sabato 24 novembre 2012

La Voz Árabe, la cittadinanza ai sefarditi e i moriscos, nella Spagna multiculturale

E' uscito ieri in Spagna il primo numero de La Voz Árabe, una testata gratuita al momento quindicinale, ma presto settimanale, che racconta all'opinione pubblica "la realtà sociale, economica, politica, religiosa e culturale della comunità araba che vive in Spagna e, allo stesso tempo, la realtà di questo Paese attraverso il prisma con cui la sente, la percepisce e la vive questa comunità". La Voz Árabe viene distribuito al momento in 500 punti di grande concentrazione araba, nelle Comunidades a maggior presenza di questa comunità, Madrid, Catalogna, Andalusia e Comunitat Valenciana. Per la casa editrice, Andalus Media, una testata come La Voz Árabe è molto importante in questo periodo in Spagna, nonostante la crisi economica, perché c'è l'esigenza di "costruzioire un ponte di comunicazione interculturale tra una delle comunità straniere più antiche di Spagna e il resto della società"; la comunità araba ha infatti "la sua peculiarità, come tutte e ognuna le comunità presenti in Spagna" e per questo merita di essere sottolineata, anche solo "per risaltare la ricchezza che apporta a questo mosaico culturale che è diventato il tessuto sociale spagnolo". E' una comunità, sottolineano ancora gli editori, di cui si parla tanto, ma che poche volte ha l'opportunità di parlare, esprimersi e interagire con il suo intorno "ma ha una voce e ha il diritto di usarla", perciò sperano che la testata si trasformi "in uno strumento di buona e fluida integrazione tra i cittadini di origine araba e il resto della società spagnola e, nel futuro, nel nesso do comunicazione tra il mondo arabo e quello iberoamericano".
Ci sono, a volte, coincidenze curiose. La Voz Árabe ha visto la luce nei giorni in cui il Governo ha annunciato la concessione della cittadinanza spagnola automatica a tutti gli Ebrei sefarditi che ne faranno richiesta. I sefarditi sono gli Ebrei di origine spagnola, espulsi dalla Penisola nel 1492, dai Re Cattolici, che avevano completato la Reconquista, con la vittoria su Boabdil, ultimo sovrano musulmano di Granada. La diaspora dei sefarditi fu totale: trovarono rifugio in Europa, nel Nordafrica e, soprattutto, nell'Impero Ottomano, il più tollerante con i Giudei. Con sé portarono un ricco patrimonio di saperi e di cultura, e una lingua, che continuano a parlare ancora oggi, ricordando agli spagnoli il castigliano antico. L'espulsione danneggiò entrambe le comunità, quella spagnola, che perse artigiani e commercianti di grande esperienza, ritrovandosi impoverita e incapace, quella sefardita, da allora nostalgica e triste, per la patria perduta (la musica e la letteratura sefardite, che tanto spazio hanno nell'Andalusia che vuole ricostruire le sue tre culture, sono un canto al dolore dell'espulsione).
Il riconoscimento della cittadinanza spagnola dei Sefarditi è una vecchia aspirazione spagnola, iniziata da Felipe Gonzalez, frenata sotto Zapatero e ripresa adesso da Rajoy. I maligni dicono che il Governo si è ricordato dei Sefarditi perché ci sono 1 milione di case vuote da vendere a tutti i costi per risalire la china dell'economia in crisi (pochi giorni fa è stata promessa la residenza automatica in Spagna a chiunque spenda dai 160mila euro in su nell'acquisto di una casa, con uno sguardo speranzoso verso i magnati russi e cinesi). Ma, sia quale sia la reale motivazione del Governo, appare giusto riconoscere un torto storico, a una delle più antiche comunità residenti in Spagna, la cui unica colpa è stata la differenza religiosa.
Solo che viene da chiedersi immediatamente: e i moriscos? Ci sarà il riconoscimento automatico della cittadinanza anche per i musulmani di Spagna, costretti alla conversione dalla Santa Inquisizione, prima della loro definitiva espulsione dalla Penisola, nel 1812? I moriscos erano contadini e artigiani, avevano con sé l'antica sapienza araba nella coltivazione dei terreni e nella realizzazione di manufatti; quando furono espulsi, le campagne abbandonate dell'Andalusia e della costa mediterranea si impoverirono per decenni. L'espulsione dei moriscos danneggiò la Spagna, privandola dell'antico sapere arabo dello sfruttamento dei campi e dell'artigianato più raffinato e danneggiò i moriscos, costretti a mendicare ospitalità nei regni fratelli nordafricani, che spesso li accolsero con stragi immani, non appena sbarcati con tutte i loro averi sulle coste del Mediterraneo meridionale.
L'epopea morisca è raccontata in uno splendido libro di Ildefonso Falcones, La mano de Fatima (su amazon.it in spagnolo e in italiano). E' lungo 900 pagine, ma si leggono tutte di un fiato e, attraverso la storia di Hernando, sospeso tra due religioni, e di Fatima, la donna di cui è innamorato, si ripercorrono i decenni che portarono all'espulsione morisca, dall'intolleranza della Chiesa Cattolica, agli inutili tentativi di convivenza tra comunità che diffidavano ormai le une delle altre. Anche contro i moriscos la Spagna ha compiuto un'ingiustizia storica, che non ha mai tentato di riparare. Ai discendenti dei moriscos, che abitarono il suolo spagnolo per oltre otto secoli e che fecero di Al Andalus uno dei regni più prosperi della Penisola, non è mai stata offerta alcuna cittadinanza.
E chissà quanto contano, in tutto questo, la buona stampa di cui gode la comunità ebraica, grazie al suo potere, e la pessima immagine della comunità islamica, che i media identificano sempre e solo con il terrorismo e il fanatismo (non dimenticherò mai il torvo José Maria Aznar, che ai tempi dell'invasione dell'Iraq ebbe la facciatosta di dire che "i musulmani non hanno mai chiesto scusa per otto secoli di dominazione sulla Penisola", dimenticando, manipolatore, ignorante e intollerante, tutto quello che la Spagna del XXI secolo deve alla comunità musulmana, a cominciare dal suo monumento più visitato, l'Alhambra).
Benvenute siano voci nuove, come La Voz Árabe, a cercare di ristabilire nuovi equilibri, in una Spagna di nuovo multiculturale, che però non è più Al Andalus.