sabato 30 giugno 2007

L'inarrestabile Bea, la Betty la fea spagnola, regina della tv

Cosa si nasconde dietro la segretaria brutta, ma intelligente, preparata e di buon cuore che riesce ad affascinare il bellissimo capo fino a farsi sposare? Betty la fea, travolgente fenomeno delle telenovelas colombiane, è un successo in qualunque altra versione. Se in Italia ci si sorbisce su Italia1 Ugly Betty, la versione USA prodotta da Salma Hayek, in Spagna, dopo aver visto la versione originale e quella messicana, hanno deciso di farsene anche una in proprio. Risultato: da circa un anno Yo soy Bea, questo il titolo spagnolo del format colombiano, è il fiore all'occhiello di Tele5 e domina gli ascolti della sua fascia oraria.
TVE e Antena 3 non sanno più cosa inventarsi per contastarla e hanno dovuto puntare su telenovelas di produzione miamense come La viuda de Blanco o El Zorro la Rosa y la Espada per racimolare qualcosa. Alejandro Tous e Ruth Núñez, i due attori protagonisti, sono finiti più volte, nonostante gli inutili tentativi di Tele5 di nascondere il vero volto di Ruth per non rovinare la sorpresa della trasformazione del brutto anatroccolo in cigno, sulle copertine della stampa rosa. Pare che si siano inevitabilmente fidanzati anche nella vita.
Un paio di giorni fa Yo soy Bea ha superato la barriera del 40% di ascolto, sfiorando quota 41%. Quasi come un Gran Premio di Formula 1 di questi anni di Alonsomania o una partita della selección spagnola ai Mondiali.
A marzo la prima notte d'amore di Bea e Alvaro, i due protagonisti, raccolse il 37,7% dei telespettatori, primato appena battuto, e finì commentata su tutti i giornali, oltre che su youtube et similia.
Il fenomeno Bea ha superato le barriere della tv ed è tracimato su Internet, dove la pagina creata da Tele5 per riunire i brutti di tutto il mondo di lingua spagnola (www.yotambiensoybea.com), ha superato il milione e mezzo di visitatori unici, con oltre 10 milioni di pagine viste dalla sua creazione, ed è diventato il prodotto multimedia leader della catena. All'interno del sito c'è il Blog de una fea (Blog di una brutta), in cui la protagonista racconta le sue esperienze nel serial, riflettendo sulle difficoltà e gli svantaggi di un brutto nel mondo: ha ricevuto oltre 26mila messaggi; nella sezione delle foto "imbruttite" hanno partecipato oltre 43mila persone. Tutto un successo e un fenomeno che non dovrebbero essere sorprendenti, visti i risultati che le varie Betty hanno ottenuto nei propri Paesi. Ma che però non evitano qualche domanda, visto il successo planetario di questa modesta segretaria colombiana diventata simbolo universale di superamento personale, nonostante gli svantaggi iniziali. Perché Betty, diventata Bea in Spagna, ha tanto successo? Perché piacciono le sue tragicomiche vicende? Perché c'è così tanta voglia di vedere un brutto intelligente e preparato trionfare sui belli, rappresentati sempre come cinici e volgari, ai quali l'aspetto fisico rende tutto più facile? Ci sarà anche una certa dose di sadismo nell'assistere ai tormenti del bellissimo capo costretto ad ammettere prima a se stesso e poi agli amici, di essere innamorato della segretaria insignificante nonostante le bellissime che lo circondano? Sarà che il mondo è dei brutti e si sono stufati di vedersi rappresentati come sgraziati anatroccoli perdenti? e sarà che la vera dicotomia non è ricchi/poveri ma belli/brutti?
Domande senza risposta, in fondo.
Ma è interessante notare come Tele5 continui a sfruttare il grande successo di Yo soy Bea, tradendone il vero spirito. Il serial si svolge nella redazione della rivista muy trendy Bulevar 21, di cui Alvaro è direttore. In questi giorni la rivista esce davvero nelle edicole spagnole: i suoi contenuti sono diretti al pubblico femminile, sullo stile di Vanity Fair, A o Grazia. Ci sono richiami al fortunatissimo serial nelle varie rubriche, ad esempio, le ricette sono quelle fornite in tv da Carlos, il padre di Bea. Ma ci sono anche articoli indipendenti, reportage su temi di attualità e non necessariamente tipici del segmento femminile. L'idea è che Bulevar 21 sopravviva al fenomeno televisivo e possa trovare un proprio spazio nel già affollato mondo dei mensili femminili spagnoli (in Spagna non esistono i settimanali, i giornali più prestigiosi e più interessanti sono mensili. Strano ma vero). Per riuscirci sulla prima copertina hanno messo Vicky Martin Berrocal, una delle donne più belle di Spagna, volitiva ex moglie del torero El Cordobés e logorroica opinionista di Channel n.4, contenitore pomeridiano della Cuatro.

