lunedì 8 luglio 2013

Un'11enne incinta riapre la polemica sull'aborto in Cile. Michelle Bachelet: la legalizzazione è nel mio programma

Una bambina di 11 anni incinta di 14 settimane ha riaperto la polemica sull'aborto terapeutico nel Cile, un Paese in cui l'interruzione volontaria della gravidanza è totalmente proibita, anche in caso di pericolo di vita della madre.
Belén, questo il nome fittizio usato dai media, vive nella regione de Los Lagos, nel Cile meridionale, con la nonna, che ha la sua custodia, e di tanto in tanto visita la madre; negli ultimi due anni, in queste visite alla madre è stata ripetutamente violentata dal di lei nuovo compagno, fino a rimanerne incinta. Adesso l'uomo è in prigione, tra le proteste della convivente, riporta El Pais di Madrid, secondo la quale "quello che gli sta  succedendo è ingiusto" perché la bambina era consenziente ai rapporti sessuali. Cioè, questa mamma trova naturale che sua figlia di 9 anni abbia rapporti con il suo fidanzato 32enne. Ovviamente la denuncia del fatto non è arrivata dalla madre, ma dalla nonna, che avrebbe chiesto l'aborto terapeutico per il bene della bambina, dato che, a 11 anni, il suo corpo è ancora in formazione e, dunque, poco adatto a ospitare un feto, senza pregiudicare severamente la sua salute.
Le gravidanze delle  adolescenti, spesso a causa di violenza sessuale subita anche nell'ambito familiare, sono frequenti in Latinoamérica (nel Venezuela sono arrivate ad essere il 20% delle gravidanze totali). In alcuni casi, come quello di Belén, sono un vero e proprio pericolo per la vita delle giovanissime madri, il cui corpo non si è ancora sviluppato completamente. Ma l'aborto terapeutico è proibito in cinque Paesi dell'area, Honduras, Nicaragua, San Salvador, Repubblica Dominicana e Cile; in tutti la proibizione è dovuta alla forte influenza della Chiesa Cattolica e delle Chiese in generale, che rifiutano l'aborto anche a costo di far morire le madri (evidentemente far morire una donna non è omicidio volontario, per i preti). Nella Repubblica Dominicana è morta Esperanza, una 16enne a cui era stata diagnosticata la leucemia: era incinta, le cure per la sua malattia avrebbero ucciso il bambino e dunque le autorità hanno preferito uccidere anche lei, senza lasciarle la scelta di decidere se vivere o morire. Nel Nicaragua ad Amelia, malata di tumore, sono state vietate le cure per la sua malattia, il figlio è morto poche ore dopo la nascita, lei due anni dopo, a causa del cancro non curato. Ed è recente il caso di Beatriz, la 22enne salvadoregna, a cui solo in extremis è stato praticato un parto cesareo per dare alla luce una bambina senza cervello e morta poche ore dopo la nascita: la gravidanza le creava numerose complicazioni che mettevano in pericolo la sua vita.
Nel Cile Belén ha riaperto il dibattito sull'aborto, almeno terapeutico. Fino al 1931 l'aborto terapeutico era permesso, poi nel 1989, nelle ultime settimane della sua dittatura, Augusto Pinochet lo ha totalmente vietato, modificando il testo dell'articolo 119 del Codice Sanitario, scrivendo che "non potrà essere realizzata alcuna azione il cui fine sia provocare l'aborto". I giornali cileni riportano come questo articolo sia stato ispirato da una Costituzione, quella del 1991, che riporta che "la legge protegge la vita che sta per nascere" (ma la vita della madre, chi la protegge? E, soprattutto, perché ci dev'essere autorità superiore a quella della donna sul suo corpo?!); un testo molto più liberale da quello proposto dal senatore dell'Unión Demócrata Independiente (UDI) Jaime Guzmán, che recitava: "La madre deve avere il figlio anche se nasce anormale, anche se non lo ha desiderato, anche se è prodotto di uno stupro, anche se l'averlo causi la sua morte".
Adesso che il Cile è un Paese molto più civile e molto meno misogino di quello prospettato dall'ineffabile Guzmán, il dibattito si è riacceso, tra chi chiede a grande voce una legge sull'aborto che permetta alle donne di interrompere la gravidanza in caso di malformazione del feto, di violenza sessuale e di pericolo di vita della madre e chi invece esige che si protegga la vita del feto, senza preoccuparsi della volontà della madre.
La deputata socialdemocratica María Antonieta Saa ha proposto una legge che permetta l'aborto nelle tre circostanze già indicate. Ma la novità è che Michelle Bachelet, che si presenta alle elezioni presidenziali di novembre con un programma molto più progressista di quello della scorsa presidenza, si è già pronunciata in favore di una legge che permetta l'aborto terapeutico. "Credo che le donne debbano avere accesso ai diritti sessuali e riproduttivi, Il che significa che possono prendere decisioni" ha detto la candidata di Nueva Mayoria "L'aborto non è mai stato né dev'essere un meccanismo di riproduzione familiare. Credo che si dovrebbe però iniziare un grande dibattito nazionale, perché l'aborto c'è e non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia. Dobbiamo affrontare l'argomento come società. Io credo che dobbiamo legalizzare l'aborto terapeutico e l'aborto in caso di stupro".