venerdì 28 marzo 2014

Arturo Pérez Reverte e i moros: non la parola, ma il suo uso è offensivo

Ma in spagnolo, dire moro a una persona di origine musulmana, possibilmente maghrebina, è offensivo o no? La contrapposizione tra Mori e Cristiani, che ha caratterizzato tanta storia spagnola, sembra esistere ancora nel linguaggio parlato, lo si nota in El Principe, la bella serie di TeleCinco che si svolge nell'omonimo quartiere di Ceuta e che consiglio vivamente a chi parla spagnolo, in cui si parla ancora di Moros y Cristianos, per parlare di Arabi e Spagnoli. A Siviglia non mi è mai capitato di sentire persone che parlano dei maghrebini come dei moros, né i media si riferiscono con questa parola ai nordafricani. Ma in certi soggiorni sulla Costa del Sol, dove i maghrebini sono davvero tanti, mi è capitato di sentirli chiamare moros, come si chiamano gli italiani o i russi, senza alcun tono dispregiativo. Così si torna alla questione iniziale: si può dire moro a un nordafricano o a una persona di religione musulmana? O si rischia di offenderla, visto il turbolento passato tra Mori e Cristiani?
Alla domanda risponde Arturo Pérez Reverte, scrittore e membro della Reale Accademia di Lingua Spagnola, con un articolo su finanzas.com, perché un avvocato di origine marocchina, residente in Spagna, ha chiesto all'Accademia di inserire moro nel Dizionario come parola 'razzista, discriminante e xenofoba'. "La chiara intenzione dell'avvocato di origine marocchina, moro secondo il Dizionario della Real Academia, è che il solo uso della parola, anche diretto, come ho appena fatto, possa essere già reato" scrive Pérez Reverte. Ottenuto il sostegno "del coro abituale di opportunisti", l'avvocato è arrivato a chiedere il sostegno diplomatico degli ambasciatori dei Paesi del Maghreb. Però.
"Il Dizionario non si può costruire a misura delle persone, ma in base all'uso reale di una lingua, un tema molto complesso, che si forma durante secoli, società e Storia. Le lingue sono fatte da chi le usa, sono strumenti potenti che servono per definire e per comunicare, e non c'è avvocato al mondo, né giudice, né governo, né accademia che possano cambiare questo"scrive Pérez Reverte. Moro in sé non è parola che reca insulto, la sua eventuale carica offensiva dipende da chi la usa, "ma l'uso malintenzionato di una parola, non deve pregiudicare mai chi la usa in modo corretto e ne ha bisogno per esprimersi con efficacia".
Poi lo scrittore di Cartagena si scatena contro gli aficionados della demogagia barata, di bassa lega, che invita "a leggere un po'" (e quanto è importante la cultura e la lettura Pérez Reverte non si stanca di ripeterlo!): "Moro lo usiamo nella nostra lingua scritta da nove secoli e mezzo, e in quella parlata, non ne parliamo. Ma è che ancora prima c'era nel latino, che qui parlavano i romani; e dopo nelle lingue romanze: Mauro invenire potueritis, scriveva l'abate Albelda nientemeno che nel 928. E da lì fino a oggi, passando per i patti firmati da Alfonso el Batallador cum illos bonos moros de Tudela, e per il Poema del Cid, los moros yazen muertos, de bivos pocos veo / los moros e las moras vender non los podremos, e per i Claros varones de Castilla o le cronache di Fernando del Pulgar sulla guerra di Granada, e per lo sbarco a Orano, il Barranco del Lobo, Annual, Monte Arruit, Alhucemas, don Ramón Menéndez Pidal, la Guerra Civile, Ceuta, Melilla, Ifni, il Sahara, le zattere".
Bella difesa delle parole e della responsabilità di ognuno di noi a usarle correttamente.