venerdì 22 giugno 2007

La rivincita del quechua: i movimenti indigeni rivalutano la lingua degli incas

Yayayku hanaq pachapi kaq,
sutiyki yupaychasqa kachun.
Kamachikuq-kayniyki takyachisqa kachun,
munayniyki kay pachapi ruwakuchum,
Imaynan hanaq pachapipas ruwakun hinata.
Sapa p'unchay mikhunaykuta quwayku.
Huchaykutapas pampachawayku,
imaynan ñuqaykupas contraykupi huchallikuqniykuta panpachayku hinata.
Amataq watiqasqa kanaykuta munaychu,
aswanpas saqramanta qispichiwayku.
Qanpan kamachikuq-kaypas, atiypas,
wiñaypaqmi yupaychasqa kanki

E' il Padre Nostro in quechua, la lingua parlata da quasi 10 milioni di persone nella zona andina, tra la Colombia e l'Argentina settentrionale e diffusa dagli Incas come lingua franca del loro impero. Una sorta di latino delle Ande, che ha conosciuto la sua massima espansione nella fase finale dell'impero precolombiano e nella prima parte della Conquista spagnola. Anche se è con l'aymara e il guarani la più importante lingua indigena dell'America Latina, il quechua è stato codificato dagli spagnoli: prima del loro arrivo mancava un ente regolatore, una specie di Accademia della Crusca che ne preservasse l'uso e ne stabilisse le regole; anche per questo la lingua si è frammentata in vari dialetti, i più importanti dei quali, quelli di Cuzco e di  Ayacucho, sono tra loro incomprensibili.
Lo stesso nome della lingua, quechua, derivante dalla parola indigena qishwa, zona temperata, è un'imposizione spagnola: gli Incas lo chiamavano runa simi, lingua dell'uomo; il runa simi era la lingua popolare, le classi dominanti parlavano invece l'inca simi, una variante del quechua che si ritiene fosse una specie di lingua segreta.
Gli spagnoli stabilirono una grammatica, scritta da Domingo de Santo Tomás nel 1560, e iniziarono a insegnare il quechua all'Università di Lima, una delle più antiche del continente, fondata nel 1551. Del 1470 è l'Ollantay, l'opera più nota della lingua indigena, scritta da un anonimo.
L'attenzione dei conquistadores per il quechua fu esclusivamente strumentale: il loro scarso rispetto per le culture precolombiane è noto ed è causa di dibattito anche in Spagna, 500 anni dopo la sanguinaria conquista dell'Imperio. Attraverso il quechua, la lingua più diffusa dell'area andina (ci sono testimonianze delle sue infliuenze anche tra i mapuche cileni), i conquistadores potevano controllare meglio il territorio e gli indigeni. Ma essere un quechua-parlante era fino a poco tempo fa tutt'altro che un vantaggio. Una delle discriminanti della gerarchia sociale sudamericana era proprio il controllo e la conoscenza delle lingue: nel Perù e in Bolivia, dominati e controllati da una piccola minoranza di origine europea, non parlare il castellano, la lingua importata dagli spagnoli, impediva qualunque progresso sociale. Un bambino della puna andina, nato e cresciuto