giovedì 19 settembre 2013

L'impero Inca era socialista? Storia di un modello produttivo fortemente centralizzato

The Incas: New Perspectives (W. W. Norton & Company) di Gordon F. McEwan è un libro che analizza la civiltà incaica e, in particolare, il suo efficace modello produttivo, che permise l'espansione dei suoi confini e della sua influenza dall'attuale Perù ai territori appartenenti oggi all'Ecuador, al Cile, alla Bolivia, all'Argentina e alla Colombia, fino a farne l'Impero più grande e importante dell'America Latina, prima dell'arrivo degli Europei. 
Di questo libro parla elconfidencial.com, in un articolo che termina ipotizzando un modello socialista ante-litteram sulle Ande. Gli Incas non ebbero mai moneta, non ebbero mai un mercato  e non ebbero mai una classe di mercanti che potesse arricchirsi con i commerci. La ragione è semplice: il modello era completamente centralizzato in tutti i suoi aspetti e "lo stesso sistema economico impediva che qualcuno potesse arricchirsi con il prodotto del proprio lavoro. Non ne aveva bisogno: la società era così ricca di suo che lo Stato poteva garantire il benessere di tutti i propri membri". 
Al centro del modello produttivo c'era l'agricoltura: "L'autarchia e il rifornimento locale erano le chiavi dell'impero. A volte esisteva uno scambio di prodotti tra le diverse regioni, ma solo quando era strettamente necessario, dato che non potevano essere prodotti in modo locale. In molte occasioni gli Incas stabilivano colonie in queste regioni, ma le decisioni continuavano a essere prese in modo esclusivo dal governo centrale incaico. Il sistema politico di questa società era fortemente centralista e dalla città di Cuzco si progettò l'espansione di uno Stato che protesse le culture e i costumi dei diversi popoli caduti sotto la sua influenza" scrive la pagina web spagnola.
Il lavoro era alla base dei rapporti tra l'individuo e l'impero: la società era organizzata in ayllus, "i cui membri erano uniti da vincoli familiari, che avevano come obiettivo realizzare i lavori richiesti dalla società, come la coltivazione delle terre, le opere pubbliche o la formazione delle milizie. Inoltre l'impero destinava una percentuale significativa della popolazione all'ingegneria agricola. L'organizzazione del lavoro era tale, che ciascuno dava secondo le proprie capacità e necessità: un bambino lavorava meno di un adulto, questi lavorava più di un anziano, a cui veniva chiesto un impegno via via minore con l'avanzare dell'età. "Il lavoro era una funzione sociale da cui nessuno poteva scappare. In cambio i cittadini dell'impero ricevevano cibo, prodotti di prima necessità, abbigliamento e altri strumenti, che arrivavano dai magazzini dello Stato, non dalle sue tasche". 
Gli unici dispensati dal lavoro erano i nobili di privilegio, persone che erano arrivati ai vertici della società per loro merito, e non per nascita, in genere capi militari, sacerdoti o le acllas, "le belle donne scelte sin da bambine per far parte dello Stato, e che potevano dedicarsi alla confezione dei vestiti (o a essere sacrificate sugli altari)".
Secondo McEwan, uno sviluppo così originale della società si deve soprattutto all'efficace controllo e gestione dell'agricoltura, base di tutto il modello. Originari delle montagne più alte di Latinoamérica, le Ande, gli Incas dovettero sviluppare una vera e propria ingegneria, per ospitare le loro coltivazioni in terre così inospitali; arrivarono a coltivare oltre 70 vegetali differenti e svilupparono tecniche all'avanguardia, come terrazze, canali collegati per stabilizzare i microclimi, sistemi di irrigazione dotati di acquedotti. L'ossessione per l'agricoltura e per l'autosufficienza di ogni comunità è dovuta, ipotizza il libro, a una grande carestia del XI secolo; fu allora che gli Incas svilupparono la tecnologia agricola e arrivarono a livelli molto avanzati di conoscenza del terreno.