martedì 4 giugno 2013

I medici salvadoregni salvano Beatriz, la mamma incinta di un feto anencefalico

Con un parto cesareo, Beatriz, la 22enne salvadoregna di cui si sono occupati ultimamente i media internazionali, ha dato alla luce una bambina, priva di cervello e con altre gravissime patologie, morta poche ore dopo la nascita. Le condizioni della giovane sono gravi, perché le malattie di cui soffre e che avrebbero potuto condurla alla morte se avesse continuato la gravidanza, hanno peggiorato il suo stato di salute, nell'attesa di una soluzione politica e legale al suo caso. Al momento si trova nel reparto di terapie intensive dell'ospedale di San Salvador in cui è stata ricoverata negli ultimi due mesi, ma non sembra che corra pericolo di vita e i suoi familiari sperano possa tornare presto a Jiquilisco, il suo villaggio, in cui l'aspetta il suo bambino di due anni.
Il caso di Beatriz ha stabilito un precedente per El Salvador? Il piccolo Paese centroamericano è, con Cile, Honduras, Nicaragua e Repubblica Dominicana, uno dei cinque Paesi americani che vietano totalmente l'aborto, in qualunque circostanza. a causa dell'insufficienza renale e del lupus di cui soffre, Beatriz rischiava la morte, se avesse continuato la gravidanza; il bambino che aspettava era anencefalo, senza cervello, dunque non sarebbe sopravvissuto al parto. Secondo i medici, solo un aborto terapeutico avrebbe potuto salvare Beatriz dalla morte, ma non potevano praticarglielo a causa delle dure leggi del Paese. Il caso ha scatenato un vivace dibattito nel Paese e in buona parte della comunità ispanica mondiale, soprattutto quando la Corte Suprema di El Salvador ha negato l'aborto a Beatriz, perché i diritti della madre non devono prevalere su quelli del nascituro e viceversa (anche se, come in questo caso, il feto non è in grado di sopravvivere fuori dal ventre materno). La scappatoia, utilizzata da medici e avvocati, è stata che la Corte Suprema ha chiesto, nella sua sentenza, di garantire alla giovane "il trattamento idoneo alle sue condizioni mediche". E poco dopo è intervenuta la Corte Interamericana dei Diritti Umani, obbligando El Salvador a salvare la vita di Beatriz e a consegnargli entro il 7 giugno un rapporto su quanto era stato fatto. La richiesta della Corte Interamericana è storica: per la prima volta è intervenuta in un caso di aborto, un tema sensibilissimo nell'America Latina dove l'influenza della Chiesa Cattolica è fortissima (l'arcivescovo di San Salvador ancora qualche giorno fa negava il diritto di Beatriz di salvare la propria vita e si arrogava il diritto di decidere per lei).
Ed è probabilmente questo il precedente più importante stabilito dal caso di Beatriz, in El Salvador, ma non solo: l'intervento della Corte Interamericana dei Diritti Umani, dà per la prima volta la speranza di salvare le vite delle donne dei Paesi americani in cui l'aborto è proibito in qualunque circostanza. Per El Salvador è stata come spiega il Ministro della Sanità María Isabel Rodríguez, una "grande lezione", sia da un punto di vista medico che etico. I movimenti che difendono la depenalizzazione dell'aborto, lamentano il tempo che è stato perduto, costato l'aggravamento della condizioni di salute di Beatriz, a causa di una gravidanza che sarebbe comunque finita con la morte del feto. Lamentano anche che i ritardi abbiano avuto un duro costo psicologico per Beatriz.
Mentre l'avvocato di Beatriz Dennis Muñoz ha detto cose sensate e condivisibili, che dovrebbero far riflettere chi vuole la proibizione totale dell'aborto (e la restrizione di qualunque diritto sociale e sanitario): "Sia perché c'è stato un parto prematuro o un cesareo, si è preservato il diritto di Beatriz alla salute e a una vita dignitosa. Questo è stato un capitolo ulteriore sulla vulnerazione dei diritti umani delle donne povere. Perché non dimentichiamo che sono loro le pregiudicate. Una donna con risorse economiche non sarebbe passata per tutto quello per cui è passata Beatriz. Sarebbe andata a interrompere la sua gravidanza all'estero, molto probabilmente".
La restrizione dei diritti colpisce sempre i più poveri, non colpisce mai i ricchi, che hanno gli strumenti economici per scegliere. Uno Stato deve garantire che anche i propri cittadini più poveri abbiano gli strumenti per compiere liberamente le proprie scelte e che la povertà non sia per loro una maledizione ulteriore, quando devono difendere la propria vita e la propria salute. La Chiesa farebbe bene a pensarci, nella sua furia talebana.