nella cultura quechua, non aveva alcuna speranza, una volta arrivato a Cuzco o a Lima, di avere successo perché il potere e la burocrazia parlavano esclusivamente spagnolo (senza poi dimenticare le discriminazioni razziste a cui sarebbe stato sottoposto per essere un indio). Sulle Ande hanno convissuto senza conoscersi, discriminandosi, e a un prezzo sociale altissimo, la cultura europea dei criollos, i discendenti dei conquistadores, e i quechua, eredi dei figli del Sole: ai secondi era negato l'accesso alla ricchezza nazionale perché non conoscevano la lingua dei primi, ai primi era negato l'accesso a buona parte della cultura originaria del loro Paese perché non conoscevano la lingua dei secondi.
Solo da pochi decenni, con le rivendicazioni dei movimenti indigenisti e la conseguente rivalutazione delle culture locali, il quechua ha ritrovato il suo posto ed è diventato lingua ufficiale nel Perù e in Bolivia, dove è parlato dalle popolazioni degli altipiani. In Ecuador, Bolivia e Perù molti deputati usano in Parlamento la lingua indigena per rivendicarne l'importanza e il valore nell'identità nazionale: è stato il dominio del quechua, tra le altre cose, che ha permesso ad Evo Morales di presentarsi come candidato credibile degli indigenas alla presidenza della Bolivia. E proprio in Bolivia le grandi campagne di alfabetizzazione che il Governo sta sostenendo con l'appoggio del Venezuela e di Cuba, puntano prima sull'insegnamento del quechua e poi dello spagnolo.
Un nuovo grande strumento di appoggio all'apprendimento della lingua è arrivato lo scorso anno da Microsoft, che ha tradotto il Pacchetto Office e il sistema operativo Windows in quechua, con l'appoggio del governo e di vari enti peruviani. Grazie a questo strumento solo nel Perù 700mila bambini quechua hanno maggiori possibilità di conoscere le tecnologie moderne e Internet: "Vogliamo incentivare l'uso di questa lingua ufficiale e contribuire alla sua diffusione come referente culturale peruviano perché i quechua hanno il diritto di imparare nella propria lingua" aveva detto al momento del lancio di Windows l'allora ministro dell'educazione Sota Nadal. Per non rimanere indietro, Google ha lanciato un motore di ricerca in quechua, dando ai popoli andini la possibilità di non rimanere esclusi dal progresso. E la gente delle Ande, che sia di lingua quechua o castellana o, come sarebbe meglio, bilingue, non si lascia scappare l'occasione offerta da Internet per lanciare la propria cultura: numerosissime pagine web in spagnolo offrono dal Perù, dall'Ecuador e dalla Bolivia corsi di quechua, soggiorni vacanze alla scoperta delle tradizioni locali, con tanto di ricette curiose e di esempi di folklore andino, e raccolte di leggende e miti andini, di quando i Figli del Sole erano i signori del Tahuaninsuyu, nome quechua dell'impero incaico.

