Sono state giornate convulse, in
Colombia. E sono iniziate quando il Procuratore Generale della
Repubblica Alejandro Ordóñez ha destituito il sindaco di Bogotà Gustavo Petro e lo ha interdetto per 15 anni dai pubblici uffici,
mettendo fine, di fatto, alla sua carriera politica. Lo ricordate? La
decisione di Ordóñez era stata causata dagli errori del sindaco
nell'introduzione di un nuovo sistema di raccolta della spazzatura,
che aveva gettato la capitale colombiana nel caos, per tre giorni. Molte erano state le polemiche, con i media e l'opinione pubblica vicini a Petro che si chiedevano eprché non si è mai ricorsi a pene così dure contro i sindaci corrotti.
Gustavo Petro ha utilizzato tutti i mezzi legali a sua
disposizione, dalle decine di cortei dei simpatizzanti a Bogotà al Consiglio Superiore della Magistratura e al Consiglio
di Stato, compreso il ricorso alla Commissione Interamericana dei
Diritti Umani. E questo, forse, è stato il suo errore fatale. Un
paio di giorni fa, gli organismi di garanzia colombiani hanno stabilito la destituzione del
sindaco, ma nelle stesse ore la Commissione Interamericana dei
Diritti Umani ha chiesto alla Colombia una sospensione temporanea, in
attesa di maggiori chiarimenti, lasciando la decisione finale nelle
mani del presidente Juan Manuel Santos, già in campagna elettorale
per la rielezione, a maggio. E Santos ha messo solo 24 ore per
firmare la destituzione definitiva del sindaco di Bogotà. Non sono
state 24 ore facili, lo dimostra la discussione in corso sui media
colombiani, divisi tra quelli che difendono la legalità della
decisione di Santos e quelli che si interrogano sulla sua
opportunità.
Uno degli argomenti utilizzati da Santos, per
ignorare le indicazioni della Commissione Interamericana dei Diritti
Umani (CIDH dalle iniziali in spagnolo), è stato che Petro ha usato
tutte le possibilità legali a disposizione in Colombia per
difendersi. Il Presidente della Repubblica ha sempre chiesto il
rispetto della Costituzione e delle leggi e anche dei diritti
politici del sindaco di Bogotà, ha spiegato. Inoltrre le indicazioni
della CIDH non sono vincolanti per la Colombia. Senza pensare, hanno
fatto notare i collaboratori di Santos, alla valanga di ricorsi alla
CIDH, da parte di chi è stato destituito, nel caso in cui si fosse
sospesa la destituzione di Petro, mettendo così in dubbio l'efficacia della destituzione dei politici, una delle
risorse previste dalla Costituzione colombiana per proteggere i
cittadini dagli abusi dei loro dirigenti.
Alla fine è arrivata la
destituzione, che permette a Petro solo un'ultima strada,
suggeritagli anche dallo stesso Santos, un'azione di nullità, contro
la sentenza della Procura. Lo farà Petro? Combattivo come ha
dimostrato di essere durante tutta la sua carriera politica e in
questi mesi in cui si è opposto alla sua destituzione, può essere
che lo faccia.
Ma la decisione di Santos apre la porta ad altre
domande.
Gustavo Petro è un esponente di spicco della sinistra
radicale colombiana, quella che non arriva mai al potere, fermata
sempre, in un modo o nell'altro, dall'oligarchia, che governa il Paese
sin dall'indipendenza e che ha sempre impedito riforme agrarie,
fiscali e politiche, lasciando una massa di diseredati, soprattutto
nelle campagne, senza alcuna possibilità di ascesa sociale. Petro è
stato guerrigliero, prima di scegliere poi la via politica; la sua
controversa parabola alla guida di Bogotà, amato dai settori più
poveri per gli aiuti e le sovvenzioni, detestato dai più ricchi per
i limiti imposti e il caos causato da alcuni cambi radicali nei
trasporti e nella scuola, è la dimostrazione di come sia difficile,
per la sinistra radicale, affermarsi in Colombia per via legale. Come se la sinistra potesse solo utilizzare la violenza per poter parlare di uguaglianza e di giustizia sociale (da non confondere cpn il paternalismo della destra mdoerata, please). E' questo un timore che avevano già espresso i settori progressisti della
società quando Alejandro Ordóñez ha destituito il sindaco.
La scelta di Santos, in fondo, fa il gioco delle FARC: adesso è facile per la guerriglia, impegnata nel dialogo di pace a L'Avana, utilizzare la destituzione di Petro per sostenere che non ci si può fidare del potere e che la rivoluzione è l'unica strada per cambiare davvero la Colombia. I primi segnali non mancano: nel primo commento alla decisione di Santos, le FARC hanno affermato che potrebbe mettere in pericolo il processo di pace.
La scelta di Santos, in fondo, fa il gioco delle FARC: adesso è facile per la guerriglia, impegnata nel dialogo di pace a L'Avana, utilizzare la destituzione di Petro per sostenere che non ci si può fidare del potere e che la rivoluzione è l'unica strada per cambiare davvero la Colombia. I primi segnali non mancano: nel primo commento alla decisione di Santos, le FARC hanno affermato che potrebbe mettere in pericolo il processo di pace.
Ai
media colombiani non sfugge neanche il clima elettorale in cui è
avvenuta la destituzione di Petro. Alle elezioni parlamentari del 9
marzo, la destra ha avuto a Bogotà il 21% dei voti, la coalizione di
Santos il 25%, la sinistra il 7% e i verdi l'8,9%. Nei sondaggi
elettorali, per le elezioni presidenziali di maggio, Santos è ancora
in testa, ma le intenzioni di voto a suo favore sono scese di due
punti, al 32,5%, mentre Óscar Iván Zuluaga, il candidato della
destra, è al 15,6%. Se si mantiene la tendenza, il presidente
difficilmente potrebbe ottenere la rielezione al primo turno, come sì
sembrava possibile qualche settimana fa. Ergo, se non vuole avere
problemi alle elezioni, deve cercare simpatie tra gli elettori di
destra, non tra quelli di sinistra. Di qui la decisione di destituire
Petro, conquistando i favori degli elettori conservatori.