nel suo blog su elpais.com: "(Quello di Beatriz) non è l'unico caso drammatico in questo Paese, in cui le leggi sulla salute sessuale e riproduttiva sono sequestrate dai gruppi religiosi più conservatori. Un articolo di Laura Aguirre, pubblicato un anno fa da elfaro.net, descrive la situazione di più di una ventina di donne incarcerate per aborti naturali o indotti. Sonia Ester Tabora, per esempio, è stata condannata a 30 anni di carcere per omicidio aggravato, quando la complicazione di una gravidanza ha provocato un parto prematuro. Come lei, tutte le incarcerate appartengono agli strati più poveri della società, senza accesso a servizi degni della salute o alla protezione di un avvocato. Per queste donne la violenza sessuale e le gravidanze delle adolescenti sono all'ordine del giorno. Secondo la stessa testata, ogni giorno del 2011 hanno partorito tre bambine tra i 10 e i 14 anni, in un Paese che ha la stessa popolazione di Madrid".
Il caso di Beatriz ha causato forti polemiche nel Paese centroamericano, con i gruppi anti-abortisti più aggressivi che mai (mica è in gioco la loro vita). L'arcivescovo di San Salvador José Luis Escobar, ha detto pochi giorni fa: "Mi chiedo se l'aborto sia la cosa migliore per lei; perché non curarla con cure attente, affinché stia bene di salute e rispettiamo il diritto di vivere del bambino che si sta formando e che nascerà". All'arcivescovo non gliene frega niente che il bambino non sopravvivrà che poche ore al parco, che Beatriz ha già detto in una dolente intervista allo spagnolo El Pais che vuole vivere e tornare dal suo bambino di due anni, che Beatriz morirà anche prima di dare alla luce il suo bambino anencefalico. C'è da chiedersi perché la Chiesa Cattolica disprezzi in questo modo indignante la vita delle donne e voglia imporre il suo disprezzo alle regole della società, perché l'opinione di un arcivescovo sulla vita di una donna debba contare più dell'opinione della stessa donna e perché lui, questo sconosciuto talebano, debba decidere al posto della donna della sua vita, che è unica, individuale e irripetibile. La sottomissione del diritto alla vita delle donne ai dettati dei talebani, appartengano alla religione che appartengano, è indignante.