martedì 19 giugno 2007

Luis Miguel ritrova Michelle, la figlia non riconosciuta

Prima la foto scattata un paio di mesi fa a Disneyland, in cui Luis Miguel appariva con il fratello Alejandro, la fidanzata Aracely e la figlia non riconosciuta Michelle. Poi qualche sera fa la cena a Los Angeles, al Mr. Chow, uno dei più noti ristoranti della città, davanti al quale stazionano sempre paparazzi in cerca di scoop inaspettati: e infatti hanno beccato Luis Miguel a cena con Michelle, senza sapere che si trattava della più acclamata star musicale latina in compagnia della figlia non riconosciuta, attirati solo dalle enormi misure di sicurezza che li circondavano (il video si può vedere qui ). Quindi l'ultima notizia, Luis Miguel e Michelle che passano insieme la Festa del Papà, a Miami, in compagnia di Aracely.
Conclusione ovvia e unanime: il 37enne Luis Miguel sta ammettendo implicitamente che la 18enne Michelle Salas è sua figlia.
La storia è lunga 18 anni ed è appassionante come la telenovela in cui i media latinoamericani hanno trasformato la vita del celebre messicano. Sempre circondato da donne bellissime, Luis Miguel ha avuto da giovanissimo un flirt con l'altrettanto giovanissima Stephanie Salas, nipote di una grande dama dello spettacolo messicano, Silvia Pinal, cugina di due cantanti molto famose, Alejandra Guzman e Rocio Banquells (quest'ultima era la mala malisima di Anche i ricchi piangono). Da questa breve storia è nata Michelle, che Luis Miguel ha frequentato discretamente per qualche tempo, comportandosi come un premuroso e affettuoso giovane padre. Poi, all'improvviso, la frequentazione è terminata. Dando vita a uno dei tormentoni preferiti dei media ispanici.
C'è chi sostiene che Stephanie voleva un matrimonio a cui Luis Miguel non era disponibile e per tanto hanno rotto i ponti; chi giura che Stephanie aveva incontrato quello che sarebbe poi diventato suo marito e il padre della sua seconda figlia e per evitarsi problemi e gelosie avrebbe allontanato Luis Miguel dalla sua vita e da quella della figlia.
Fatto sta che per anni i media hanno cercato di capire cosa fosse successo, dubitando della paternità della bambina e mandando per questo su tutte le furie il clan Salas. Da una parte Silvia Pinal che troncava ogni discussione possibile assicurando che "Michelle ha un padre e si chiama Luis Miguel, se lui vuole perdersela sono affari suoi". Dall'altra Stephanie che assicurava che "Michelle non ha bisogno di Luis Miguel, se lui non la vuole, perché posso mantenerla e mio marito la ama come se fosse sua figlia". E Luis Miguel, tanto per non complicare le cose, diceva, prima di chiudersi nel mutismo sulla vicenda: "Non confermo né smentisco che sia mia figlia, tutto il contrario".
Nel frattempo Michelle è diventata un'adolescente inquieta e ribelle, decisa a conquistare l'attenzione del padre. Un paio di anni fa dalla copertina di una delle riviste più trendy del Messico, diceva "Sono la figlia di Luis Miguel, non traumatizzatevi" e nell'intervista assicurava che era stanca di essere additata come la figlia non riconosciuta della più grande stella messicana. "Sono sua figlia, che ci posso fare?" si chiedeva, prima di giurare che non l'avrebbe mai cercato perché "il primo passo lo deve fare lui".
E Luis Miguel deve averlo fatto qualche tempo fa. Il detonatore è stato molto probabilmente l'amore, quello che cambia la vita. Per Luis Miguel ha il volto malizioso e gli occhi verdi di Aracely Arámbula, l'attrice che gli ha dato stabilità e che ha iniziato a mettere ordine nella sua vita complessa e complicata.
A gennaio hanno avuto Miguel, il bambino che ha fatto impazzire di felicità il bel cantante, fino a spingerlo a concedere, in una patinata esclusiva ad Hola, le prime foto della famiglia che ha formato. Mancava ancora Michelle, ma anche lei stava trovando il suo posto.
Il primo segno di cedimento si è visto alla conferenza stampa di presentazione di Navidades, il CD di canzoni natalizie che è stato colonna sonora delle feste di fine anno ispaniche: Luis Miguel ha evitato di rispondere sorridendo divertito alla domanda se Miguel era il suo primogenito. "Ti faccio i complimenti perché è una domanda molto sottile e non me l'aspettavo" ha detto alla maliziosa giornalista, prima di tornare a celebrare la nascita del piccolo Miguel. Forse i primi contatti con Michelle c'erano già stati, forse erano in fieri. Ma è sicuro che da quando è nato il fratellino Michelle si vede sempre più spesso in compagnia di Luis Miguel e Aracely.
Per lei forse non ci sarà nessuna esclusiva su Hola e il suo ingresso in famiglia sarà implicito, come in queste settimane. "Michelle è molto felice di questo riavvicinamento a suo padre e io non ho niente da aggiungere" dice con la solita schiettezza Silvia Pinal. "Luis Miguel è molto felice per come stanno andando le cose e sta vivendo il momento migliore della sua vita" assicurano le persone che gli sono più vicine. I fans del Sol de México si dividono in due bande, quelli che hanno sempre intuito che Michelle era la figlia del loro idolo e approvano euforici il riavvicinamento, quelli che non hanno mai creduto che Michelle fosse figlia di Luis Miguel perché il loro idolo non avrebbe mai abbandonato una figlia e adesso si chiedono come abbia potuto farlo, per tanti anni. Spiegazioni che Luis Miguel e Michelle si saranno già dati al riparo dei flash e del gossip.
Mezza America Latina è alla caccia della prima foto che dimostri affetto e tenerezza tra Michelle e Luis Miguel, l'altra parla affascinata del potere benefico dell'amore nella vita complessa e complicata delle star. Ma non solo nella loro.

