Ángel Carromero, il 27enne dirigente di Nuevas Generaciones del Partido Popular, che un anno fa, a
Cuba, era alla guida sull'auto in cui hanno perso la vita gli oppositori Oswaldo Payá e Harold Cepero,
e che per questo è stato condannato da L'Avana a 4 anni di carcere, ha deciso
di rompere il proprio silenzio e di raccontare la propria versione sull'incidente.
Tornato in Spagna, pochi mesi fa, per compiere la pena nel proprio Paese (adesso
si trova in un regime di semilibertà), Carromero spiega a El Mundo come sono
andate davvero le cose. "Ci stavamo dirigendo a Santiago e ci avevano già
seguito tre volte durante il tragitto. A Bayamo un veicolo azzurro comincia a
perseguirci. Ci fa pressione da molto vicino, tanto che posso vedere gli occhi
del conduttore. Al vedere l'auto, Oswaldo mi dice: "Sono della comunista,
dal colore della targhetta. Ángel, continua come se niente fosse""
inizia il suo racconto Carromero.
Così continua a guidare tranquillamente, rispettando il codice stradale, per
non dare scuse per essere fermato. Poi "l'auto ci dà un colpo da dietro e ci
butta fuori dalla strada. Io perdo conoscenza. La cosa seguente che ricordo è
come alcuni uomini mi mettono in un furgoncino con porte scorrevoli, come quelli
che usano i servizi di sicurezza di Cuba, e grido: "Cavolo, chi siete e che
cavolo ci avete fatto!" Poi riperdo la coscienza. Credo mi abbiano dato un
colpo in testa perché ne porto il segno".
Carromero è "completamente sicuro" che i dissidenti cubani che
viaggiavano con lui siano usciti vivi dall'incidente: "Le infermiere e un
parroco mi hanno assicurato che in ospedale siamo arrivati tutti e
quattro". E la prova che non possono essere morti nell'incidente è che
"i cristalli dell'auto non si sono rotti e né io né Aron (Jens Aron Modig, l'attivista
svedese che viaggiava con lui e i dissidenti) non abbiamo nessuna ferita".
Allora come è morto Payá? Carromero non ha dubbi: "I servizi segreti
cubani lo hanno assassinato. Non era la prima volta che ci provavano. Due mesi
prima un altro veicolo aveva fatto ribaltare il suo".
Nella lunga intervista, Angel Carromero racconta le ore da incubo che sono state
per lui e per Aron Modig le successive all'incidente; racconta come, prima di
essere separati, lui e lo svedese si fossero confidati la convinzione che li avrebbero uccisi; di
come in ospedale abbia potuto chiedere a un'infermiera degli altri occupanti
dell'auto e che questa gli abbia detto che erano tutti in ospedale, quindi tre e
infine solo i due stranieri. Di come sia sempre stato circondato da militari e
funzionari, tanto che, per paura di essere ucciso, ha inviato un SMS di soccorso in Spagna,
avvertendo di essere 'circondato da militari'. Modig, assicura, è stato
liberato subito perché "l'ambasciatrice della Svezia ha impiegato 24 ore
ad andare a prenderlo e lui da quel momento ha dichiarato che non ricorda
niente. Io ho potuto vedere solo il console generale mesi prima del processo e
mai da solo. C'era sempre un tenente colonnello davanti".
Si sente come "un'altra vittima del caso Payá" perché "dire che
si è trattato di un incidente e incolparmi è stato un alibi perfetto per
nascondere la morte dell'unico oppositore che poteva guidare la transizione
democratica a Cuba".
Adesso, un anno dopo l'incidente che gli ha cambiato la vita e ha spezzato
quelle di Oswaldo Payá e Harold Cepero, Ángel ha deciso di parlare, nonostante le pressioni
perché rimanesse zitto "per patriottismo", perché vuole "che
si arrivi alla verità su un assassinio di Stato". Dalla sua parte ha la
famiglia Payá, che sin dal primo momento ha denunciato lo strano incidente e si
è rifiutata di credere alla versione ufficiale, proclamando l'innocenza di
Carromero. In questi mesi, i Payá hanno raccolto prove che intendono presentare
all'Audiencia Nazional spagnola, approfittando del fatto che Oswaldo aveva anche
questa nazionalità. E, rivela ancora il giovane dirigente popolare, "c'è
una lettera firmata dai senatori degli Stati Uniti John McCain e Mario Rubio, in
cui si esige alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani un'indagine
indipendente. Hanno anche chiesto che il mio processo venga dichiarato
nullo".
L'intervista completa è su El Mundo e vale la pena leggerla. Come molti altri articoli del quotidiano madrileno, in questa intensa estate spagnola.