domenica 26 maggio 2013

Le crepe dell'economia cilena, dipendente dal prezzo del rame. Le responsabilità della democrazia

A dicembre il Cile voterà per scegliere il suo nuovo presidente, dopo il contraddittorio quadriennio di Sebastián Piñera, il primo presidente conservatore dalla caduta della dittatura di Augusto Pinochet. Nei giorni scorsi, in polemica con Michelle Bachelet, candidata alle primarie della Concertación, ha ricordato che sotto la sua presidenza il Paese è cresciuto con una media del 5,8%  annuale e che la povertà è scesa al 15%.
Ma un bell'articolo di BBC Mundo, intitolato Le crepe del modello cileno, mette in evidenza le contraddizioni dell'economia cilena. Governato dalla Concertación social-democristiana, o dalla Coalición por el Cambio di Sebastián Piñera, il Paese non ha cambiato il modello economico ereditato dalla dittatura. Un modello che, come spiega l'economista cileno dell'Università di Cambridge José Gabriel Palma, "pende da un filo: il prezzo del rame". Come buona parte dei Paesi latinoamericani, il Cile ha un'economia che dipende dal prezzo delle materie prime che esporta e, nonostante i progressi nella lotta alla povertà e nell'allargamento della classe media, non è riuscito a superare questa pericolosa contraddizione.
"Se nel 2012 il prezzo del rame fosse tornato ai suoi livelli precedenti al boom, prima del 2003, il deficit della bilancia dei pagamenti sarebbe stato il 18% del PIL, abbastanza superiore a quello che ci fu nel 1981, 13% o nel 1982, 9%, l'epoca della grande crisi cilena. In altre parole, nel 2012 il Paese ha speso quasi 10 miliardi di dollari più di quelli che aveva" spiega Palma a BBC Mundo.
"La bilancia dei pagamenti, considerata il miglior indicatore della sostenibilità economica, è passata negli ultimi anni da un surplus del 5% a un deficit del 4%: l'eccedente di 3,2 miliardi di tre anni fa è diventato un deficit di 9,5 miliardi di dollari" commenta BBC Mundo.
La democrazia, sia con l'alleanza social-democristiana della Concertación che con l'alleanza di centro-destra guidata da Sebastián Piñera, è riuscita ad abbattere la povertà, dal 40% al 15%, attraverso una maggiore spesa sociale, che Sebastián Piñera, conservatore dal volto umano, non ha sostanzialmente toccato. Ma non ha cambiato il modello economico della dittatura, ispirato direttamente dai Chicago boys. Il Cile viene considerato l'esempio pratico delle politiche liberiste applicate all'economia. Per questo, per non aver risolto le grandi disuguaglianze sociali e per continuare a escludere buona parte della popolazione, soprattutto indigena e rurale, dall'uguaglianza delle condizioni di partenza, viene considerato l'esempio del fallimento delle ricette liberiste. Per aver allargato la classe media e aver ridotto la povertà di milioni di persone, per aver introdotto un sistema sanitario e pensionistico (basato sul lucro delle assicurazioni e dei fondi), viene invece considerato un esempio del successo delle politiche liberiste. Chi ha ragione?
Probabilmente né i sostenitori né i detrattori, dato che la ragione è sempre nel mezzo e dato che non è stata risolta la grande contraddizione di fondo: la dipendenza dal prezzo del rame. "Il settore pubblico e quello privato, la Banca Centrale e la sua politica monetaria, il sistema impositivo regressivo funzionano con le stesse regole del gioco di prima. Le royalties del settore minerario sono un esempio: sono un'invenzione del presidente Ricardo Lagos e sono una barzelletta: equivalgono al 2% dei guadagni del settore" spiega il professor Palma.
Il 2%. Non solo il Cile non è riuscito a diversificare la propria economia, ma sta regalando lo sfruttamento delle proprie risorse alle grandi multinazionali a prezzo di saldo, senza ottenere le ricchezze che dovrebbero spettargli.
Il rame rappresenta quasi la metà delle esportazioni cilene e il 25% del PIL, è pericolosamente indispensabile per l'economia cilena. E' una maledizione, quella della dipendenza dalle materie prime, che sembra perseguitare i Paesi latinoamericani, abbiano un modello socialista come Cuba, statalista come il Venezuela o liberista come il Cile, sottolinea BBC Mundo.
Eppure non dovrebbe essere necessariamente così. Nel XIX secolo, ricorda Palma, il presidente cileno José Manuel Balmaceda seppe utilizzare lo sfruttamento del salnitro per avviare l'economia del Paese: "Balmaceda seppe captare i guadagni del salnitro e li investì in un capitale fisico e umano per generare capacità produttive in grado di sostituire la risorsa naturale quando si fosse sgonfiata. Con un'imposta sulle esportazioni del salnitro, che arrivò fino a un terzo del valore, l'investimento pubblico quadruplicò in termini reali e quello nella formazione e istruzione aumentò di otto volte".
Nel 2007 Michelle Bachelet creò il Fondo di Stabilizzazione Economico e Sociale (FEES), pensato come fondo anti-ciclico, che garantisca al Paese le risorse in periodi di vacche magre, ma secondo Palma è del tutto insufficiente perché "non copre neanche un anno di importazioni. Solo con una forte imposizione sulle miniere si può creare un'alternativa economica reale".
E con il rallentamento delle economie di Cina e India, sulle quali si sono basate le forti esportazioni e gli alti prezzi del rame di questi anni, il valore del rame sta scendendo, spinto al ribasso anche da una situazione economica mondiale non rosea e oscillante in Borsa a causa delle speculazioni finanziarie. L'economia del Cile pende da un filo e il prossimo presidente dovrà tenerne conto.