lunedì 18 giugno 2007

Gli anni d'oro del Real Madrid e l'addio di David Beckham

Gli anni d'oro del grande Real. Mi viene in mente questo verso della canzone più bella degli 883, Gli anni, vedendo le immagini deliranti di Madrid che rimbalzano da tutti i canali televisivi. 
Mi fanno pensare a tante cose. Prima di tutto a quella folla immensa ed euforica che poco più di un anno fa aspettava al Circo Massimo i campioni del mondo appena tornati a casa da un trionfo inaspettato e per questo ancora più entusiasmante. E mi viene tanta nostalgia e un briciolo di invidia.
Poi alla storia di questa squadra che deve rispondere continuamente della propria grandezza e del proprio prestigio ai tifosi, che sono anche i suoi principali azionisti, alla stampa e alla Spagna. Se il Real non vince la Liga per quattro anni, serpeggiano inqueitudine, sorpresa e insoddisfazione in tifosi, stampa e Spagna. Non deve essere facile guidare una squadra con un tale carico di storia e prestigio. Con il palmares più ricco che un club europeo possa vantare. 
Da quattro anni il Real Madrid non vinceva la Liga e, come ha notato David Beckham nella sua ultima conferenza stampa madridista, sono passati "cinque presidenti, sei allenatori e quattro case" per riuscirci. Il Real campione di Spagna ha un suo rituale per celebrare la vittoria: ieri e oggi è stato seguito per la 30° volta. Prima il bagno di folla alla Cibeles, la piazza che è come San Giovanni a Roma perché non c'è avvenimento importante per la capitale che non sia festeggiato lì. Meglio: un avvenimento è davvero importante solo se viene celebrato da una folla che dalla Cibeles arrivi almeno alla Puerta de Alcalá. Ieri quella folla c'era ed era tutta merengue
Il sindaco Alberto Ruiz Gallardón aveva già dato il permesso, in caso di vittoria, di rivestire la Cibeles con i colori merengues. E ieri notte, calato da una gru, capitan Raúl, uno dei giocatori più carismatici e più amati del Paese, nonostante i continui infortuni e una parabola di molti alti e bassi (mi fa sempre pensare ad Alessandro Del Piero), ha rivestito la statua della dea con la bandiera del Real, mandando in delirio le migliaia di persone che non aspettavano altro da quattro anni. L'autobus scoperto che portava a passeggio per Madrid i nuovi campioni di Spagna, si muoveva lentamente, nell'euforia dei tifosi: vincere la Liga battendo sul filo di lana l'odiato Barça e la nuova stella, quel Sevilla due volte consecutive campione della UEFA, dà ancora più gusto e goduria. 
Oggi le feste istituzionali, con i politici a farsi belli della 30° Liga merengue. Con Alfredo Rubalcaba, Ministro degli Interni, che prendeva beatamente in giro José Luis Rodriguez Zapatero perché, accesissimo tifoso del Barça, ha riacceso il telefono solo ore dopo la sconfitta dei blaugrana. Con Esperanza Aguirre, presidente della Comunidad de Madrid che festeggiava con i campioni di Spagna con un sorrisone che manco fosse stata in campo lei, ieri sera, ma la si può capire. Sotto, la Puerta del Sol era inevitabilmente paralizzata dai tifosi merengues, che si rimandavano il We are the champions dei megafoni con l'orgoglio e l'entusiasmo di chi, in fondo, è sempre campione, grazie a una storia di prestigio e antichità che pochi possono vantare.
Gli atti di ringraziamento, andati avanti per tutto il giorno, sono terminati in un altro dei posti indispensabili della Madrid di sempre: la Cattedrale dell'Almudena. Lì Raúl, ormai competamente afono, ha offerto la Coppa della Liga alla Vergine, patrona della città. E' stato un po' il rompete le righe dopo un campionato di molti alti e bassi, che ha tra le sue vittime più illustri David Beckham e Roberto Carlos. Lasciano entrambi perché non è stato rinnovato loro il contratto; per il brasiliano ci sono anche sopraggiunti limiti di età e l'ingratitudine che colpisce sempre le squadre quando il peso degli anni dei campioni inizia ad essere una voce del bilancio; per l'inglese c'è la superbia di Capello che non ha saputo utilizzarlo, prima di trasformarlo in uno degli artefici della formidabile rimonta madridista e di pentirsi dell'adiós più incomprensibile dell'anno. 
Sarà per questa ragione che della festa madridista tengo per me l'immagine di David Beckham, che saluta commosso il Santiago Bernabeu con la bandiera inglese sulle spalle, i tre figli per mano e il sorriso timido di sempre; quello striscione che è il pensiero odierno di mezza Spagna "David, divorzia e rimani con noi", perché nell'addio del biondo numero 23, lo sanno tutti, non ci sono solo gli errori del Real, ma anche le ambizioni hollywoodiane dell'insopportabile Victoria; la commovente bandiera verdeoro che ha sempre il potere di richiamarmi il dolce ricordo di altri tempi e di un altro campione che la sventolava dalla sua monoposto dopo ogni vittoria e che ieri Roberto Carlos teneva sulle spalle per ricevere l'ultima ovazione del Santiago Bernabeu, impazzito all'ascoltare il suo nome nella lista dei nuovi campioni di Spagna. L'hanno tenuto per ultimo insieme a quello di Beckham, per lasciare ad entrambi l'ultimo tributo madridista, il più grande e il più emotivo che potessero sognare. 
Oggi, nelle feste istituzionali, David e Roberto Carlos non c'erano.

