Ma
in spagnolo, dire moro a una persona di origine musulmana,
possibilmente maghrebina, è offensivo o no? La contrapposizione tra
Mori e Cristiani, che ha caratterizzato tanta storia spagnola, sembra
esistere ancora nel linguaggio parlato, lo si nota in El Principe, la bella serie di TeleCinco che si svolge nell'omonimo quartiere di Ceuta e che consiglio vivamente a chi parla
spagnolo, in cui si parla ancora di Moros y Cristianos, per parlare di Arabi e Spagnoli. A Siviglia non mi è mai
capitato di sentire persone che parlano dei maghrebini come dei
moros, né i media si riferiscono con questa parola ai nordafricani.
Ma in certi soggiorni sulla Costa del Sol, dove i maghrebini sono
davvero tanti, mi è capitato di sentirli chiamare moros, come
si chiamano gli italiani o i russi, senza alcun tono dispregiativo.
Così si torna alla questione iniziale: si può dire moro a un
nordafricano o a una persona di religione musulmana? O si rischia di
offenderla, visto il turbolento passato tra Mori e Cristiani?
Alla
domanda risponde Arturo Pérez Reverte, scrittore e membro della
Reale Accademia di Lingua Spagnola, con un articolo su finanzas.com, perché un avvocato di origine
marocchina, residente in Spagna, ha chiesto all'Accademia di inserire
moro nel Dizionario come parola 'razzista, discriminante e xenofoba'. "La chiara intenzione dell'avvocato di origine marocchina, moro
secondo il Dizionario della Real Academia, è che il solo uso della
parola, anche diretto, come ho appena fatto, possa essere già reato"
scrive Pérez Reverte. Ottenuto il sostegno "del coro abituale di
opportunisti", l'avvocato è arrivato a chiedere il sostegno
diplomatico degli ambasciatori dei Paesi del Maghreb. Però.
"Il
Dizionario non si può costruire a misura delle persone, ma in base
all'uso reale di una lingua, un tema molto complesso, che si forma
durante secoli, società e Storia. Le lingue sono fatte da chi le
usa, sono strumenti potenti che servono per definire e per
comunicare, e non c'è avvocato al mondo, né giudice, né governo,
né accademia che possano cambiare questo"scrive Pérez Reverte.
Moro in sé non è parola che reca insulto, la sua eventuale carica
offensiva dipende da chi la usa, "ma l'uso malintenzionato di una
parola, non deve pregiudicare mai chi la usa in modo corretto e ne ha
bisogno per esprimersi con efficacia".
Poi lo scrittore di
Cartagena si scatena contro gli aficionados della demogagia barata,
di bassa lega, che invita "a leggere un po'" (e quanto è
importante la cultura e la lettura Pérez Reverte non si stanca di
ripeterlo!): "Moro lo usiamo nella nostra lingua scritta da nove
secoli e mezzo, e in quella parlata, non ne parliamo. Ma è che
ancora prima c'era nel latino, che qui parlavano i romani; e dopo
nelle lingue romanze: Mauro
invenire potueritis,
scriveva l'abate Albelda nientemeno che nel 928. E da lì fino a
oggi, passando per i patti firmati da Alfonso el Batallador cum
illos bonos moros
de Tudela, e per il
Poema del Cid, los moros
yazen muertos, de bivos pocos veo / los moros e las moras vender non
los podremos,
e per i Claros
varones de Castilla o
le cronache di Fernando del Pulgar sulla guerra di Granada, e per lo
sbarco a Orano, il Barranco del Lobo, Annual, Monte Arruit,
Alhucemas, don Ramón Menéndez Pidal, la Guerra Civile, Ceuta,
Melilla, Ifni, il Sahara, le zattere".
Bella difesa delle
parole e della responsabilità di ognuno di noi a usarle
correttamente.