Javier Sicilia è di nuovo in cammino. Il poeta messicano, diventato portavoce del desiderio di pace della società civile, dopo l'assassinio di suo figlio Juan Francisco, a Cuernavaca, insieme a altri sei giovani, ha messo in moto la sua Caravana por la Paz per la terza volta. La prima volta era salito fino a Chihuahua, per dare voce ai messicani stanchi e distrutti dalla violenza del narcotraffico, ma ancora pronti a impegnarsi per un Messico solidale e in pace. La seconda volta si è inoltrato nel Messico delle comunità indigenas, intente a sopravvivere alla violenza dell'economia capitalista, fino a Oaxaca e al Chiapas, dove si è invano sperato in un suo incontro con il subcomandante Marcos.
Per la sua terza Carovana, il poeta ha deciso di arrivare al cuore dell'Impero statunitense, Washington DC, per chiedere un nuovo patto all'ingombrante vicino e per dimostrare agli statunitensi che la droga e la sua violenza non sono solo un problema del Messico e della Colombia. Anzi, se non ci fossero il mercato nordamericano, il principale consumatore di cocaina, e se non ci fosse l'estrema facilità con cui gli Stati Uniti vendono armi ai cittadini, Colombia e Messico non si troverebbero intrappolati nel narcoterrorismo. La Caravana por la Paz a USA è partita da Tijuana alcuni giorni fa, è passata per San Diego e Los Angeles e adesso punta verso Phoenix, in Arizona, per arrivare il 12 settembre a Washington, dopo aver attraversato 13 Stati e aver fatto tappa in 27 città.
"Ci muove l'amore per i nostri figli e per le nostre figlie assassinati, per i nostri desaparecidos e desaparecidas, per gli orfani e le orfane; per i nostri poliziotti e militari caduti nel compimento del loro dovere, tanto quelli che hanno agito onestamente come quelli corrotti dal crimine organizzato. Ci muove il dolore per i corpi interi e squartati trovati in centinaia di fosse clandestine, per l'infanzia sequestrata, le donne scomparse, i giornalisti assassinati, i torturati; come come l'insicurezza per il transito nei territori e per i commercianti di persone, che si accaniscono soprattutto contro i milioni di emigranti del CentroAmerica, che attraversano il Messico in cerca del sogno americano. Ci muovono gli omicidi legati alla proibizione della droga o la mancanza di controllo delle armi, che sono cosa anche degli Stati Uniti, le migliaia di persone incarcerate per reati non violenti della droga, gli orfani che si lasciano alle spalle. Ci muovono i morti per overdose e per le malattie trasmissibili, i sequestri e le estorsioni, che colpiscono in particolare emigranti e le comunità emarginate. Così come tutti quelli che si sono avvicinati al crimine a causa della violenza della struttura" dice nella sua pagina web il Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad, fondato e guidato da Javier Sicilia. E' un quadro terribile e preciso della violenza e dell'insicurezza in cui vivono milioni di messicani, estranei al narcotraffico e alle sue regole.
A Los Angeles il poeta e i suoi compagni di viaggio hanno ottenuto l'appoggio della comunità degli artisti messicani residenti nella città, tra loro i cineasti Alejandro González Iñárritu, Guillermo del Toro e Alfonso Cuarón e gli attori Diego Luna e Kate del Castillo. A San Diego, in un incontro con il congressista democratico Bob Filner sono state sottolineate le responsabilità statunitensi nel narcotraffico: "Non è solo un problema messicano, è un nostro problema: di chi sono le armi che hanno ucciso 60mila persone? di chi è la domanda di droga che permette l'esistenza dei cárteles?" si è chiesto retoricamente Filner. E il senatore della California Juan Vargas ha espresso la speranza che l'impegno di Javier Sicilia aiuti a cambiare le cose, "perché quello che stiamo facendo decisamente non funziona, con tante morti che non hanno messo fine al narcotraffico".
Nei suoi interventi Sicilia insiste soprattutto sulla facilità con cui gli statunitensi possono comprare le armi: "Il Secondo emendamento parla del possesso di armi per difendersi, ma se il pluriomicida del Colorado avesse avuto armi solo per difendersi, non avrebbe ucciso tanta gente" ha commentato.