mercoledì 13 giugno 2007

I Paesi delle Ande contro la FIFA e il divieto di giocare oltre i 2500 metri

La FIFA ha stabilito che non si può giocare al pallone oltre i 2500 metri: secondo i dottori consultati l'altezza costituisce un rischio per la salute per gli atleti non abituati alla scarsità di ossigeno. Dunque Bogotà (2800 m), La Paz (3600 m), Cuzco (3400 m) e Quito (2850 m), solo per fare un esempio, non potranno più ospitare le partite delle loro nazionali. La cosa ha suscitato vivaci proteste nei Paesi andini, dove non hanno grandi campioni che superano le frontiere, ma sono calientes e appassionati di calcio esattamente come i loro colleghi europei o brasiliani o argentini. Oltre alle proteste formali, anche gli esempi pratici. Nemmeno troppo velatamente danno la colpa della misura, che impedisce anche a squadre più potenti, come la boliviana Wilstermann, di giocare in casa le partite delle coppe sudamericane,  alle più potenti federazioni argentine e brasiliane. E infatti i brasiliani sono stati i primi a commentare che la decisione della FIFA va appoggiata perché se è stata assunta, parola di Robinho e dell'allenatore Dunga, "qualche ragione ci sarà".
Il presidente della Bolivia Evo Morales ha preso la cosa giustamente molto sul serio e dopo aver giocato una partitella con alcuni membri del governo a 5400 metri, ha partecipato a un'altra con alcuni membri del governo e alcuni giocatori della nazionale boliviana presente a USA94, a 6500 metri. Il segretario della Federazione Boliviana del Calcio Pedro Zambrano ha spiegato alla BBC che la partita del presidente "è una dimostrazione che giocare in alto non ha ripercussioni sulla salute. Vogliamo dimostrare che giocare non a 3500, ma a 6000 metri non crea alcun problema".
Il Ministro dello Sport, l'ex capitano della nazionale boliviana Milton Melgar, manifesta preoccupazione soprattutto perché "è una misura che discrimina gli abitanti delle Ande. Perché se il problema fosse davvero la salute, bisognerebbe fare studi in tutte le regioni, a tutte le altezze, e in tutti i climi, per vedere quali aree sono davvero pericolose. Non possono discriminare in questo modo il 70% dei boliviani e gli altri Paesi andini su un tema come fare sport nel posto in cui sei nato e vivi". I boliviani, per esempio, ricordano ancora quella partita a Recife, contro il Brasile, con 42°C e quasi il 90% di umidità: condizioni così estreme per gli andini (e non solo) che persero per 6 a 0. Si vieteranno anche le condizioni estreme dei climi tropicali e/o umidi? e se è pericoloso giocare oltre i 2500 metri, che dire della finale di USA94 disputata a mezzogiorno a Los Angeles a luglio? e saranno problematiche anche le partite sotto zero in Russia o quelle sotto il sole africano?
E' un argomento molto serio, come si vede. Perché se si stabilisce che non si può giocare al pallone oltre determinate altezze, prima o poi sarà legittimo stabilire che si potrà giocare solo in certi Paesi e magari solo in determinate aree, dotate di un clima temperato, e solo in determinate stagioni dell'anno. La discriminazione verso gli altri popoli, che vivono in condizioni estreme, è evidente.
Nel forum della pagina web ispanica della BBC le reazioni sono sorprese e in linea di massima contrarie alla decisione della FIFA. Per esempio, Luis da Buenos Aires (dunque non direttamente interessato) scrive: "Mi sembra che la FIFA stia creando una nuova categoria per i mondiali di calcio. In altre parole adesso il campione del mondo sarà determinato solo dall'essere campione sotto i 2500 metri, è un'assurdità. Un campione è campione nel Mar Morto o nel Tibet". Gli andini sono i più sorpresi, i più indignati e anche i più addolorati; Carlos da La Paz, la capitale più alta del mondo, scrive: "La misura adottata è inumana, visto che il calcio si è sempre caratterizzato per la sua universalità; adesso con l'idea di proteggere gli atleti, annullando le gare negli stadi a più di 2500 metri sul livello del mare, stanno proteggendo Paesi potenti che non hanno bisogno di favori antisportivi, anche perché a La Paz si sono giocate eliminatorie e campionati sudamericani senza nessuna difficoltà o emergenza medica". Da Bogotà Angela fa notare che "non è l'altura a creare problemi alla salute dei giocatori, ma la mancata preparazione per i cambi, in Europa giocano d'inverno, con temperature piuttosto basse, perché non possono giocare in altura? non diciamoci fesserie, visto che ci sono tanti atleti che si allenano a più di 2500 m per migliorare il rendimento, a Bogotà 200mila persone escono la domenica nelle piste ciclabili ad allenarsi senza problemi di salute".
Il 14 giugno la Bolivia e gli altri Paesi si appelleranno ad Asunción alla Confederazione Sudamericana di Calcio. La stessa che li ha lasciati soli davanti alla FIFA. In ogni caso, mucha suerte.

mercoledì 6 giugno 2007

Telenovelas made in Miami: così gli USA cambiano il genere e lo globalizzano

In Spagna si potrebbero guardare telenovelas dalla mattina alla sera. Si inizia su Localia, un network di tv locali, che trasmette in mattinata vari serial sudamericani tra cui la venezuelana Amor a palos (prodotta da RCTV, la tv spenta da Chavez) e le colombiane La ex e Luna, la heredera. Su Canal Sur verso ora di pranzo c'è Gata salvaje. Quindi scendono in campo i colossi: TVE trasmette La viuda de Blanco, prodotta a Miami dalla colombiana RTI per Telemundo, e l'appena iniziata Destilando amor, ennesima versione messicana della colombiana Mujer con aroma de café (in Italia Aroma de Cafè); Antena 3 punta su El Zorro la Espada y la Rosa, che sta lanciando come il serial dell'estate, sperando di ripetere il successo di Pasión de Gavilanes, arrivata al 32% di share un paio di anni fa (ma prima deve aspettare la conclusione di Yo soy Bea, versione spagnola di Betty la fea, che monopolizza al momento le attenzioni dei telespettatori).
Uno sguardo a queste telenovelas permette di notare l'evoluzione del genere negli ultimi anni e il ruolo sempre maggiore che Miami sta assumendo nella loro produzione e trasmissione. Le produzioni sono molto più raffinate, con molte scene all'aperto e uno standard simile a quello nordamericano. La messicana Televisa, la più grande produttrice di telenovelas e principale fornitrice di Univisión, punta su trame classiche e, in una crisi di idee sempre più evidente, sui remake, che i messicani chiamano refritos, dei grandi successi del passato o degli altri Paesi (Destilando amor è solo l'ultimo esempio di questo fenomeno).
Telemundo, che si rivolge alla comunità ispanica degli Stati Uniti, fortemente messicanizzata, produce telenovelas che hanno standard tecnici anglosassoni e storie un po' meno prevedibili, a volte con tocchi di humor e mistery, ma che sono un curioso misto tex-mex, nonostante siano realizzate in Colombia o in Florida. Per esempio. Le sceneggiature sono quasi sempre opera di autori colombiani, gli scenari sono quasi sempre colombiani o della Florida, gli attori protagonisti arrivano da Cuba, Perù, Messico, Venezuela, Porto Rico, Colombia. Ma non è mai chiaro il Paese in cui si svolge la storia. Perché? Perché c'è il desiderio di dare una certa aura di "messicanità" che avvicini la folta comunità messicana degli USA alla storia. In La viuda de Blanco, La tormenta o Pasión de Gavilanes, solo per citare le telenovelas di Telemundo più amate, i protagonisti vivono sempre in paesini dai nomi generici, tipo Trinidad o San Andrés; non vanno mai a Bogotà o a Miami, vanno sempre "alla capitale" o "in città". Gli attori parlano con un curioso accento messicanizzato, ma può anche capitare di ascoltare una colombiana figlia di un argentino, rivale di una venezuelana per l'amore di un portoricano. Il che ha il suo fascino: è attraverso le telenovelas di Miami che sta nascendo l'idea di una comunità, di una identità ispanica comune, dalla Florida alla Terra del Fuoco. A Miami e a Bogotà si frequentano e lavorano attori, tecnici e maestranze provenienti da tutta l'America Latina, in una sorta di melting pot che sta creando un nuovo gusto e che fa delle telenovelas il primo prodotto con un'identità non più nazionale, ma latina. E' la globalizzazione del genere, si potrebbe dire ed è singolare che questo processo avvenga non per volontà latinoamericana, ma per necessità e suggerimento di Miami. Non a caso considerata da molti latinos la vera capitale morale del subcontinente.