Dopo la tappa a Los Angeles, e prima della partenza verso l'Arizona, uno degli Stati più anti-immigrati degli USA, con una delle leggi più dure contro l'emigrazione clandestina, che permette alla Polizia di fermare i cittadini di strada e chiedere loro i documenti anche solo per il "sospetto" colore della pelle, Javier Sicilia ha espresso emozioni e obiettivi del suo viaggio, mettendo sempre al centro delle sue parole la pace, l'amore e il sogno. "Siamo appena agli inizi e stiamo costruendo il sogno, andiamo di sorpresa in sorpresa e anche se abbiamo la nostra narrativa, la riscriveremo in ogni posto visitato. Il sogno è realizzare quello che è successo nel Messico, quando abbiamo iniziato ci prendevano per pazzi, ma è stato meraviglioso risvegliare questa coscienza, quando migliaia e migliaia di persone si sono unite alla carovana. E' la stessa cosa che vogliamo fare qui negli Stati Uniti, che ovunque possiamo risvegliare la coscienza e che si agisca fino a quando anche i più restii riconoscano il problema. Stiamo semplicemente cercando di rompere il cerchio e che si arrivi a una risposta generale per il cambio nella lotta contro le droghe, che non si continui a vedere come un problema del Messico e della Colombia. Vogliamo mettere nella coscienza del cittadino nordamericano e nell'agenda la responsabilità che hanno nel nostro dolore e nella nostra guerra. Perché qui ci sono grandi dolori ed è urgente che si entri nella discussione dell'agenda delle elezioni presidenziali".
L'amore e il sogno hanno iniziato a manifestarsi in qualcosa di così concreto e pratico come il finanziamento di questo viaggio attraverso gli Stati Uniti. Grazie a Fondazioni, ONG e comuni cittadini, sono stati raccolti 300mila dollari, che servono soprattutto per coprire le spese di trasporto, l'affitto degli autobus, la benzina; per tutto il resto, pasti e letti, il viaggio di Javier Sicilia e delle circa 70 persone che lo accompagnano, è affidato alla generosità delle comunità locali: li ospitano soprattutto le chiese cattoliche e le comunità ispaniche, che si preoccupano di procurare loro un tetto e i pasti. "Senza la loro generosità tutto questo non sarebbe stato possibile, i 300mila dollari sono sufficienti appena per i trasporti" ha commentato Sicilia.
Quando, il 12 settembre, arriverà a Washington, gli Stati Uniti gli avranno dato la prima prova della loro straordinaria generosità con chi difende i diritti civili e le libertà individuali. La più importante potrebbe arrivare dal sogno neanche tanto segreto del poeta: l'incontro con Barack Obama. Non è ancora in agenda, ma Javier Sicilia dice di sì, che spera davvero di incontrare il Presidente degli Stati Uniti, in piena campagna elettorale. L'uomo più potente del mondo, che si è detto contrario alla legalizzazione delle droghe, ma disponibile a discutere di possibili alternative alle attuali politiche contro il narcotraffico, e l'uomo che sta dimostrando che il Messico addolorato e stanco di violenza, ma sempre dignitoso e rigoroso, continua a sognare e a parlare d'amore. Non dite che non sarebbe un incontro in grado di aprire ad altre speranze l'intera Latinoamérica ostaggio dei narcos.
Sul canale di Caravana4Peace di flick.com, le immagini di questi giorni statunitensi di Javier Sicilia e delle sue attività nelle città visitate
Per la sua terza Carovana, il poeta ha deciso di arrivare al cuore dell'Impero statunitense, Washington DC, per chiedere un nuovo patto all'ingombrante vicino e per dimostrare agli statunitensi che la droga e la sua violenza non sono solo un problema del Messico e della Colombia. Anzi, se non ci fossero il mercato nordamericano, il principale consumatore di cocaina, e se non ci fosse l'estrema facilità con cui gli Stati Uniti vendono armi ai cittadini, Colombia e Messico non si troverebbero intrappolati nel narcoterrorismo. La Caravana por la Paz a USA è partita da Tijuana alcuni giorni fa, è passata per San Diego e Los Angeles e adesso punta verso Phoenix, in Arizona, per arrivare il 12 settembre a Washington, dopo aver attraversato 13 Stati e aver fatto tappa in 27 città.
"Ci muove l'amore per i nostri figli e per le nostre figlie assassinati, per i nostri desaparecidos e desaparecidas, per gli orfani e le orfane; per i nostri poliziotti e militari caduti nel compimento del loro dovere, tanto quelli che hanno agito onestamente come quelli corrotti dal crimine organizzato. Ci muove il dolore per i corpi interi e squartati trovati in centinaia di fosse clandestine, per l'infanzia sequestrata, le donne scomparse, i giornalisti assassinati, i torturati; come come l'insicurezza per il transito nei territori e per i commercianti di persone, che si accaniscono soprattutto contro i milioni di emigranti del CentroAmerica, che attraversano il Messico in cerca del sogno americano. Ci muovono gli omicidi legati alla proibizione della droga o la mancanza di controllo delle armi, che sono cosa anche degli Stati Uniti, le migliaia di persone incarcerate per reati non violenti della droga, gli orfani che si lasciano alle spalle. Ci muovono i morti per overdose e per le malattie trasmissibili, i sequestri e le estorsioni, che colpiscono in particolare emigranti e le comunità emarginate. Così come tutti quelli che si sono avvicinati al crimine a causa della violenza della struttura" dice nella sua pagina web il Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad, fondato e guidato da Javier Sicilia. E' un quadro terribile e preciso della violenza e dell'insicurezza in cui vivono milioni di messicani, estranei al narcotraffico e alle sue regole.