E' comunque insolito che le produzioni colombiane per gli USA debbano essere ambientate in luoghi indefiniti e con accenti tex-mex. Come se fosse una cultura messicanizzante quella in cui possono riconoscersi non solo gli ispanici degli USA, ma anche quelli dell'America Latina. Questa tendenza infastidisce non poco i colombiani, che mettono pur sempre a disposizione scenari incantevoli, staff tecnici di grande professionalità e attori preparati, destinati però quasi sempre ai ruoli secondari. I protagonisti sono infatti gli attori più noti di tutto il subcontinente: Pasión de Gavilanes ha per protagonisti un cubano, un venezuelano e un argentino, El cuerpo del deseo un cubano e una messicana, Tierra de pasiones un messicano e una venezuelana, La viuda de Blanco, un cubano e una messicana, La tormenta e La ex un peruviano e una venezuelana (non gli stessi), ecc. L'unica eccezione sembra essere per ora la bella Danna Garcia, star fissa di molte telenovelas di Telemundo; la compatriota Paola Rey, per esempio, è stata scartata per il ruolo di protagonista di El Zorro la Espada y la Rosa in favore della messicana Marlene Favela. E ovviamente i colombiani non apprezzano che i loro attori vengano sacrificati, mentre Bogotà si trasforma nella nuova Mecca delle novelas.
Le telenovelas di Miami puntano anche su attori molto belli e molto guardabili e innegabilmente bianchi (i mestizos e i nativos nelle telenovelas non hanno mai spazio, nonostante costituiscano la maggioranza dei latinos). In questo senso il gusto è molto americano e propone gli stereotipi nordamericani sui latinos. Un esempio è Mario Cimarro, il cubano diventato sex symbol continentale in Gata salvaje, Pasión de Gavilanes ed El Cuerpo del Deseo; atletico, sguardo tenebroso e labbra imbronciate, proprio come le americane si immaginano un amante latino, è l'attore che forse più volte si è fatto la doccia su un set: praticamente quando è tormentato o sta pensando, sia quale sia la telenovela, si infila nella doccia, per la gioia delle telespettatrici. In La viuda de Blanco il bel Francisco Gattorno, anche lui cubano, ma con una carriera più articolata di Cimarro (è stato tra i protagonisti di Fragola e cioccolato), cavalca a torso nudo, però gli hanno risparmiato le docce, riservate all'argentino Martin Karpan, specializzato in questo tipo di scene (quasi come Cimarro). Ne El Zorro la Espada y la Rosa Christian Meier e Osvaldo Rios, padre e figlio nel copione, anche se hanno solo una decina d'anni di differenza nella realtà, fanno a gara a mostrare i bicipiti, per la delizia delle telespettatrici. 
In un pomeriggio di troppo caldo e di zapping tra Destilando amor ed El Zorro la Espada y la Rosa, aspettando La viuda de Blanco, al momento la più fascinosa delle tre, ci si rende conto di come la concorrenza sia davvero il motore dell'evoluzione. E di come la potente Televisa possa perdere il treno della telenovela "gobalizzata", se non si rinnova e non ritrova creatività e schemi meno ripetitivi.
E la cosa che più colpisce nelle telenovelas pomeridiane è che sì, continuano ad avere un sottofondo machista e a proporre una morale sostanzialmente ipocrita, ma i protagonisti non mettono più le corna alle proprie belle con qualunque cosa si muova: Sebastián de La viuda de Blanco, Diego di El Zorro la Espada y la Rosa e Rodrigo di Destilando Amor, non vedono nessun'altra donna che quella di cui sono innamorati. Anche se la telenovela li costringe a puntate e puntate di lontananza. E in un pomeriggio di troppo caldo e di zapping, la cosa dà soddisfazione.