A Los Angeles il poeta e i suoi compagni di viaggio hanno ottenuto l'appoggio della comunità degli artisti messicani residenti nella città, tra loro i cineasti Alejandro González Iñárritu, Guillermo del Toro e Alfonso Cuarón e gli attori Diego Luna e Kate del Castillo. A San Diego, in un incontro con il congressista democratico Bob Filner sono state sottolineate le responsabilità statunitensi nel narcotraffico: "Non è solo un problema messicano, è un nostro problema: di chi sono le armi che hanno ucciso 60mila persone? di chi è la domanda di droga che permette l'esistenza dei cárteles?" si è chiesto retoricamente Filner. E il senatore della California Juan Vargas ha espresso la speranza che l'impegno di Javier Sicilia aiuti a cambiare le cose, "perché quello che stiamo facendo decisamente non funziona, con tante morti che non hanno messo fine al narcotraffico".
Nei suoi interventi Sicilia insiste soprattutto sulla facilità con cui gli statunitensi possono comprare le armi: "Il Secondo emendamento parla del possesso di armi per difendersi, ma se il pluriomicida del Colorado avesse avuto armi solo per difendersi, non avrebbe ucciso tanta gente" ha commentato.
Dopo la tappa a Los Angeles, e prima della partenza verso l'Arizona, uno degli Stati più anti-immigrati degli USA, con una delle leggi più dure contro l'emigrazione clandestina, che permette alla Polizia di fermare i cittadini di strada e chiedere loro i documenti anche solo per il "sospetto" colore della pelle, Javier Sicilia ha espresso emozioni e obiettivi del suo viaggio, mettendo sempre al centro delle sue parole la pace, l'amore e il sogno. "Siamo appena agli inizi e stiamo costruendo il sogno, andiamo di sorpresa in sorpresa e anche se abbiamo la nostra narrativa, la riscriveremo in ogni posto visitato. Il sogno è realizzare quello che è successo nel Messico, quando abbiamo iniziato ci prendevano per pazzi, ma è stato meraviglioso risvegliare questa coscienza, quando migliaia e migliaia di persone si sono unite alla carovana. E' la stessa cosa che vogliamo fare qui negli Stati Uniti, che ovunque possiamo risvegliare la coscienza e che si agisca fino a quando anche i più restii riconoscano il problema. Stiamo semplicemente cercando di rompere il cerchio e che si arrivi a una risposta generale per il cambio nella lotta contro le droghe, che non si continui a vedere come un problema del Messico e della Colombia. Vogliamo mettere nella coscienza del cittadino nordamericano e nell'agenda la responsabilità che hanno nel nostro dolore e nella nostra guerra. Perché qui ci sono grandi dolori ed è urgente che si entri nella discussione dell'agenda delle elezioni presidenziali".
L'amore e il sogno hanno iniziato a manifestarsi in qualcosa di così concreto e pratico come il finanziamento di questo viaggio attraverso gli Stati Uniti. Grazie a Fondazioni, ONG e comuni cittadini, sono stati raccolti 300mila dollari, che servono soprattutto per coprire le spese di trasporto, l'affitto degli autobus, la benzina; per tutto il resto, pasti e letti, il viaggio di Javier Sicilia e delle circa 70 persone che lo accompagnano, è affidato alla generosità delle comunità locali: li ospitano soprattutto le chiese cattoliche e le comunità ispaniche, che si preoccupano di procurare loro un tetto e i pasti. "Senza la loro generosità tutto questo non sarebbe stato possibile, i 300mila dollari sono sufficienti appena per i trasporti" ha commentato Sicilia.
Quando, il 12 settembre, arriverà a Washington, gli Stati Uniti gli avranno dato la prima prova della loro straordinaria generosità con chi difende i diritti civili e le libertà individuali. La più importante potrebbe arrivare dal sogno neanche tanto segreto del poeta: l'incontro con Barack Obama. Non è ancora in agenda, ma Javier Sicilia dice di sì, che spera davvero di incontrare il Presidente degli Stati Uniti, in piena campagna elettorale. L'uomo più potente del mondo, che si è detto contrario alla legalizzazione delle droghe, ma disponibile a discutere di possibili alternative alle attuali politiche contro il narcotraffico, e l'uomo che sta dimostrando che il Messico addolorato e stanco di violenza, ma sempre dignitoso e rigoroso, continua a sognare e a parlare d'amore. Non dite che non sarebbe un incontro in grado di aprire ad altre speranze l'intera Latinoamérica ostaggio dei narcos.
Sul canale di Caravana4Peace di flick.com, le immagini di questi giorni statunitensi di Javier Sicilia e delle sue attività nelle città visitate